L'ultima volta che ho aperto questa pagina con l'intento di scrivere, una settimana fa, sono stata interrotta e non l'ho più riaperta, per motivi più grandi di me, credo.
E siccome il presente è sempre un buon posto per partire, affondo nel luogo che occupo in questo momento, seduta a un tavolo davanti a una finestra che non ce la fa a contenere un tramonto meraviglioso, perché anche quello è più grande di lei. Indosso una maglietta a mezze maniche, anzi no, si tratta di una maglia fucsia con le maniche lunghe rivoltate fino ai miei possenti bicipiti e anche se so che per il clima del pianeta questo non è positivo, a me piace, ora, poter avere le braccia ignude.
Vengo da tre ore di pulizia della mia tana, con relativo ascolto di musica, ma vengo anche da ben più lontano, e forse ho preso troppa rincorsa, perché l'anno appena iniziato mi è già sfuggito di mano.
C'è una regola che osservo rigorosamente per entrare nel nuovo anno ed è riempire la zuccheriera. Entrare nell'anno nuovo con una zuccheriera mezza vuota sarebbe a dir poco increscioso, ma qualcosa mi dice che devo avere esagerato e versato qualche granellino di troppo.
Comunque mentre gran parte del mondo era a mangiare panettoni e pandori io ho lavorato, perché è bello lavorare quando tutti fanno altro e sono distratti.
Ho lavorato molto.
Ma c'è da fare la talpa tara, perché credo che per il resto del mondo molto sia almeno otto ore al giorno e è evidente che non è il mio caso, perché non sopravviverei a un simile sforzo e ora non sarei qui a scrivere. Per me molto corrisponde a circa due ore. Si possono aggiungere una decina di minuti quando voglio strafare. Ma la quantità del tempo, dato che tutto è relativo, non è rilevante. Quando tutti erano in panciolle, io lavoravo. È un fatto.
Ora che tutti lavorano, io sono tornata in panciolle.
Per quanto me l'abbiano permesso incursioni continue al mio campanello, inviti a cui non ho potuto dire di no, visite ricevute in pigiama di paperino, pinza in testa e occhiali rossi, con relativa enorme vergogna della sottoscritta, ma ci sono volte in cui non c'è tempo di rendersi presentabile e non ci si può rifiutare di aprire la porta. Fa parte di quei granellini di troppo che ho versato nella zuccheriera.
Nel nuovo anno non ho fatto neppure una lezione di yoga, ma anche nel vecchio, avevo diradato fino a dimenticare quasi il percorso che prima mi portava lì in automatico. Il perché non lo so. È probabile che sia perché ho molta voglia di saltellare e su un tappetino yoga non c'è spazio, tempo e modo per saltellare.
Forse il mio nuovo yoga è prendere un tè davanti a un tramonto.
Visto che l'ho già nominato due volte, non si pensi che abbia sostituito il mio adorato cappuccino con il tè. Non ci penso neanche. Semplicemente il cappuccino richiede che io esca, in casa prendo il tè. E siccome tutti i bar in cui andavo a scrivere mi chiudono sotto il naso, e mi tocca stare in casa, il numero dei tè è aumentato.
La danza è tornata alla ribalta, e sulle pirouettes ho fatto ben pochi progressi, anche se la mia insegnante, per farmi contenta, dice il contrario.
Durante questa settimana una parte si era dissociata da me e non sono riuscita a capire dove fosse finita, so solo che non c'era. Questo mi ha fatto sentire molto strana. Non è facile vivere così, perché c'erano momenti in cui quelle parti assenti mi sarebbero servite, ma non potevo neanche richiamarle, perché non c'erano e basta. Sono stata molto in compagnia e molto fuori casa e ho usato le parti degli altri e la confusione che c'è in giro per sopperire alla mia stranezza. Le parti che mancano non le puoi richiamare tu, devono tornare da sole, ma c'è anche un momento in cui devi scuoterti perché tornino o perché tornino più velocemente, perché io non sono paziente.
Mi sono chiesta se sia possibile restare senza per sempre, cioè che non tornino più, ma non credo possa accadere, anche se non lo so con certezza. Se succedesse però sarebbe un bel guaio.
