Sono una talpa, è vero.
E cosa vuol dire essere una talpa? Beh, in realtà non lo so bene neppure io. Quando tutta questa storia della talpa è partita era solo un gioco, poi è passata ad essere una storia di amicizia e identificazione in un gruppo, poi ad essere addirittura un tatuaggio.
Sì, ho una talpa tatuata sulla scapola destra, con la quale ho un'amicizia molto intima.
Ma noi cambiamo, il mondo cambia e anche le talpe tatuate che ci accompagnano assumono altri significati o forse assumono quelli a cui era predestinate.
Sono una a cui piace vivere nella buca. Che non vuol dire non amare la luce. Abito al quarto piano di una casa piena di finestre e cerco case luminose, non buie, amo vivere di giorno e dormire di notte. Quando la sera cala, anche le mie palpebre si sentono di dover fare lo stesso. Da quando sono nata, pare abbia sempre seguito i ritmi del giorno e della notte come se facessero intimamente parte di me. Ma mi piace stare nella tana, che non significa buio, ma stare per conto mio, spesso in silenzio e fare le mie cose senza tanto disturbo.
A conferma di tutto questo c'è un fatto. Qualche mese fa, circa tre, a un corso di teatro mi è stato chiesto di scegliere un animale, perché trasformarsi in un altro essere è un lavoro dell'anima e una cosa che gli attori fanno per ampliare gli orizzonti interpretativi e non. Almeno credo. Io non sono un'attrice, ma questo poco importa. Quel che importa è che d'istinto ho scelto l'orso.
Insomma, talpe orsi, è chiaro no?
Ora, tutto questo sarebbe di scarso interesse perfino per me, se non fosse che il tutto è in netto contrasto con quello che ho scelto di fare nella vita, da sempre, che è il contrario dello stare nell'ombra, di una buca o di una grotta.
Non lavoro nei sotterranei del mondo, non nel caveau della Gringott Bank, non nei cunicoli di una miniera, non con gli gnomi in un bosco, anche se questo forse mi piacerebbe, insomma, nulla di tutto questo. Ce l'avevo, anzi, un lavoro in cui si può passare piuttosto inosservati, tanto più che si indossa una divisa, che è un camice bianco. Possiamo desiderare qualcosa di più uniforme? No. La gente mi chiamava dottoressa, nello stesso modo in cui era chiamata la mia collega o il mio collega, lui dottore ovviamente. E la sapete una cosa? Ora penso che lo sapessi anche fare quel lavoro, lo avevo imparato. E c'erano anche tante cose che avevo iniziato a trovare piacevoli. Ero una farmacista. Quando andavo a casa non dovevo pensare a nulla, e il lavoro si trovava piuttosto facilmente. Allora quale era il problema? Che non era il mio e io, a un certo punto della mia vita, ho deciso che volevo fare ciò che mi piaceva e scoprire per quale motivo fossi qui, su questo pianeta e una cosa la sapevo di sicuro: che non era stare in un negozio con un camice a fare la dottoressa. No. Non c'era nulla di me, di vero, che potessi mettere dentro a quel lavoro. E allora ho mollato tutto.
Sono una danzatrice, perché quella è una roba in cui mi sento vera e viva. Poi sono una pittrice, perché quando dipingo mi dimentico del mondo che c'è fuori e potrei anche smettere di mangiare e sono una scrittrice. E questo è il vero motivo di questo post, a cui arrivo in fondo, proprio perché sono una talpa. Se non lo fossi avrei aperto dicendo 'Ehi voi, lo sapete che sono una scrittrice?'.
Scrivo perché mi piace, per mettermi alla prova e perché questo è il momento per superare me stessa e attraverso la scrittura posso farlo. Perché scoprirò nuove porzioni di mondo. Perché so che deve essere così.
Ieri una mia amica mi ha detto che dovrei organizzare incontri per fare sapere al globo che scrivo e leggere porzioni dei miei libri e insomma tutta quella roba di marketing con cui pare ci si debba confrontare. Non so se ne sarò capace, ma so che quel che devo fare è riconoscere onore e gloria al fatto stesso che scrivo, ai due libri che ho creato, agli altri che creerò, al fatto che già avere fra le mani un'attività che mi permette di crescere è una fortuna e se con i miei libri poi, riuscirò a dare piacere anche a una sola persona nel mondo, allora potrò essere felice. Perché lo scopo della vita deve essere avere e dare piacere e forse riuscirò a trovare una strada perché questo accada. Sempre consapevole del fatto che quel che conta è il percorso, non il punto di arrivo. Non c'è altro momento che il presente.
Il mio presente è che i miei camici sono piegati e riposti in cima a un armadio, il mio cavalletto è pieno di tele dipinte e da dipingere, le mie zampe battono sulla tastiera e i miei primi due libri esistono. Sono qui, nella colonna destra accanto.
Perché essere una talpa non vuol dire non avere voglia di dire delle cose.
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