Thursday, August 25, 2016

Il punto.

La stagione volge al termine e mi pare giusto tirare le somme. Ma si fa prestissimo perché gli addendi non sono molti, anzi a guardare bene si tratta di una parità, un più e un meno, una somma algebrica diciamo.
Perché nei miei sforzi di raggiungere una certa stabilità sulla tavola dettata, pare, da una giusta posizione, temo di aver perso il lavoro di un anno volto a portare il peso tra il primo e il secondo dito.
Quindi a ben vedere più che di una somma algebrica si tratta di una disfatta, perché ora non so fare né quello né quell'altro. Quindi è meglio se smetto di fare questo punto.
Ho scoperto che il discretone con gli occhiali vuole che la gamba davanti, mentre sono sulla tavola, mi diventi di legno e lui ha scoperto che la mia testa è vuota. Le due cose non hanno portato a un rapporto tranquillo.
Le conseguenze sono state svariati urli cavalcanti le onde nella mia direzione, durante i quali ogni volta tentennavo tra il desiderio di prendere albero e tavola e fracassarglieli sulla testa e riderci sopra. Ha vinto il secondo per due motivi: primo perché quando voglio imparare qualcosa sono cocciuta e la cocciutaggine, questa è una nuova scoperta, può mangiarsi anche la bizza e il secondo è che sto coltivando l'arte della pazienza e non c'è niente di meglio che un'estate sulla tavola per esercitarsi. Anzi, vorrei scrivere una letterina al Dalai Lama per consigliarglielo come metodo d'eccezione.
Cadi cento volte e cento volte ti rialzi.
Hai preso il vento, lo senti per la prima volta nella vita, ti senti felice e il vento se ne va.
Lo riprendi, stai andando alla grande, ma lui decide di giocarti un brutto scherzo e tu voli via dalla tavola.
Cerchi di risalire ma non ci riesci a devi nuotare fino al corridoio spendendo le energie della giornata e della settimana a seguire. (A fine stagione sono in debito di un anno di energie e non ho idea di come farò a recuperarle. Conto su un aiuto divino, perché fra i mortali non è cosa che possa essere risolta)
Ti stai sforzando di mettere in atto gli insegnamenti e ti sembra di fare tutto giusto e il discretone urla che stai sbagliando tutto.
Stai cercando di tendere gambe e braccia, ma non ci riesci, perché a tirarti dall'altra parte c'è il vento e il mare con le sue onde, le forze della natura non un bambino di tre anni e ti viene chiesto cosa stai facendo e perché non fai le cose a modino.
Ti viene detto che ora basta, devi pensare con la tua testa e capire cosa fai, e quando stai facendo bene e quando male e tu ti accorgi che nella testa non c'è niente, niente di niente.
Ma peggio ancora sono le domande.
Talpa, da dove viene il vento?
(frugo nella testa e alzo una zampina)
Da lì
No, da lì (La parte opposta)
Ah.

Cosa devi fare in questa condizione, quando sei là fuori per risalire il vento?
Uhm
La fai lì una virata di poppa?
(la talpa pensa: cosa diavolo è una virata di poppa? E risponde)
Non so, non credo di averla mai fatta.
Il discretone prende a urlare come un ossesso che ne ho fatte decine e forse centinaia.

Quando orzi che succede?
E quando poggi?
Cosa devi fare quando il vento viene da lì per non farti portare dove vuole lui e pagare cento ore di noleggio perché sei finita in Sardegna?
Come fai la virata?
Come si porta la prua al vento e come si allontana?

