Thursday, June 30, 2016

Lo sgabello (non voglio dire da cosa).

Oggi ho scoperto che essere una talpa cicala può avere i suoi svantaggi.
L'ho scoperto grazie alla coda di quel che accadde circa un mese fa e di cui quasi mi ero dimenticata, perché chi la fa l'aspetti (anche se i proverbi non li sopporto).
Un giorno, il ventotto maggio pare recitare la ricevuta, ero qui, seduta a questo tavolo, nella mia tana e mi sforzavo, invano, di lavorare. Erano tempi in cui forse abitava ancora qui quella scriteriata di TT, quindi dovevo inventarle tutte per sfuggirla.
Da tempo non facevo altro che lamentarmi della scomodità della mia postazione di lavoro, cosa che accadeva semplicemente perché quel che mi stava scomodo era il lavoro stesso, più che la postazione. Ma come ho detto altre volte, sono bravissima a raccontarmela.
Quindi cercai una scappatoia e con una certa fierezza devo dire che sono maestra nell'arte di sfuggire al lavoro. Sì, questa cosa mi rende felice, perché è una dote che non si altera col tempo, col caldo, col freddo, con la latitudine e neppure con l'altitudine.
E proprio qui volevo giungere, all'altitudine, perché invece questa potrebbe minare le fondamenta della mia esistenza panciollosa. 
Quel sabato decisi che non avrei potuto eseguire un altro grammo di lavoro senza uno sgabello che mi portasse in alto. Volevo stare sopra, sopra al mio Tbook, sopra al cavalletto, sopra ai fogli da disegno, sentii che se non mi fossi innalzata la mie ore non sarebbero state degne di essere vissute.
Lo spazio tra tale irresistibile consapevolezza e il trovarmi fuori dalla porta durò non più di dieci minuti.
Dopo una infruttuosa ricerca su internet una mia amica mi aveva indicato un negozio in cui avrei potuto trovare proprio quel che cercavo. Era piuttosto lontano dalla mia tana, ma quando sono mossa da tali propositi potrei percorrere chilometri come fossero pochi metri. Era un giorno caldo e mi persi anche, ma alla fine lo raggiunsi.
A una rapida occhiata sembrava chiuso, tanto era buio quel posto, ma dopo tutti quei chilometri provai ugualmente con la zampina a spingere la porta, che cedette sotto la pressione della mia mano. Felice momento.
Attraversai il negozio in penombra per raggiungere una coppia sonnecchiante seduta a un tavolo lungo e largo. 
'Buongiorno signori. Io sto cercando uno sgabello regolabile in altezza'.
I due si guardarono poi parlarono tra loro.
'Uno sgabello da lavoro quindi (io questo termine avrei voluto evitarlo), potremmo farle vedere quello...bla bla... bla bla...'
Io li corressi, perché cominciare un rapporto di acquisto sulla parola lavoro mi pareva increscioso.
'Uno sgabello da disegnatore'.
'Sì sì certo'
Disse lui come se fosse stata la stessa cosa, insomma non colse la sfumatura. Intanto aveva preso il catalogo sbagliato.
'No, è in quell'altro'.
Disse lei.
E mi mostrarono il prodigio su cui ora poggia il mio culino.
'Ehm, sembra carino, ma non ne avreste uno da farmi vedere?'
Si guardarono di nuovo. Era evidente che avevo interrotto la siesta e che nessuno sarà mai entrato in quel negozio alle due di un sabato.
Poi lui si illuminò.
'Sì, ne ho uno appena montato di un signore che non è ancora venuto a prenderlo. Te lo faccio vedere'.
E andò nelle segrete a cercarlo. 
Io lo provai, lo trovai comodo, poggiai le zampine sul poggiapiedi e lui mi disse che era tutto regolabile. 
'È carino, solo un po' troppo nero. Non esisterebbe lo stesso colorato?'
'No, c'è solo nero'
'Va bene, in effetti non è male neppure nero. Non esisterebbe col poggiapiedi in acciaio?'
Lui si turbò.
'Non so, si può guardare, però ora li fanno tutti così perché il piede non scivola e si sta più comodi'
E fu talmente convincente che se avesse osato propormi un poggiapiedi in acciaio avrei piantato una bizzella da mettere a soqquadro il negozio.
'Va bene, io credo proprio che lo prenderò questo perfetto sgabello'
Loro tacquero.
'Lo vorresti coi piedini o le ruote?'
Chiese poi lui, ributtandomi nella confusione.
'Secondo me però per lavorare è meglio coi piedi, fisso, tanto le ruote costano otto euro, se poi le vuoi le puoi sempre prendere e sostituire'
E piedini furono, mentre riflettevo se fosse il caso di prenderle subito quelle ruotine eventuali, ma fui saggia e decisi di aspettare su quelle. A volte mi stupisco di me stessa.
'D'accordo, lo prendo!'
Dissi infine.
'Va bene, ci servirebbe però un piccolo acconto'
'Non c'è problema, anzi lo pago tutto subito'
Questa cosa a volte la faccio non per fare la sborona, ma perché così quando l'oggetto arriva io non devo pagarlo e mi sembra un regalo. È una cosa un po' magica.
Me ne andai ringraziandoli e dicendo che mi avevano svoltato la giornata e salvato la vita e che quello era il negozio più fantastico del mondo.
Li lasciai più perplessi che mai.
Poi la vita riprese il suo corso e io quasi mi dimenticai di lui.
Fino a oggi. Perché l'universo ci mette sempre, sempre, lo zampino.
Era un giorno, quello odierno, in cui non riuscivo a concentrarmi e ogni minuscola cosa era motivo di distrazione. Una canzone sbagliata, una folata di vento, un foglia che si muove, una briciola sul tavolo, una penna che rotola e ogni attività esterna richiamava la mia attenzione in modo irresistibile. Ma poi è arrivato lui.
Lo sgabello work. Così è definito, nonostante la mia correzione. A ripensarci ora, non avrei dovuto comprarlo, ma è tardi per i ripensamenti.
Alla notizia dell'arrivo ho pensato che fosse la giusta motivazione, quell'iniezione di entusiasmo che mi serviva, la novità che mi avrebbe riportato la concentrazione e la volontà di cui ho bisogno.
Cinque minuti e fuori di nuovo, la talpa ha affrontato i chilometri che la separavano da quel negozio e la calura estiva, perché ci è andata alle ore tredici, mica ha potuto aspettare, per andare a ritirarlo.
Il negozio riposava nella penombra come l'altra volta, quindi non era questione di sabato e i due sonnecchiavano come sempre. 
'Buongiorno, sono venuta a ritirare lo sgabello'
'Ah, sì, lo sgabello da lavoro...'
'Umpf!'
Lui è andato di nuovo nelle segrete, per prendere il mio stavolta.
'Vedi, azionando questa levetta si alza e si abbassa, qui regoli i piedi e con questa lo schienale'
'Bello, mi piace'
E mi sono seduta felice mentre loro mi chiamavano un taxi che mi riportasse a casa con l'oggetto.
Il taxi non si trovava e lei era un po' imbizzita, perché dice che non si trovano mai, io non mi turbavo per niente perché ero seduta sul mio sgabellino e più tardi tornavo nella tana meglio era.
Ma poi il taxi è spuntato fuori purtroppo e in breve non solo mi ha riportato a casa, ma il tassista ha detto 'se mi apri il portone te lo porto dentro'.
Non c'erano dubbi, dovevo andare nella tana munita di sgabello.
Ecco perché ora sono quassù seduta, su uno sgabello che si ostinano a chiamare da lavoro e che non ha neppure i braccioli, tanto poco è adatto allo scivolamento verso il panciolle.
Eccomi qui a realizzare quanto sia stato incauto il mio acquisto.
Uno sgabello da lavoro.
Cosa diavolo mi è passato per la chiorbina, in quel lontano ventotto maggio?

