Durante l'inverno passato avevo imparato a ripetermi una cosa, ed era che i limiti, per essere superati, devono essere riconosciuti.
Insomma, fare finta di non vederli è fantastico ma non li rimuove e ti tiene sempre lì, ferma nell'illusione che non esistano, che è una scelta di tutto rispetto e più in linea con un sano panciolle, ma io mi ero messa in testa di superarli invece.
Naturalmente era la danza che mi richiamava alla mente questa filastrocca più di ogni altra cosa 'guarda ai tuoi limiti, talpa, riconoscili e li supererai'.
Ecco, me la sono cantata talmente tante volte che ho iniziato a crederci sul serio, ma non credo di averli superati i limiti però. L'unica differenza era che prima vivevo felice senza vederli mentre ora li vedo e non è divertente.
Lo sport è il mio limite più tragico. E si è manifestato in tenera età.
L'unica cosa che sono riuscita ad imparare è andare in bici e deve essere questo il motivo per cui la amo così tanto. Forse è stato il primo esempio (non vorrei dire l'unico) di limite brillantemente superato.
Lo so, è l'unico che superano tutti, ma io avrei potuto non riuscirci, quindi non sottovaluto la mia prodezza.
Poi fu la volta degli sport scolastici. Li odiavo talmente che al contrario di tutti, all'ora di educazione fisica avrei preferito un'ora di matematica.
L'incubo peggiore era la palla a mano (non so neppure se si scriva così e mi rifiuto di perdere tempo a controllare), quella roba che i professori amano, perché loro se ne possono stare in panciolle e i ragazzi (tutti tranne una) si divertono. Non esiste sport al mondo più brutto di quello. Quando le compagne si avvicinavano di corsa agguerrite per togliermi di mano una stupida palla (l'avrò avuta un paio di volte in tutto, forse) che io avrei ceduto più volentieri di qualunque altra cosa e più volentieri ancora l'avrei lanciata al di là del muro di cinta, non potevo fare a meno di chiedermi se fossero tutti pazzi o se lo fossi solo io.
La pallavolo era il secondo incubo. È probabile che richieda una velocità di pensiero che non ho e mai avrò. Nel tempo in cui dovevo decidere come mettere le mani, la palla arrivava, io non ero pronta e finivo per prenderla a metà tra le due posizioni, procurandomi immenso dolore alle dita e ai polsi, perché sono le palle più dure del mondo e invece di stare lì a riceverla, mi sarei scansata. Perché ricevere il dolore con gioia?
Le uniche volte in cui mi divertivo era quando si faceva il corpo libero.
Ho amato la danza da quando sono nata, compreso ogni suo dolore.
E quando un anno fa ho cominciato a fare yoga, dopo un mese che praticavo gli altri mi chiedevano se fossi un'insegnante.
Ecco, non per dire che fossi così brava, la domanda veniva solo perché quelli che fanno yoga, compresa la sottoscritta, non sono persone normali, dove per normale intendo qualcuno che non senta un bisogno quotidiano di contorcersi le ossa. Quelli che fanno yoga sono una massa di squinternati.
Poi ho smesso, ma solo perché erano troppo buoni, mentre io sono e voglio essere bizzosa.
Per tornare allo sport, che di nuovo fa da contrappunto alle pratiche libere per cui sono invece portata, in età adulta mi sono poi cimentata in due sport che mi piacevano. Il primo era il tennis, che utilizza anch'esso una palla, piccola però, quindi oltre al problema di prenderla si presentava il problema di riuscire a vederla.
Il mio insegnante diceva che prima di colpirla dovevo vedere la scritta, tanta era l'attenzione che dovevo porre su quella cosa gialla che volava impazzita. Come dirgli che io a malapena vedevo la sfera e che più si avvicinava più andavo nel panico.