Inutile che continui per far capire che l'estate della talpa non è stata una passeggiata. Del resto ricordo ancora che in Lituania, durante una innocua gitella in barca a vela su un lago, il nostromo, che era un vecchio lupo di mare, decise di mettermi al timone e poi, sconvolto dalla mia inettitudine, di darmi una lezione di direzioni da tenere rispetto al vento per voler andare dove vogliamo noi e non dove vuole portarci lui. A tal punto se la prese a cuore, che a un certo punto sparì sottocoperta lasciandomi in balia di un timone, di una barca e del mio terrore. Tornò poi con dei fogli su cui cominciò a tracciare linee e frecce perché io capissi come si doveva fare.
Il tema era sempre lo stesso, se vuoi andare lì devi trovare il modo di andarci, non ti arrendi al vento, ma muovi vela e barca per risalirlo il vento.
Perché il vento si risale, non si subisce.
Quindi sono anni che cerco di venire a capo di questa questione sulla quale sono di una durezza inaudita.
Riuscirò mai a rispondere a tutte le domande e a risalire il vento anziché subirlo?
E perché non cammino sui marciapiedi dove è più facile tenerla la direzione?
Perché mi complico la vita?
Domande, domande, domande.
Qualcuno dice che le domande siano molto più importanti delle risposte, ma credo che stiano diventando troppe.
Intanto continuo, perché non si può fare altro che andare avanti, cercando di risalirlo, prima o poi, quel vento, anziché subirlo.

Friday, August 19, 2016

Mostri marini.