Lo sgabello (non voglio dire da cosa).

Oggi ho scoperto che essere una talpa cicala può avere i suoi svantaggi.
L'ho scoperto grazie alla coda di quel che accadde circa un mese fa e di cui quasi mi ero dimenticata, perché chi la fa l'aspetti (anche se i proverbi non li sopporto).
Un giorno, il ventotto maggio pare recitare la ricevuta, ero qui, seduta a questo tavolo, nella mia tana e mi sforzavo, invano, di lavorare. Erano tempi in cui forse abitava ancora qui quella scriteriata di TT, quindi dovevo inventarle tutte per sfuggirla.
Da tempo non facevo altro che lamentarmi della scomodità della mia postazione di lavoro, cosa che accadeva semplicemente perché quel che mi stava scomodo era il lavoro stesso, più che la postazione. Ma come ho detto altre volte, sono bravissima a raccontarmela.
Quindi cercai una scappatoia e con una certa fierezza devo dire che sono maestra nell'arte di sfuggire al lavoro. Sì, questa cosa mi rende felice, perché è una dote che non si altera col tempo, col caldo, col freddo, con la latitudine e neppure con l'altitudine.
E proprio qui volevo giungere, all'altitudine, perché invece questa potrebbe minare le fondamenta della mia esistenza panciollosa. 
Quel sabato decisi che non avrei potuto eseguire un altro grammo di lavoro senza uno sgabello che mi portasse in alto. Volevo stare sopra, sopra al mio Tbook, sopra al cavalletto, sopra ai fogli da disegno, sentii che se non mi fossi innalzata la mie ore non sarebbero state degne di essere vissute.
Lo spazio tra tale irresistibile consapevolezza e il trovarmi fuori dalla porta durò non più di dieci minuti.
Dopo una infruttuosa ricerca su internet una mia amica mi aveva indicato un negozio in cui avrei potuto trovare proprio quel che cercavo. Era piuttosto lontano dalla mia tana, ma quando sono mossa da tali propositi potrei percorrere chilometri come fossero pochi metri. Era un giorno caldo e mi persi anche, ma alla fine lo raggiunsi.
A una rapida occhiata sembrava chiuso, tanto era buio quel posto, ma dopo tutti quei chilometri provai ugualmente con la zampina a spingere la porta, che cedette sotto la pressione della mia mano. Felice momento.
Attraversai il negozio in penombra per raggiungere una coppia sonnecchiante seduta a un tavolo lungo e largo. 
'Buongiorno signori. Io sto cercando uno sgabello regolabile in altezza'.
I due si guardarono poi parlarono tra loro.
'Uno sgabello da lavoro quindi (io questo termine avrei voluto evitarlo), potremmo farle vedere quello...bla bla... bla boa...'
Io li corressi, perché cominciare un rapporto di acquisto sulla parola lavoro mi pareva increscioso.
'Uno sgabello da disegnatore'.
'Sì sì certo'
Disse lui come se fosse stata la stessa cosa, insomma non colse la sfumatura. Intanto aveva preso il catalogo sbagliato.
'No, è in quell'altro'.
Disse lei.
E mi mostrarono il prodigio su cui ora poggia il mio culino.
'Ehm, sembra carino, ma non ne avreste uno da farmi vedere?'
Si guardarono di nuovo. Era evidente che avevo interrotto la siesta e che nessuno sarà mai entrato in quel negozio alle due di un sabato.
Poi lui si illuminò.
'Sì, ne ho uno appena montato di un signore che non è ancora venuto a prenderlo. Te lo faccio vedere'.
E andò nelle segrete a cercarlo. 
Io lo provai, lo trovai comodo, poggiai le zampine sul poggiapiedi e lui mi disse che era tutto regolabile. 
'È carino, solo un po' troppo nero. Non esisterebbe lo stesso colorato?'
'No, c'è solo nero'
'Va bene, in effetti non è male neppure nero. Non esisterebbe col poggiapiedi in acciaio?'
Lui si turbò.
'Non so, si può guardare, però ora li fanno tutti così perché il piede non scivola e si sta più comodi'
E fu talmente convincente che se avesse osato propormi un poggiapiedi in acciaio avrei piantato una bizzella da mettere a soqquadro il negozio.
'Va bene, io credo proprio che lo prenderò questo perfetto sgabello'
Loro tacquero.
'Lo vorresti coi piedini o le ruote?'
Chiese poi lui, ributtandomi nella confusione.
'Secondo me però per lavorare è meglio coi piedi, fisso, tanto le ruote costano otto euro, se poi le vuoi le puoi sempre prendere e sostituire'
E piedini furono, mentre riflettevo se fosse il caso di prenderle subito quelle ruotine eventuali, ma fui saggia e decisi di aspettare su quelle. A volte mi stupisco di me stessa.
'D'accordo, lo prendo!'
Dissi infine.
'Va bene, ci servirebbe però un piccolo acconto'
'Non c'è problema, anzi lo pago tutto subito'
Questa cosa a volte la faccio non per fare la sborona, ma perché così quando l'oggetto arriva io non devo pagarlo e mi sembra un regalo. È una cosa un po' magica.
Me ne andai ringraziandoli e dicendo che mi avevano svoltato la giornata e salvato la vita e che quello era il negozio più fantastico del mondo.
Li lasciai più perplessi che mai.
Poi la vita riprese il suo corso e io quasi mi dimenticai di lui.
Fino a oggi. Perché l'universo ci mette sempre, sempre, lo zampino.
Era un giorno, quello odierno, in cui non riuscivo a concentrarmi e ogni minuscola cosa era motivo di distrazione. Una canzone sbagliata, una folata di vento, un foglia che si muove, una briciola sul tavolo, una penna che rotola e ogni attività esterna richiamava la mia attenzione in modo irresistibile. Ma poi è arrivato lui.
Lo sgabello work. Così è definito, nonostante la mia correzione. A ripensarci ora, non avrei dovuto comprarlo, ma è tardi per i ripensamenti.
Alla notizia dell'arrivo ho pensato che fosse la giusta motivazione, quell'iniezione di entusiasmo che mi serviva, la novità che mi avrebbe riportato la concentrazione e la volontà di cui ho bisogno.
Cinque minuti e fuori di nuovo, la talpa ha affrontato i chilometri che la separavano da quel negozio e la calura estiva, perché ci è andata alle ore tredici, mica ha potuto aspettare, per andare a ritirarlo.
Il negozio riposava nella penombra come l'altra volta, quindi non era questione di sabato e i due sonnecchiavano come sempre. 
'Buongiorno, sono venuta a ritirare lo sgabello'
'Ah, sì, lo sgabello da lavoro...'
'Umpf!'
Lui è andato di nuovo nelle segrete, per prendere il mio stavolta.
'Vedi, azionando questa levetta si alza e si abbassa, qui regoli i piedi e con questa lo schienale'
'Bello, mi piace'
E mi sono seduta felice mentre loro mi chiamavano un taxi che mi riportasse a casa con l'oggetto.
Il taxi non si trovava e lei era un po' imbizzita, perché dice che non si trovano mai, io non mi turbavo per niente perché ero seduta sul mio sgabellino e più tardi tornavo nella tana meglio era.
Ma poi il taxi è spuntato fuori purtroppo e in breve non solo mi ha riportato a casa, ma il tassista ha detto 'se mi apri il portone te lo porto dentro'.
Non c'erano dubbi, dovevo andare nella tana munita di sgabello.
Ecco perché ora sono quassù seduta, su uno sgabello che si ostinano a chiamare da lavoro e che non ha neppure i braccioli, tanto poco è adatto allo scivolamento verso il panciolle.
Eccomi qui a realizzare quanto sia stato incauto il mio acquisto.
Uno sgabello da lavoro.
Cosa diavolo mi è passato per la chiorbina, in quel lontano ventotto maggio?

