Sunday, July 26, 2015

Pro e contro.

In questo nuovo web mondo, che poi nuovo non è per niente, anche se continuiamo a chiamarlo così, ci sono vantaggi e svantaggi.
Ma è il nostro mondo, e quando si capirà che non ce n'è un altro e che in questo bisogna muoversi, smetteremo di chiamarlo nuovo e prenderemo a lamentarci di lui in modo normale, come ci si potrebbe lamentare di un panino che non ci piace molto. Ma un panino rimane sempre un panino, non diventa una cosa misteriosa solo perché l'hanno farcito con una mortadella che non è granché.
Allo stesso modo in cui fra gruppi di persone sconosciute mi sento a disagio e non mi piace essere al centro dell'attenzione, a meno che non si tratti di un palcoscenico (lo so che è una contraddizione, ma è così), così le vetrine social mi imbarazzano e in questo mondo in cui bisogna autopromuoversi di continuo, io voglio stare nel buio.
Però siccome la coerenza non mi appartiene, nei social ci sono, anche se non li frequento. Come avere una casa a un dato indirizzo in un dato paese, ma non andare mai in piazza e non avere idea di quali siano i propri vicini.
Ma a volte non basta.
La mia casella di posta oggi mi comunicava che un utente ha iniziato a sopportarmi.
(Una zanzara intanto mi sta massacrando le gambe. Nei social loro non ci sono, per esempio).
Dunque, siccome bizzosa lo sono sempre, un moto iroso subito mi ha aggredito come un'onda marina. 'Chi gliel'ha chiesto a questo qui di sopportarmi?' Questa la forma dell'onda.
Leggendo meglio ho scorto l'errore. Lui iniziava a supportarmi, non a sopportarmi.
Non che la forma dell'onda sia cambiata molto, ma si è un po' attenuata e è diventata meno schiumosa.
Ma che si tratti di sopportare o supportare, il social comportamento richiederebbe che fossi felice, che visitassi la sua pagina e ricambiassi, come quando il vicino ti invita a prendere il tè.
Ecco, io credo che non farò nulla di tutto questo.
Promuoversi, lo so, vuol dire anche questo, saltellare da un sito all'altro mollando complimenti come bombette accattivanti, sperando che una certa percentuale te li renda e così il giro si allarga e ci inondiamo tutti di mi piace in un mondo apparentemente peace and love.
Io non sono peace, non sono love e sono decisamente antisocial.
Come fa una talpa a muoversi e promuoversi in un mondo così? E per mondo non intendo solo il social mondo, ma tutto quello che mi gira intorno.
Non è semplice.
Perché amo il web e amo il mondo, solo che ci voglio stare come mi pare e non voglio sottostare alle regole della buona società.
Ecco perché non è semplice. Se uno lo odia e se ne catafotte non ci sono problemi. 
Io invece ci sono dentro fino al collo, ma invece di incontrarmi mi ci scontro.
Quindi la domanda non è se starci o non starci, ma se c'è posto per tutti, per ogni tipo di carattere. 
Voglio dire, ogni persona ci può stare a modo suo senza essere annullata? C'è spazio per l'individualità?
Perché a me piacerebbe che questo fosse il mondo, un luogo in cui la diversità fosse la benvenuta, in cui ognuno potesse esprimere se stesso liberamente, in cui ognuno apprendesse dalle particolarità dell'altro, in cui ognuno si muovesse con passi propri e perché no, ogni giorno nuovi.
E non parlo dei social, del web mondo perché questa distinzione non ha più senso. Ormai è un tutt'uno.
Questo è il nostro mondo, tutto.
   

Friday, July 24, 2015

Il baratro.

Un certo senso di inadeguatezza mi assale quando cerco di usare le parole per raccontare qualcosa. Problemino non da poco per una che vorrebbe sentirsi una scrittrice.
E quali altri modi si possono usare per raccontare? Beh, ce ne sono di più efficaci. Il corpo quando tace lo è molto di più.
Basta pensare a uno sguardo, una smorfia, un gesto e, infine, una danza.
Le parole spogliano dei costituenti più importanti.
Wilde diceva con i suoi modi meravigliosi che raccontare la realtà così com'è non sa di nulla. Per allietare qualcuno con un racconto bisogna inventare. 
Raccontare bugie diventa così una gran cosa. 
Per come la sento io la pecca non sta nella realtà, perché come si fa a dire che un tramonto non sa di nulla? Tutta la frustrazione va a cadere in quel baratro che si forma fra quel che uno sente, vivendo un'esperienza e quel che si riesce a restituire quando si pretende di volerla raccontare. Quel baratro può essere può o meno largo e profondo, ma c'è.
A volte, mentre parlo, mi colpisce la banalità del mio racconto, rispetto alle emozioni provate e sento come se i veri tesori, quelli che le esperienze, anche minuscole, ti lasciano dentro, non volessero lasciarsi violare.
Quello che vorrei trasmettere rimane dentro. E mentre mi rendo conto del divario, non riesco a fare niente per colmarlo e anzi, se a quel punto cercassi di animarmi, di metterci più energia, farei solo peggio, perché non farei che dare volume proprio a quella parte che mi pare insulsa mentre quella importante continuerebbe a starsene rinchiusa, imperturbata.
L'esperienza, quella vera, mi guarda beffarda, sorridendo dei miei goffi tentativi di raccontarla.
Così stanno le cose.
Ecco perché la realtà bisognerebbe inventarla, perché forse la porzione irreale riuscirebbe a rendere un po' di giustizia all'emozione provata nella piccolezza.
Tutto questo se da un lato è frustrante, da un altro può essere magnifico.
Perché che le parole non bastino a raccontare quel che un cuore sente, vede e prova non è cosa da poco.
E diciamo che il contrario sarebbe terribile.
Tutto queste ciarle potrebbero sembrare una giustificazione con me stessa per avere più o meno abbandonato questo blog, ma non lo è.
Quanto al resto, se la soluzione stia nel mutismo non lo so, anche se tutto porterebbe a crederlo.
Intanto continuiamo a vivere e a provare emozioni, che se poi uno non può raccontarle non è forse così importante.