È passato del tempo da quella sera, ma l'ossessione non mi abbandona.
Tempo fa decisi, incautamente, di partecipare a una conferenza serale. 
Ancora non mi faccio una ragione del perché non sia rimasta nella mia tana, a leggere un innocuo librino, stesa sul divano, con l'arietta che mi accarezza le gambe.
Avevo anche un po' di sonno (tanto per cambiare), ma mi sono detta 'talpa, su andiamo, non fare la noiosa'.
E avevo avuto un segno. Secondo me. Perché mi sa che i segni dovrei imparare a capirli, prima di seguirli, nemmeno fossi Scrat dietro alla ghianda.
Ero appena rientrata dalla city e avevo fatto una tappa in un bar per un cappuccino (tanto per cambiare), quando alcuni figuri fermi al banco davanti al mio tavolo, non un po' spostati in là, no, proprio davanti a me, si sono messi a parlare con molto entusiasmo di questa conferenza. Io, che in genere mi faccio gli affari miei e sono ai limiti dello scorbutico, anzi, forse lo supero di parecchio quel limite, mi sono messa a chiedere.
'scusate se mi faccio gli affari vostri, ma di quale conferenza parlate? E dov'è?'
A quel punto un ragazzo si è avvicinato, mi ha consegnato il suo cellulare e mi ha detto di scorrere. C'era il programma di tutte queste serate che avevano come tema il mare.
Senza stare a guardare i titoli ho deciso che era proprio quello che mi ci voleva, ho ringraziato e mi sono preparata per partecipare a tutte quelle in programma. La prima, l'unica a cui poi sono andata, perché le altre non mi hanno più vista seduta su quella seggiolina, era la sera stessa.
Argomento. I nuovi dolci animalini che popolano i nostri mari.
Ecco, gli squali a cui tutti pensano, compresa la sottoscritta, sono i migliori amici dell'uomo in confronto. Perché loro, i possessori di quella pinna che terrorizza al punto che se uno vede un delirino muore di infarto, ti mangiano solo perché ti scambiano per un tonno o perché fanno uno sbadiglio mentre gli nuoti davanti, ma forse la nostra carne gli fa anche schifo. Basterebbe munirli di un paio di occhiali e tutto sarebbe risolto. Questo, tra l'altro, me li ha fatti diventare simpatici.
Ma insomma, se vai a finire nelle fauci di uno squalo probabilmente la tua vita su questa terra era destinata a finire, perché ci vuole un certo impegno a trovarselo davanti e finire nella sua bocca mentre si annoia.
C'è invece una serie di pesciolini tropicali che hanno deciso che i loro mari non erano uno spazio sufficiente, hanno fatto una capatina da queste parti e si sono detti che era meno brutto di quanto pensassero e hanno deciso di costruirsi delle casette anche qui. Non so se ci vengano solo per le vacanze o se alcuni si siano proprio trasferiti, ma insomma, via via ci stanno.
Inutile che li enumeri tutti, perché tanto la mia testa è rimasta ossessionata da uno solo.
Si tratta di un essere in tutto e per tutto simile a una medusona, anche se pare non abbia niente a che vedere con quella famiglia, ma il vestitino gliel'ha copiato ben benino però.
Trattasi di un agglomerato di quattro esseri, come un condominio ambulante, in cui ognuno si occupa di una cosa, proprio come le brave famiglie. Uno va a fare la spesa, un altro guida, un altro si guarda intorno, un altro pensa a moltiplicarsi. Più o meno.
Questo condominio viaggia in superficie, perché in cima, al posto della testa ha una specie di barchina, infatti si chiama caravella, ma alla guida non c'è Cristoforo Colombo. C'è il mostro marino. Anzi i quattro mostri. Quattro mostri in uno.
Sotto questa caravella pendono numerosi tentacoli lunghi una trentina di metri, quindi più che un condominio, si può dire un grattacielo. 
Su ognuno di questi tentacoli sono incollate centinaia o migliaia o decine di migliaia, non ricordo, di ventosine urticanti.
Se per caso questi quattro ti sfiorano, rimani così sfregiato, che la mia bruciatura di medusa di cui ho parlato per anni e ancora non mi sono chetata né, interiormente, ho smesso di piangere, in confronto è una puntura di zanzara.
La conferenza poi è andata avanti ma io ormai non ascoltavo più. La mia testa si era trasformata nel condominio e i suoi quattro condomini, che passeggiano indisturbati per i nostri mari.
Alla fine c'era lo spazio per le domande, a cui non ho partecipato, perché mi vergogno. Però, quando tutti se ne sono andati, mi sono avvicinata al biologo seminatore di terrore nei cuori talposi e ho chiesto.
'Scusi, ma quella specie di medusa che medusa non è, mi potrebbe dire dove si trova?'
Lui ha fatto un sorriso a ottanta denti e mi è sembrato di vedere spuntare una lisca fra due, come lo squalo di Nemo e ha risposto.
'Fai una cosa, stai sempre sopra vento'.
O sotto vento?
Ecco, sono una specie di surfista e né mi ricordo né so capire se devo stare sopra o sotto il vento per non incontrare il condominio assassino.
Ho insistito.
'Ma dove si trova? Al largo?'
'La persona di cui parlavo è stata colpita a pochi metri dalla riva'.
E la lisca ha brillato fra i suoi denti, così me ne sono andata.
E se ce l'avesse buttata lui nei nostri mari?
Perché questo qui è un biologo, su questo non ci piove, lo fa da una vita e tutti lo sanno, ma di ogni pesce descritto conosceva il sapore delle carni e si leccava i baffi. Quindi nessuno mi toglie dalla testa che abbia scelto questa strada solo per mangiare un mucchio di pesci.
E se fosse anche una specie di pazzo assassino?
Nulla di più facile.
Se i quattro condomini ti beccano, oltre a rimanere sfregiato il pericolo pare possa essere uno shock anafilattico. Ecco, una cosa chiedo, anzi invoco. Se mi dovessi imbattere nel mostro, lo shock mi colga subitaneo, perché non vorrei sopravvivere a un simile incontro.
Il punto è che i quattro pazzi, proprio come lo squalo, mica vogliono sfregiarti, non gliene può importare di meno. Hanno semplicemente dei tentacoli troppo lunghi che la corrente smuove come si trattasse dei capelli che la principessa butta giù dalla torre. 
Quindi i problemi del mare si potrebbero risolvere mandando gli squali da un oculista e dicendo a questi condomini di legare con dei fiocchini i loro tentacoli urticanti e tenerseli vicino alla loro caravella, insomma basterebbe un parrucchiere. Un oculista e un parrucchiere per risolvere ogni problema.
Nonostante l'ossessione, il giorno dopo sono andata a surfare (a tentare di surfare) e al mostro, largo o non largo, non ho più pensato, perché la difficoltà della tavola mangia ogni ossessione.
Come si può vedere, i mostri più grandi mangiano sempre quelli più piccini e c'è qualcosa di positivo in questo, anche se lì per lì non si capisce.