Sunday, June 26, 2016

Pensavo di essere avanti.

Le delusione è maggiore quando si pensa addirittura di aver spiccato un bel balzo in avanti come una pantera che si lancia dal ramo di un albero, ammesso che ci salgano le pantere sugli alberi.
Nelle mie visite quasi quotidiane al signor Thaddeus arrancavo, sudavo, mi imbizzivo, mi contorcevo sulla mia chitarrina in quel modo che lui aveva indicato come sbagliato senza possibilità di appello, ma insomma, gli stavo dietro, non mollavo.
Un giorno poi, credevo di essere stata ripagata di tutti i miei sforzi.
Perché una delle frasine che mi racconto spesso (la mia testa ultimamente è fatta di stupide frasine) è che non c'è risultato che non si ottenga con il lavoro. Questa la applico soprattutto alle pirouettes, perché più o meno ho una frasina per ogni occasione (se questo computer non smette di scrivermi fratina anziché frasina lo faccio volare dalla finestra, a proposito di pazienza). Dicevo che per le pirouettes mi racconto quella, anche se il lavoro non mi sta portando da nessuna parte e farei meglio a starmene in panciolle, ma sono cocciuta o forse la frasina me l'ha lasciata TT per fregarmi. Capacissima quella lì.
Insomma, un giorno il signor Thaddeus dice che era tempo di passare a una major scale, come fosse stato un salto di qualità notevole. Quale la mia sorpresa e la mia gioia nello scoprire che non solo la conoscevo e la eseguivo, ma ne facevo perfino una versione più ampliata della sua. È mancato poco che gli scrivessi se voleva che lo sostituissi ogni tanto nel suo ruolo di insegnante, che so, quando voleva prendersi qualche giorno di riposo. Mi sono anche detta che era stato inutile perdere tempo dietro a tutte quelle cosucce precedenti e se avessi saputo prima che non le conoscevo solo perché ero avanti anni luce, col cavolo che mi ci sarei fatta venire i calletti sui polpastrelli.
E poi, la disastrosa ricaduta.
Quello lì (non riesco più a chiamarlo signor Thaddeus) si è messo a fare le scale saltando delle note e per quanto questo mi turbi con un po' di pazienza (sempre lei) lo seguo. Da tale sottrazione pare vengano fuori, miracolosamente, degli accordi. Gli accordi sono quelle cose antitalpa in cui i ditini devono stare su più corde contemporaneamente e con l'altra fai una bella strimpellata, che si chiama strimming e viene fuori quello che deve venire. Che dovrebbe, nel mio caso, perché le mie dita su più corde contemporaneamente non ci vogliono stare e su questo sono state molto chiare.
Su alcuni ero riuscita però a venire a patti con loro, finché non ne è giunto uno impossibile. Una delle mie frasine è che il modo di affrontare l'impossibile è pensarlo possibile, anzi la frase è di Alice, ma grazie al signor Thaddeus, ovvero quello lì, mi sono dovuta scontrare con un impossibile che non può diventare possibile nemmeno se mi trasferisco in un altro corpo.
Trattasi di un accordo di cui ho dimenticato il nome, perché rimosso, in cui il terzo dito sta sulla sesta corda e il mignolino sulla prima. La distanza fra queste due corde è maggiore di quella fra queste mie due dita. Ci ho provato in tutti i modi, ho rischiato anche di fratturarlo con l'altra mano mentre cercavo di piazzarlo, ma non c'è stato verso. Ho pensato che solo tagliando il tendine nel mezzo forse potrei farcela, ma non ne sono sicura.
Allora mi sono accasciata sulla chitarrina, ho chiuso la porta in faccia a quello lì, non prima di inviare alle sue mani ondate di odio e anche a tutta la sua persona che sparge disperazione nel mondo senza rendersene conto.
A computer spento, da sola con la mia chitarrina fra le mani mi sono detta che l'unico modo è cercare canzoncine che non contengano l'accordo infernale, e soprattutto che non ne esistano altri simili, perché forse posso vivere evitandone uno, ma se il loro numero crescesse, il campo delle canzoncini suonabili da me potrebbe restringersi in modo pauroso.
Il punto è che io non li voglio gli accordi, io voglio quegli spartitucci in cui si suona una nota per volta, proprio come la mia canzoncina adorata.
Ma perché mi devono sempre complicare tutto?
E come faccio a coltivare la pazienza se il mondo intero si comporta così?