Questo però, a differenza di quelli provati in età più tenera, mi piaceva molto, forse grazie anche all'insegnante bravo e paziente che probabilmente faceva dell'insegnamento agli inetti la sua missione. Se riesco a far palleggiare lei non mi ferma più nessuno, era il suo mantra.
Così ho imparato che anche quando lo sport mi piaceva, il mio corpo lo rifiutava.
Dopo due anni di assidua frequenza ai corsi, perché quando mi piace qualcosa sono la più ligia degli allievi, mi sono arresa. Ho chiuso la mia carriera su un rovescio lungolinea con cui ho fatto un punto strepitoso e rotto le corde della mia racchetta. Che è rimasta così, a ricordare che ho chiuso su un momento di gloria, forse il più glorioso della mia vita.
L'insegnante, va detto, non era più lo stesso e quello nuovo non faceva dell'apprendimento degli imbranati la sua missione, ma anzi li avrebbe soppressi volentieri.
E veniamo al punto.
Il wind surf.
Da anni faccio lezioni e tutti, nessuno escluso, compresi i bambini di otto anni, dopo un tale numero di lezioni sono in grado di prendersi le tavole e andarsene in giro per i mari in lungo e in largo.
Io no.
Io continuo a fare lezione, a essere una principiante, a considerarmi tale e a non sentirmi in grado di prendere una tavola a andare.
Io negli sport mi sento sempre una principiante, non divento mai grande e indipendente.
Perché per gli sport non sono portata e dovrei abbozzarla una volta per tutte.
Perché sono una danzatrice e uso il mio corpo senza strumenti, palle, palline, racchette, tavole o vele.
Fatto sta che lunedì primo agosto farò la prima lezione di wind surf della stagione, in un mare nuovo, ondoso, insidioso e nella mia testa infestato da squali e vortici assetati di surfiste inette e con un insegnante nuovo. Forse perché penso che cambiare tutto possa modificare anche me, ma non è così.
Cambiare posto e insegnante non modifica la realtà.
Che la talpa non è portata per gli sport, che le piacciano oppure no e dovrebbe accettare questo limite, una volta per tutte.
Insomma, fare finta di non vederli è fantastico ma non li rimuove e ti tiene sempre lì, ferma nell'illusione che non esistano, che è una scelta di tutto rispetto e più in linea con un sano panciolle, ma io mi ero messa in testa di superarli invece.
Naturalmente era la danza che mi richiamava alla mente questa filastrocca più di ogni altra cosa 'guarda ai tuoi limiti, talpa, riconoscili e li supererai'.
Ecco, me la sono cantata talmente tante volte che ho iniziato a crederci sul serio, ma non credo di averli superati i limiti però. L'unica differenza era che prima vivevo felice senza vederli mentre ora li vedo e non è divertente.
Lo sport è il mio limite più tragico. E si è manifestato in tenera età.
L'unica cosa che sono riuscita ad imparare è andare in bici e deve essere questo il motivo per cui la amo così tanto. Forse è stato il primo esempio (non vorrei dire l'unico) di limite brillantemente superato.
Lo so, è l'unico che superano tutti, ma io avrei potuto non riuscirci, quindi non sottovaluto la mia prodezza.
Poi fu la volta degli sport scolastici. Li odiavo talmente che al contrario di tutti, all'ora di educazione fisica avrei preferito un'ora di matematica.
L'incubo peggiore era la palla a mano (non so neppure se si scriva così e mi rifiuto di perdere tempo a controllare), quella roba che i professori amano, perché loro se ne possono stare in panciolle e i ragazzi (tutti tranne una) si divertono. Non esiste sport al mondo più brutto di quello. Quando le compagne si avvicinavano di corsa agguerrite per togliermi di mano una stupida palla (l'avrò avuta un paio di volte in tutto, forse) che io avrei ceduto più volentieri di qualunque altra cosa e più volentieri ancora l'avrei lanciata al di là del muro di cinta, non potevo fare a meno di chiedermi se fossero tutti pazzi o se lo fossi solo io.