Ora è calato il buio e io ho dovuto calare anche le maniche della mia maglia. E credo che chiuderò anche questo post.
E siccome il presente è sempre un buon posto per partire, affondo nel luogo che occupo in questo momento, seduta a un tavolo davanti a una finestra che non ce la fa a contenere un tramonto meraviglioso, perché anche quello è più grande di lei. Indosso una maglietta a mezze maniche, anzi no, si tratta di una maglia fucsia con le maniche lunghe rivoltate fino ai miei possenti bicipiti e anche se so che per il clima del pianeta questo non è positivo, a me piace, ora, poter avere le braccia ignude.
Vengo da tre ore di pulizia della mia tana, con relativo ascolto di musica, ma vengo anche da ben più lontano, e forse ho preso troppa rincorsa, perché l'anno appena iniziato mi è già sfuggito di mano.
C'è una regola che osservo rigorosamente per entrare nel nuovo anno ed è riempire la zuccheriera. Entrare nell'anno nuovo con una zuccheriera mezza vuota sarebbe a dir poco increscioso, ma qualcosa mi dice che devo avere esagerato e versato qualche granellino di troppo.
Comunque mentre gran parte del mondo era a mangiare panettoni e pandori io ho lavorato, perché è bello lavorare quando tutti fanno altro e sono distratti.
Ho lavorato molto.
Ma c'è da fare la talpa tara, perché credo che per il resto del mondo molto sia almeno otto ore al giorno e è evidente che non è il mio caso, perché non sopravviverei a un simile sforzo e ora non sarei qui a scrivere. Per me molto corrisponde a circa due ore. Si possono aggiungere una decina di minuti quando voglio strafare. Ma la quantità del tempo, dato che tutto è relativo, non è rilevante. Quando tutti erano in panciolle, io lavoravo. È un fatto.
Ora che tutti lavorano, io sono tornata in panciolle.
Per quanto me l'abbiano permesso incursioni continue al mio campanello, inviti a cui non ho potuto dire di no, visite ricevute in pigiama di paperino, pinza in testa e occhiali rossi, con relativa enorme vergogna della sottoscritta, ma ci sono volte in cui non c'è tempo di rendersi presentabile e non ci si può rifiutare di aprire la porta. Fa parte di quei granellini di troppo che ho versato nella zuccheriera.
Nel nuovo anno non ho fatto neppure una lezione di yoga, ma anche nel vecchio, avevo diradato fino a dimenticare quasi il percorso che prima mi portava lì in automatico. Il perché non lo so. È probabile che sia perché ho molta voglia di saltellare e su un tappetino yoga non c'è spazio, tempo e modo per saltellare.
Forse il mio nuovo yoga è prendere un tè davanti a un tramonto.
Visto che l'ho già nominato due volte, non si pensi che abbia sostituito il mio adorato cappuccino con il tè. Non ci penso neanche. Semplicemente il cappuccino richiede che io esca, in casa prendo il tè. E siccome tutti i bar in cui andavo a scrivere mi chiudono sotto il naso, e mi tocca stare in casa, il numero dei tè è aumentato.
La danza è tornata alla ribalta, e sulle pirouettes ho fatto ben pochi progressi, anche se la mia insegnante, per farmi contenta, dice il contrario.
Durante questa settimana una parte si era dissociata da me e non sono riuscita a capire dove fosse finita, so solo che non c'era. Questo mi ha fatto sentire molto strana. Non è facile vivere così, perché c'erano momenti in cui quelle parti assenti mi sarebbero servite, ma non potevo neanche richiamarle, perché non c'erano e basta. Sono stata molto in compagnia e molto fuori casa e ho usato le parti degli altri e la confusione che c'è in giro per sopperire alla mia stranezza. Le parti che mancano non le puoi richiamare tu, devono tornare da sole, ma c'è anche un momento in cui devi scuoterti perché tornino o perché tornino più velocemente, perché io non sono paziente.
Mi sono chiesta se sia possibile restare senza per sempre, cioè che non tornino più, ma non credo possa accadere, anche se non lo so con certezza. Se succedesse però sarebbe un bel guaio.
Ora è calato il buio e io ho dovuto calare anche le maniche della mia maglia. E credo che chiuderò anche questo post.
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