Friday, June 24, 2016

Il manuale della vita.

Oggi è una di quelle giornate in cui il mondo intero mi si spiana davanti senza ostacoli, ecco perché è piena di trappole. 
Intanto sono le undici e ho appena acceso il computer dopo aver dormito qualcosa come dieci ore, aver fatto una colazione che avrebbe potuto non avere fine e agganciarsi direttamente a quella di domani, continuando a pensare che non si contano le cose che potrò fare oggi. Ecco, forse non si contano perché se continuo così non arriverò neanche all'uno. 
Senza parlare del pericolo che quell'antipatica di TT bussi alla mia porta e si stabilisca di nuovo nella mia tana. Lo so che essere mossa al lavoro da questa minacciosa prospettiva non è la condizione ideale, ma al momento non credo di poterci fare granché, quindi cerco di accontentarmi della sua dipartita sperando di non vedere più il suo brutto muso.
È noto a tutti tranne che a me, visto che le cose insidiose tendo a evitarle, che sto coltivando l'arte della pazienza. O almeno mi piace dirlo, perché sulla parte pratica ho molte difficoltà. Prima fra tutte la mancanza di un manuale e io ormai senza un manualetto fra le zampine non mi muovo. Certo, ne ho letti alcuni, ma li aveva scritti qualche monaco o il Dalai Lama in persona e quelli non solo non contano, ma sono talmente demoralizzanti da sortire l'effetto contrario. In che mondo vivono questi? Appunto, non nel nostro e se per mondo si intende addirittura la loro chiorbina si capisce che quei libri una talpa non può leggerli, o può farlo, a suo rischio e pericolo però.
No, io cerco IL MANUALE. Vale a dire uno scritto, una testimonianza di qualcuno simile a me che ce l'ha fatta e che racconti passo dopo passo come abbia fatto a riuscirci. Il manuale di qualcuno che sia bizzoso come me e che sia nato sprovvisto di pazienza, come una carenza nel dna, qualcuno che non sappia neanche di cosa si stia parlando e che non viva in un monastero, ma nel mondo, insidioso e fatto apposta per tendere trappole a quelli come noi, o forse dovrei dire come me, perché a volte penso di essere l'unica e non in senso positivo.
Però non si può dire che non mi ci impegni, perché in tutto questo continuo a essere cocciuta e talvolta perfino i difetti possono essere d'aiuto.
Poiché il manuale per ora non l'ho trovato al supermercato, e neppure nelle librerie universitarie, per dire che ho spaziato in ambienti fra i più diversi, perché una tale ricerca non deve lasciare nulla di intentato, insomma, siccome non si trova, per non perdere tempo nel frattempo ho deciso di imparare dal manuale che mi si presenta davanti agli occhi, vale a dire la vita. Incomprensibile. 
Ma mi sono detta una cosa furbissima. I grandi insegnamenti non possono venire dai grandi avvenimenti, perché di quelli quanti ce ne saranno nella vita, due, tre, quattro, mettiamo pure dieci, ma sempre pochi sono, perché possano essere fonte di grandi apprendimenti, quindi la sostanza deve stare nelle cose piccine, più insignificanti sono e meglio è. Quindi ho deciso di portare il mio interesse su di loro, su quelle cose piccine, minuscole, insignificanti. È durissima, se si considera che finora non le avevo degnate di un solo sguardo. Del resto che il manuale vita sia dispettoso si è capito ormai, e quindi ci sta che i grandi insegnamenti stiano nelle cose piccine e quelli piccoli nelle cose enormi. È tipico della vita giocare questi brutti scherzi, ma io ho deciso di mettermici di impegno e anche se l'attitudine dovrebbe essere, appunto, paziente e pacifica, la mia è da guerriglia. Sono anche vestita in modo opportuno e anche sull'abito ho dovuto ragionare. Dapprima avevo pensato a una specie di armatura, ma poi ho capito che non avrebbe giovato alla mia femminilità e che nei periodi estivi avrebbe presentato qualche problema. Ho optato quindi per un costume da super eroina, blu e rosso non per copiare superman, ma perché il mio aeroplanino ha gli stessi colori e vola, come ogni supereroe che si rispetti. Nella versione estiva i pantaloncini sono corti, la mantellina corta anche lei, con un bordo blu in fondo e la maglietta con uno scollo a v, che mi sta bene. Ecco.
Lo studio si è concentrato in modo particolare sul percorso mattutino in bicicletta. Ho cercato di studiare gli ostacoli e di affrontarli secondo un ipotetico manuale della pazienza.
Se i giapponesi si fermano davanti alla ruota per fare dieci foto, non investirli.
Se escono da una stradina in formazione fila di centocinquanta e non intendono separarsi per farti passare a costo di rimetterci la pelle, non entrare di prepotenza rischiando di falciarli, ma aspetta che passino tutti e osservali sorridendo.
Se il semaforo è rosso non cercare di salire sulle automobili e su quelli davanti che stringono l'unico passaggio possibile, non salire sul marciapiede, non sbuffare, non chiedere permesso, insomma fermati e smetti di pensare che una bici non dovrebbe mai fermarsi, rosso verde o viola che sia.
Se nelle rastrelliere le bici sono legate in modo selvaggio e come ti avvicini per mettere la tua ti si rovesciano addosso non prenderle a pedate, non infamare il proprietario, ma raccattale paziente, sorridi, fa loro una carezzina e poi, eventualmente lega la tua.
Se motorini, ciclisti molto più selvaggi di te, perché loro sono il vero pericolo, camion, pedoni, gente che corre, cavalli di ogni tipo, rischiano ogni secondo di venirti addosso, non pensare che fare la stessa cosa sia la soluzione, ma rallenta.
Se quello che va in bici portando quintali di schiacciata che penzolano dalla cassetta dietro, rischiando di perdere pezzi ogni secondo e spandendo un profumino irresistibile, non seguirlo senza più capire niente, ma mantieni la tua strada, senza andare dietro alle distrazioni.
Se nelle strade ci sono più buche e mattoni che si sollevano che pezzi lisci e adatti, vai piano e cerca di evitarle le buche, anche se sei una talpa, perché correre finendo dentro a tutte quelle che ti capitano a tiro non solo può spaccare la bici, ma non è saggio e neppure più veloce.
Se comincia a piovere a dirotto, fermati sotto una tettoina, invece di continuare a correre anche se non hai fretta.
Se ogni dieci metri trovi una strada sbarrata per lavori, invece di montare su transenne e marciapiede perché vuoi passare da lì costi quel che costi, accetta la deviazione che ti viene proposta e chissà che non ci sia qualcosa di interessante da scoprire proprio lì dietro.
E soprattutto, non correre, ma osserva.
Ehm...potrei andare all'infinito ma mi fermo qui perché sento che TT sta arrivando.
Comunque ecco cosa può offrire un giro in bici in materia di pazienza. 
Quel che non riesco a capire è se questo tipo di insegnamenti tratti dalla vita, anziché da un bel manualetto letto in poltrona, siano vantaggiosi o svantaggiosissimi, dove per vantaggio e svantaggio intendo la differenza tra quello che sarei portata a fare e a pensare  e quel che un simile tipo di comportamento e di osservazione imporrebbe.
E se rivedessi il mio proposito di coltivare la pazienza?
Non è che abbia sbagliato obiettivo?
Non ne esiste uno più bellino e anche più adatto a me?