La pallavolo era il secondo incubo. È probabile che richieda una velocità di pensiero che non ho e mai avrò. Nel tempo in cui dovevo decidere come mettere le mani, la palla arrivava, io non ero pronta e finivo per prenderla a metà tra le due posizioni, procurandomi immenso dolore alle dita e ai polsi, perché sono le palle più dure del mondo e invece di stare lì a riceverla, mi sarei scansata. Perché ricevere il dolore con gioia?
Le uniche volte in cui mi divertivo era quando si faceva il corpo libero.
Ho amato la danza da quando sono nata, compreso ogni suo dolore.
E quando un anno fa ho cominciato a fare yoga, dopo un mese che praticavo gli altri mi chiedevano se fossi un'insegnante.
Ecco, non per dire che fossi così brava, la domanda veniva solo perché quelli che fanno yoga, compresa la sottoscritta, non sono persone normali, dove per normale intendo qualcuno che non senta un bisogno quotidiano di contorcersi le ossa. Quelli che fanno yoga sono una massa di squinternati.
Poi ho smesso, ma solo perché erano troppo buoni, mentre io sono e voglio essere bizzosa.
Per tornare allo sport, che di nuovo fa da contrappunto alle pratiche libere per cui sono invece portata, in età adulta mi sono poi cimentata in due sport che mi piacevano. Il primo era il tennis, che utilizza anch'esso una palla, piccola però, quindi oltre al problema di prenderla si presentava il problema di riuscire a vederla.
Il mio insegnante diceva che prima di colpirla dovevo vedere la scritta, tanta era l'attenzione che dovevo porre su quella cosa gialla che volava impazzita. Come dirgli che io a malapena vedevo la sfera e che più si avvicinava più andavo nel panico.
Questo però, a differenza di quelli provati in età più tenera, mi piaceva molto, forse grazie anche all'insegnante bravo e paziente che probabilmente faceva dell'insegnamento agli inetti la sua missione. Se riesco a far palleggiare lei non mi ferma più nessuno, era il suo mantra.
Così ho imparato che anche quando lo sport mi piaceva, il mio corpo lo rifiutava.
Dopo due anni di assidua frequenza ai corsi, perché quando mi piace qualcosa sono la più ligia degli allievi, mi sono arresa. Ho chiuso la mia carriera su un rovescio lungolinea con cui ho fatto un punto strepitoso e rotto le corde della mia racchetta. Che è rimasta così, a ricordare che ho chiuso su un momento di gloria, forse il più glorioso della mia vita.
L'insegnante, va detto, non era più lo stesso e quello nuovo non faceva dell'apprendimento degli imbranati la sua missione, ma anzi li avrebbe soppressi volentieri.
E veniamo al punto.
Il wind surf.
Da anni faccio lezioni e tutti, nessuno escluso, compresi i bambini di otto anni, dopo un tale numero di lezioni sono in grado di prendersi le tavole e andarsene in giro per i mari in lungo e in largo.
Io no.
Io continuo a fare lezione, a essere una principiante, a considerarmi tale e a non sentirmi in grado di prendere una tavola a andare.
Io negli sport mi sento sempre una principiante, non divento mai grande e indipendente.
Perché per gli sport non sono portata e dovrei abbozzarla una volta per tutte.
Perché sono una danzatrice e uso il mio corpo senza strumenti, palle, palline, racchette, tavole o vele.
Fatto sta che lunedì primo agosto farò la prima lezione di wind surf della stagione, in un mare nuovo, ondoso, insidioso e nella mia testa infestato da squali e vortici assetati di surfiste inette e con un insegnante nuovo. Forse perché penso che cambiare tutto possa modificare anche me, ma non è così.
Cambiare posto e insegnante non modifica la realtà.
Che la talpa non è portata per gli sport, che le piacciano oppure no e dovrebbe accettare questo limite, una volta per tutte.