Monday, August 1, 2016

La prima surfata della talpa.

Non è un caso che all'inizio di questo post il talpapod abbia proposto una canzone che si intitola Hero, però lui dice I don't wanna be a hero. Non c'è pericolo. Umpf!
Dunque.
Ho bevuto tanta di quell'acqua ( se questo non smette di ripetermi che non vuole essere un eroe lancio il talpapod fuori dalla finestra). Dicevo che ho bevuto tanta di quell'acqua che mi esce dalle orecchie, dal naso, dagli occhi e anche dalla bocca, se la apro.
Inoltre mi fa male la gola.
Inoltre dovrei lavorare e invece andrei a letto. Ora, subito.
Ma non riuscirei a dormire perché ho una sete del diavolo e non capisco perché visto che ho prosciugato il mare.
(Quella stupida canzone è finita, finalmente).
Per il mio ritorno sulla tavola ho scelto la giornata più ventosa della stagione. Da quando sono qui, un vento così non l'avevo mai visto.
Bene, fortunata! Direbbe ogni surfista che si rispetti.
Già.
Ma fosse stato solo il vento. C'erano onde talmente alte che le mie gite a Fuerte Ventura su quegli oceani impetuosi erano niente in confronto.
Mi sono svegliata terrorizzata per la prova e ancora non avevo visto le condizioni, di cui mi sono resa conto solo una volta messa la zampa su quella spiaggia. Stavo già per fare dietro front e rinfilarmi nella rassicurante pineta, quando ho sentito pronunciare il mio nome. 
Talpa?
Ho seguito la direzione della voce e non poteva che essere uscita da quel popo' di ragazzotto superabbronzato che stava davanti a una porta.
Gulp! Costui pronuncia il mio nome. Terrore sparito. Le onde? Che volete che siano per una talpa. Il vento? Lo mangio a colazione. Pfui! A me una tavola e una vela sette, anche otto può andare.
Eccomi, sono io sì, la talpa.
Io e il discretone siamo andati a sederci su due seggioline dove lui faceva domande, come fosse stato un medico che interroga sui sintomi per potersi esprimere sulla diagnosi con certezza quasi matematica.
Ma il suo responso invece non aveva nulla di certo e soprattutto niente di rassicurante. 
Le condizioni sono difficili, tu fossi una principiante ti direi di no, ma se mi dici che sei andata varie volte, allora si può provare, però lo devi decidere tu. Non è un giorno in cui si può lavorare di fino però puoi imparare molto oggi, ma sarà una cosa più tua però, sarai un po' la tua maestra e bla bla bla.
Mi stava dicendo che era una giornata di merda, per farla breve.
Che vuoi fare allora? Ti va di provare o preferisci fare un altro giorno?
Uhm...una talpa, anche se è imbranata, non rinuncia. Non ho trascorso una mattinata nel panico, non mi sono preparata psicologicamente e fisicamente, non sono venuta venuta qui partendo due ore prima, perdendomi e arrivando quasi tardi, per rinunciare.
Proviamo, sarò sempre in acqua, ma almeno avrò provato.
Tutto quel che fai oggi è importante.
Tradotto, non riuscirai a fare niente con questo tempo, è già tanto se riesci a salire sulla tavola.
Quanti litri erano le tavole che hai usato?
Boh.
La deriva su o giù?
A volte su e a volte giù (per non dire un altro boh)
Oggi però si plana. Hai mai planato?
Se è successo non me ne sono accorta.
Impossibile, quando si plana ti diverti moltissimo.
Uhm...