Friday, June 17, 2016

Il signor Thaddeus (sempre lui).

Ogni volta che apro il rubinetto dico 'wow', perché tanta acqua così, nella mia tana quassù in cima, non l'ho mai avuta. Quindi dopo una settimana di carenze idriche è tornata più baldanzosa che mai. Un saggio zen non ci vedrebbe niente di strano in questo andamento. Io dico solo wow e non riesco a non stupirmene tutte le volte.
Ma non passo la giornata solo ad aprire i rubinetti per verificare che l'abbondanza sia sempre immutata (e lo è), faccio anche altro.
Ad esempio continuo a frequentare il signor Thaddeus. Se faccio progressi? Ehm... non saprei. A giudicare dalla dimostrazione degli errori che mi ha dato ieri forse dovrei dire di no, ma tendo a sorvolare su questi stupidi cavilli. Anche se non credo di poter avere dubbi sul significato della parola contortionist, inglese o no mi pare abbastanza chiaro che quei contorsionismi non andrebbero eseguiti. Io non faccio altro che quelli. 
Il signor Thaddeus ha speso svariati minuti del suo video a mostrare ciò che non si dovrebbe fare. Inutile dire che avrei preferito li occupasse in altro modo. Niente contorsionismi, niente rigidità nella mano, nelle dita, nel braccio, da nessuna parte insomma. La chitarrina va suonata belli rilassati, con una manina verticale e allegra. Io gli errori che ha mostrato li faccio tutti. In pratica, grazie alla sua dimostrazione, ho scoperto che sto tutta nell'area 'ciò che non andrebbe mai fatto suonando una chitarra'.
Ma c'è anche una buona notizia, ed è che non mi sono scoraggiata per niente. Non che abbia corretto le mie attitudini sbagliate, no, ho continuato semplicemente a suonare come mi pare. Non perché voglia essere cocciuta, no, stavolta non si tratta di cocciutaggine, ma è l'unico modo in cui mi riesce per ora e allora la differenza per me non sta nel contorsionismo o non contorsionismo, ma tra il fare o non fare, tra il perseverare e il mollare e io ho scelto il primo e se questo comporta che mi ritrovi con una manina tutta anchilosata, chi se ne importa, il gioco vale la candela. E chissà che un giorno non riesca anche a usarla come si deve, ma certo se smettessi ora non arriverei mai al punto di scoprirlo.
Ho fatto anche delle chromatic scale insieme a mister Thaddeus che a un certo punto prende il suo handy-dandy metronome, così lo chiama lui il mio incubo e lo accende a una nice slow speedy che mi manda in pappa il cervello, ma provo ugualmente ad arrancargli dietro. Quelle poche (pochissime) volte che riesco a seguirlo nelle scale, lui e il suo dandy dandy friend, è bello. Se perdo una sola nota vado così nel pallone che mi ritrovo contorsionista non solo nella mano, ma tutto mi si contorce attorno al manico della chitarra. 
Poi lui, tanto per fare un po' il ganzino, fa tutto a una velocità che le dita neanche le vedo muoversi, le sue corde suonano appena le sfiora e non mi pare ci debba mettere la forza che ci devo mettere io, quindi è ovvio che la domanda che mi faccio tutte le volte è se non sia la mia chitarrina classica sbagliata piuttosto che io e confesso che una risposta a sfavore della prima mi farebbe parecchio comodo.
Il signor Thaddeus però dice che se ogni giorno aumento la velocità del mio handy dandy metronome di un little inch, a un certo punto neanche io vedrò più le mie dita. E non si può dubitare di quel che dice il signor Thaddeus.
Però accade una cosa un po' spiacevole; che ogni volta che spengo il computer e esco dal video, non mi ricordo più niente di quello che faceva lui e delle posizioni delle dita, contorte o no e questo è un problemuccio perché non posso continuare a suonare appiccicata al monitor di un computer. 
Ma c'è qualcosa di molto più preoccupante che sta accadendo. Sui polpastrelli delle dita della mia zampa sinistra stanno comparendo piccoli indurimenti che prima spuntano, fanno una piccola montagnella, invisibile a occhio nudo, ma sufficientemente percepibile al mio tatto da generarmi tutte le volte sconcerto e grande preoccupazione. Come se non bastasse dopo un po' iniziano a sbucciarsi. Io non faccio altro, durante il giorno, che toccarmi i polpastrelli danneggiati.
È vero che sto imparando la mia canzoncina preferita, è vero che le scale sono importanti, è vero che un piccolo inch al giorno toglie ogni problema di torno, è vero che mi sento Ben Harper, ma è altrettanto vero che possono bastare dei piccoli calletti sulle dita a farmi smettere alla velocità della luce, infilare la mia chitarrina classica nel suo fodero e fare come se non fosse mai esistita.
Perché il signor Thaddeus invece di spendere minuti del suo video a imitare talpe maldestre, non parla invece di questo problema e di come risolverlo? L'avrà avuto anche lui. O no?

Sunday, June 12, 2016

L'insidia degli obiettivi.

Intanto voglio celebrare la presenza di una connessione adsl nella tana, perché nella mia tana potrei anche fare a meno della cucina, tanto per quanto la uso, ma senza connessione mi sento a disagio un po' come se avessi la febbre. Ma non ce l'ho la febbre, sto benissimo, ho solo bisogno di accendere il talpapod e vedere quel cono di lineette che indicano che posso navigare nella musica, e quelle lineette le voglio vedere anche nel mio telefono e poi voglio accendere il computer e scoprire che le lineette non sono finte (perché lui le disegna lo stesso, anche se non funzionano). Ecco cosa voglio, non è mica tanto difficile da capire.
Dovrebbe bastarmi la natura, dovrei bastarmi io, dovrebbero bastarmi i libri da leggere, dovrebbe bastarmi il fatto che posso disegnare, che posso scrivere, che posso fare quasi tutto senza una connessione. Dovrebbe bastarmi sapere che le cose più importanti posso farle senza una connessione. Dovrebbe, appunto, perché invece non mi basta, perché quando non ce l'ho io mi concentro solo su quella. Mica ci sto a pensare, no, perché le faccio tutte quelle cose che ho scritto, ma ho il disagio che mi percorre e non mi piace essere una talpa percorsa da un disagio, come fosse un'ombra fredda e strisciante. Come si può vedere si tratta di una mancanza subdola, che non sta nei pensieri, ma sta a monte e si insinua in tutto. Pervade. Pervade talmente che anche ora che ce l'ho, eccola, la sto usando, continuo a pensarci.
Ma a proposito di andare verso quello che non c'è, ho scoperto che questa tendenza può essere molto insidiosa. 
E l'ho scoperta con ciò che in questo periodo occupa gran parte delle mie giornate, le pirouettes. La mattina mi sveglio e le provo, poi vado a lezione e in bici penso a loro, poi inizio la lezione e penso a loro, poi arrivano e io ho accumulato una tensione, un'aspettativa che anche se le faccio neppure me le godo. Questa cosa che ho appena detto sarebbe un bel film che non ho mai visto, parliamoci chiaro, ma mi sa che voglio iniziare a scrivere tutte cose che non sono vere, almeno me la posso raccontare.
Però quel che voglio dire è che se una talpa vuole fare le pirouettes, anche se nel frattempo fa un mucchio di cose bene e fa un mucchio di progressi altrove, li sdegna, perché non si chiamano pirouettes. Se le fa dal lato in cui riescono meglio, sdegna anche quelle, perché non sono dove le vorrebbe lei. Insomma, quei giri, o almeno il desiderio di loro si mangia tutto il resto. Però l'altro giorno, mentre facevo qualcosa che non ricordo, mi è saltato in testa che non è così che funziona. Perché la via per arrivare alle cose non è mai diretta e sdegnando tutto il resto mi sa che mi sto tirando la zappa sui piedi che mi servono per girare. 
Da qualche parte ho letto (sarà stato uno delle decine di manuali di self help che leggo) che l'energia va portata sulle cose che si vogliono migliorare e se io continuo a sbuffare per quello che mi manca per fare i giri come li vorrei, lì rimango. Perché snobbare i piccoli progressi in vista di quello enorme è insidioso. Perché non è il modo giusto di stare nel mondo. Perché chi mi dice che la pirouette non parta invece da un tendu?
Il mio oroscopista di fiducia, tra l'altro, dice che non devo prendere scorciatoie, ma devo farmi una bella passeggiata sulla panoramica per arrivare al mio obiettivo, guardare i fiorellini, dare un calcetto ai sassi, fare qualche saltello, sedermi su una panchina a guardare le farfalline, prendermela calma insomma. E lui, anche se mi fa imbizzire talvolta, sa quello che dice. 
Per fare le pirouettes, quindi, devo prenderla larga. 
Però una strada vale l'altra o ce n'è una in particolare da percorrere? Perché va bene, larga sia, ma quale? E poi, si sa, io mi perdo facilmente.

Tanto per avere delle conferme, appena chiuso questo post sono andata ad aprire la mia posta dove ogni tanto mi scrivono quelli dello staff di Learning how to learn e il titolo dell'articoluccio che propongono oggi (anzi lo proponevano venerdì, sono io che lo sto leggendo oggi) è: Focusing on process rather than product.
Suppongo si tratti della stessa panoramica di cui parla il mio oroscopista di fiducia. 
Però la mia domanda rimane la stessa, per quale viuzze deve passare questo process? Dov'è la segnaletica? Perché la vita non la fanno un po' più semplice?

Wednesday, June 8, 2016

Uff!