Va detto che sul concetto di divertimento mi turbo sempre parecchio. Il massimo divertimento per questo sport è andare con cento nodi, come pazzi, onde o non onde. Il massimo divertimento per me è avere un venticello giusto che mi gonfia la vela e mi fa andare, con un mare senza onde, solo qualche dolce ondina ogni tanto, il mare che brilla senza schiuma e i gabbiani che mi parlano. Questo è il wind surf che piace a me e infatti non è wind surf, farei meglio a prendere un pedalò.
Quando ci sono le condizioni ideali, quelle in cui dovrei planare e divertirmi, io sto con le mani talmente strette sul boma che mi viene un male cane agli avambracci, e l'unica cosa che riesco a ripetermi nella testa è 'non cadere, non cadere, non cadere' o anche 'respira, respira, respira' e non credo che l'espressione del mio viso sia di una che si sta divertendo come una pazza.
Comunque, con una tavola larga quanto il tavolo che ho in cucina e una vela 4.5 entriamo in acqua. Io, pantaloncini, licra a maniche lunghe e giubbotto. Lui, pantaloncini più aderenti dei miei, torso nudo e occhiali da sole scuri. Tutti gli insegnanti di wind surf maschi entrano in acqua con gli occhiali da sole per farti subito capire che loro, al contrario di te, non saranno sempre ad annaspare in acqua.
Salgo sulla tavola con una certa sicurezza perché non potevo fare subito una figuretta davanti al discretone.
Sei salita benissimo. Dice.
Talpa gongolante.
Tiro a me la vela, ci riesco, mi sento un portento, do uno strattone per partire e volo in acqua.
Splut.
Il primo di una lunga serie.
La cronaca della mia prima surfata sarebbe piuttosto ripetitiva e deprimente.
Però.
Sono partita quattro volte facendo quattro bordi.
Non sono mai riuscita a virare e tornare indietro.
Inoltre.
Alla prima caduta in acqua boccheggiavo, non solo per l'acqua bevuta, ma perché avevo dimenticato che appena entro in acqua, salgo sulla tavola e cado (perché la sequenza è sempre questa) le mie energie si esauriscono in un istante, come quando il cellulare ha il cento per cento di carica e improvvisamente va a zero e si spegne. Con la differenza che io non posso spegnermi e che dopo un'ora, quando lui mi chiedeva se ero stanca io rispondevo sempre 'per niente', anche se dal primo minuto stavo attingendo a una presa della corrente che non c'era.
La stanchezza è un fatto psicologico, diceva una mia insegnante di danza. Lei mi sa che non aveva mai surfato. E la mia non è stanchezza, è qualcosa di molto peggio. Come ho detto, è la barra dell'energia che precipita senza motivo.
Alla fine, quando io volevo riprovare per portare a casa almeno un'andata e ritorno con virata, il mare ha alzato le onde di un mezzo metro buono e lui, il discretone, non vedeva l'ora che mi arrendessi.
A un certo punto ha anche detto che aveva un problema a un tendine del braccio.
Non ho più muscolo, vedi? Ha detto.
Io ho guardato e non sono riuscita a vedere niente che non andasse nel suo muscolo.
Subito dopo, gli sono franata addosso.
Quando sono riemersa, splut, gli ho chiesto, mica ti ho rotto un altro tendine, splut?
Con un sorriso un po' tirato ha detto di no.
È un fissato sulla sicurezza e ha paura che ci si faccia male, quindi a tratti più che un corso di wund surf sembra un corso di pronto soccorso in acqua.
Io sono troppo impegnata a cercare di stare sulla tavola per pensare a come cadere. Inoltre, quando cado non capisco nemmeno come mi chiamo, figuriamoci come devo stare. E comunque gli ho detto di non starmi dietro se non voleva che gli franassi addosso.
Il discretone, va detto, ha perso un po' di punti quando ha cominciato a confrontare la mia prova di oggi a una partita di calcio.
È stato come un pareggio fuori casa, ha detto.
Però ora non valgono perché ci sono i tre punti (non ho idea di cosa siano 'sti tre punti), quindi dice che doveva essere un pareggio fuori casa però di coppa per essere contenti.
Lì ho capito che era tempo di uscire dall'acqua e salutarlo.
Ma ci rivedremo, con questo discretone poco polveroso e con gli occhiali da sole.
Perché la talpa, anche se è imbranata, non molla.