C'è chi dice (forse io stessa) che non ci si dovrebbe lamentare, ma invece è proprio quel che voglio fare, perché oggi mi sono sfavollata moltissimo.
Ho dovuto riportare tutte le correzioni sul file e fare le rifiniture e insomma finire quel che ogni paio di giorni dichiaro finito e invece non lo è mai e io sono stufa, anzi superstufa, non ne posso più di rileggere questo libro.
Per colpa sua oggi non sono riuscita a fare altro, meno male che stamattina ero andata a danza se no c'era da battere la testa nel muro.
Ora però intendo rifarmi e anche se quella coscienza che non ho mi direbbe di scrivere qualche riga del mio libro, la nemica della coscienza mi dice di spegnere tutto, prendere prima la mia chitarrina e strimpellare un po', ma che dico strimpellare, suonare alla maniera di Ben Harper, e poi lasciare qualche segno di matita sui fogli, che è l'unico modo per recuperare un po' questa giornata che mi ha fatto imbizzire.
Poi, per finire ci potrei infilare anche una puntatina del mio amico Sherlock, lasciato tra l'altro in un momento criticissimo.
Ecco.
Però lo sento, mi manca qualcosa, perché quando non scrivo mi fa così.
Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe diventata una specie di condanna? Per me è un regalino che mi ha lasciato quella malefica di TT. Tanto c'era da aspettarselo che la sua partenza nascondeva qualcosa, quegli esseri non se ne vanno mai senza lasciare strascichi più o meno permanenti. Io sto facendo di tutto per liberarmene, spero di riuscirci in breve tempo e ripristinare quella sanissima tacabanda che mi ha sempre dato moltissime soddisfazioni.
L'altro problema che ho è che mi resta un mesetto per portare il peso tra il primo e il secondo dito. Non che debba fare tutto il lavoro, no, per niente, ma va consolidato perché nello stop estivo non se ne vada di nuovo dove gli pare.
Non si può mollare un attimo qui.
E poi, lo dico qui in fondo, ho i giorni contati per raggiungere l'obiettivo sulle pirouettes. Ma prima di lavorare su di loro, ho ingaggiato una lotta con i miei pensieri che su questo punto mi vorrebbero sconfitta. Loro ci si giocano tutto dieci a zero che non ci riesco, quindi la fatica maggiore non è provare, ma tenere a bada i malefici, perché mi sono convinta che un solo pensiero fuori posto potrebbe mandare a monte il lavoro di un anno, che lo voglio dire e qui non c'è pensiero che tenga, è stato straordinario. Ecco, l'ho detto. So già cosa succederà ora. Riceverò attacchi demolitori da tutte le parti, ma terrò botta.
Quindi l'unica cosa che mi ripeto nella testa dalla mattina alla sera è che sono la regina delle pirouettes. Facile capire che lo spazio per concentrarmi su altro risulta notevolmente ridotto e se quel poco che c'è se lo piglia tutto una stupida revisione, io non posso che sentirmi imbizzita.
Però invece qualche parola ci vado a scriverla ora, perché... vai a sapere perché.


Tuesday, June 7, 2016

Le palpebre incontrollabili.

Ieri sera sono andata a vedere un film che si intitola Mon Oncle, di un tale che si chiama Tati con l'accento sulla i e che è un film vecchio, di quelli che in genere non vado a vedere. Non perché li abbia già visti, perché di questi filmoni che via via ripropongono nelle sale, io non ne ho visto neppure uno, perché la talpa non è un'esperta di cinema, la talpa è solo una che va al cinema, che vuol dire che va, sprofonda nella poltrona, guarda un film e talvolta sgranocchia pop corn e questo le piace, ma non pretende di capirci granché, anzi è molto probabile il contrario, perché i film le piacciono quasi tutti. 
In genere mi rivolgo alle nuove uscite. Quello di ieri sono andata a vederlo perché i trailer mi attiravano come una stanza piena di giocattoli per un bimbo.
Quel poco che avevo visto sembrava un quadro di Magritte e anche il tanto, ora che ho visto tutto il film. Le immagini e i colori sono meravigliosi, si può dire che sia pura poesia dell'immagine e oltre che in un quadro di Magritte, sembra di stare in un museo di oggetti di design anni cinquanta, o in alcune stanze del Moma.
Nonostante i colori e la poesia, indiscutibile, dopo la metà io mi sarei fatta un sonnellino da cui, se avessi acconsentito al suo arrivo, mi avrebbero risvegliato i custodi stamattina. Quindi di nuovo mi è toccato mettere gli stecchini negli occhi, che di nuovo si flettevano paurosamente. La cosa buffa è che nonostante fossi così annebbiata, non potevo fare a meno di ridere. E siccome quello accanto a me rideva quando ridevo io, a un certo punto mi sono sentita responsabile anche della sua risata. Mica potevo smettere e lasciare che quello giacesse nella tristezza.
Il cinema, con mia grande sorpresa, era pienissimo e davanti a me c'era una fila di ragazzi americani e mi chiedevo cosa capissero, visto che il film era in francese e i sottotitoli in italiano. Ma può darsi che parlassero tutte le lingue del mondo, mica sono tutti come me. Le due davanti a me sarebbero state a rischio stecchini infilzati nel collo, se non fosse che, più o meno nello stesso momento in cui le mie palpebre hanno cominciato a giocarmi brutti scherzi, loro sono sparite. Nell'annebbiamento del sonno e delle risate, non me ne sono accorta subito, ma dopo un bel po' e ho pensato che se ne fossero andate senza che ci facessi caso, niente di più facile. Alla fine del film però le ho viste riemergere e le loro facce non lasciavano dubbi su quale fosse stata la loro attività. Non erano ricorse agli stecchini, si erano messe comode e si erano fatte una bella dormita. Può darsi che avessero anche una copertina, anche se non ho potuto verificare.
C'è da dire che questo cinema ha le poltrone più comode del mondo e se la gente si addormenta in fondo è più normale che rimanere svegli a guardare i film.
Comunque mi sarebbe piaciuto conoscere il signor Tati, perché uno che fa dei film così non so cosa abbia nella testa, ma so per certo che si tratta di roba bella e che il mondo lo vedeva a colori.
La cosa più ardua è stata riuscire a tornare a casa sui piedi, ma è evidente che ce l'ho fatta, perché stamattina mi sono svegliata nel mio letto e non in quella poltrona.

Monday, June 6, 2016

Programmi molesti.

Prima di entrare nel vivo di questo post voglio divagare e l'argomento della divagazione è la mia bici, o più precisamente i suoi problemucci.
Da un po' di tempo a questa parte non ha più il cavalletto, il perché non lo so, il giorno prima ce l'aveva e il giorno dopo se n'era liberata. Io me ne sono accorta quando il mio piade ha fatto per azionarlo e non l'ha trovato. 
Ora non frena più. Una gran frenatrice non è mai stata, ma oggi ho potuto notare che per lei avere quelle due levette davanti alle maniglie del manubrio o non averle, è la stessa cosa.
Come si può notare a mancare sono tutti gli elementi di staticità. Non vuole stare ferma e appoggiata e non si vuole fermare quando si sta muovendo. 
Però io talvolta avrei bisogno che lei potesse contare su se stessa per stare in piedi, specie quando non ci sono muri liberi. 
E avrei anche bisogno che si fermasse quando ce n'è bisogno, perché in questa città in cui vige la più selvaggia anarchia, in queste condizioni è molto probabile che atterri un pedone. Qualora dovesse accadere, il candidato numero uno per tale evento è un turista giapponese, il genere non importa, può essere ugualmente maschio o femmina. La reazione di tale soggetto all'investimento sarebbe quella di rialzarsi, scrollarsi la polvere di dosso, fare un inchino e poi scusarsi, sia con me che con la bici non frenante. Ecco, io non ce la potrei fare a fronteggiare un giapponese che si scusa perché l'ho atterrato, capace che mi ci imbizzisco pure. Quindi l'unica soluzione è che la bici si metta in testa che deve frenare e che ogni tanto deve fare lo sforzo di stare in piedi da sola. Credo che sarà necessario l'intervento di un professionista.
Detto questo, possiamo passare all'analisi del risultato della missione impossibile. Perché l'avevo chiamata impossibile? È stato quello l'errore. Ho avuto degli inghippucci. 
La rilettura per la quale mi ero concessa ben due giorni non l'ho finita neanche in tre. Però mancano solo una trentina di pagine. Forse la posso considerare anche finita, non importa essere così pignoli.
E i fiocchini e le limature finali di quell'altro, mi hanno giocato un brutto scherzo. L'impresa più ardua era dare un titolo ai capitoli, come forse avevo detto e cosa è successo? Che alcuni capitoli si sono moltiplicati per due e anche per tre. 
Ecco, io ce la metto tutta a rispettare i programmi, però se il gioco si fa sporco allora non rispondo più degli impegni presi, sia chiaro.
C'è dell'altro. Questi programmi fanno malissimo alla salute della talpa.
Nella notte fra sabato e domenica mi sono svegliata alle due e quaranta, perché una specie di idea per il libro che sto scrivendo aveva deciso di presentarsi mentre stavo dormendo. Io l'ho guardata, le ho detto di sparire all'istante, di farmi dormire e di non farsi più venire in mente di presentarsi a quelle ore. E lei si è vendicata facendomi sognare che perdevo lo zaino e dentro c'era il mio computer con tutti i miei scritti e allora smuovevo mari e monti per ritrovarlo. Per fortuna, al risveglio il mio zaino era dove l'avevo lasciato e il computer anche.
Però tutto questo mi suggerisce che forse la dovrei smettere di fare programmi.

Thursday, June 2, 2016

Talpa in ritiro.

La talpa si è messa in testa di portare a termine una missione entro la prossima domenica.
La missione è impossibile, come ogni missione che si rispetti e come quelle che piacciono alla talpa, la quale non ci riesce quasi mai, ma continua a pensare di potersi cimentare in simili imprese.
Stavolta si è messa in testa di rileggere il libro finito e leggere per la prima volta il successivo.
Quanto al primo, ma non era finito?
Sì, ma c'è da fare gli ultimi ritocchi, le limature, mettere i fiocchini. In teoria. Perché in pratica ogni volta che lo rileggo trovo delle cose che non vanno, ci rimetto un po' le mani e mi domando se questo sia un processo infinito e se l'unico modo per porre termine sia dichiararlo finito e non metterci più le zampine. Ma anche questo atto di coraggio me lo devo sentire.
E poi questo libro mi fa soffrire, ogni volta che lo rileggo. Comunque, ritocchi o non ritocchi ci siamo.
C'è un altro problemuccio, ed è costituito dal fatto che vorrei dare un titolo a ogni capitolo e non mi viene in testa niente. Ma ora mi sono messa in testa che voglio farlo e nulla potrà distogliermi. Quindi la mia chiorbina risuona di 'mumble mumble...' senza risultato. Esiste per caso un negozio di titoli? Perché in tal caso ci andrei immediatamente.
L'altro libro secondo il signor King andrebbe riletto in un solo giorno. La talpa se ne è dati due, e così le è parso di poter essere infallibile, ma solo perché il termine di paragone è il signor King che si rilegge seicento pagine in un giorno. Se il paragone lo facesse con se stessa si renderebbe conto immediatamente che due giorni sono pochissimi per lei e che gliene servirebbero minimo otto. Ma non vuole intendere ragioni. Due, dice, saranno più che sufficienti, anzi avanzerà anche qualche ora per il meritato diletto.
Come farla ragionare? Impossibile. Lasciamo che ci sbatta il musino da sola.

Wednesday, June 1, 2016

Il signor Thaddeus.

Voglio subito confessare che sono rimasta indietro di una manciata di lezioni, ma intendo recuperare, proprio oggi. Quindi su questo fronte non c'è da preoccuparsi. Se ho detto che lo faccio, lo faccio, che diamine. Lo finisco tutto, a costo di buttare fuori ettolitri di talpa sudore. 
Però devo confessare anche che gli esami non li ho fatti, quella cosa strana che andava fatta con quella cosa altrettanto strana che è garage band. Ma sono stata molto furba, perché questi professori hanno preso un brutto vizio. Quando presenti il tuo esamuccio, loro te ne mandano un paio di alcuni peers, li chiamano, che non sono le pere che suggerisce il mio correttore, ma sono altri sprovveduti come me che stanno facendo il corso. Quindi tu non solo devi fare l'esame (superando tutte quelle immani difficoltà) ma poi devi anche guardare l'esame dei peer e dare un giudizio. L'ho già provata questa nuova forma di tortura, in un corso di letteratura fantasy inglese, in cui in due giorni mi dovevo leggere un libro, inviare un commento intelligente che doveva stare in 360 parole e poi mi venivano rimandati ben cinque commenti dei peer che io dovevo valutare. E non finiva qui, perché oltre a commentare i loro, io ricevevo anche i cinque commenti che facevano al mio compitino.
Ecco.
Quando mi sono sottoposta a questa forma di tortura (abbandonata al terzo libro), ancora non coltivavo l'arte della pazienza e quindi i commenti positivi al mio lavoro li prendevo bene, per quelli negativi avrei preso immediatamente il mio aeroplanino, destinazione americhe, scopo picchiare il peer che si era permesso di dire che il mio scritto era banale e faceva schifo. Sì sì, mi è capitato. Ma sono furbi, mica te lo dicono chi è il peer che si è permesso di maltrattare il compito della talpa. 
Quindi, per tornare al signor Thaddeus, non voglio peer a commentare il rapporto tra le mie dita e la mia chitarra e neppure voglio stare a guardare i loro. Tutto questo stavolta ha giocato in mio favore, perché mi ha fornito l'alibi che cercavo per non affrontare gli esami e quel garage che vive a mia insaputa nel talpa book.
Inoltre, ho scoperto che il signor Thaddeus è un impiccione. Ma ora sono una talpa tranquilla e non me la prendo.
Alla terza settimana ha smesso di inviarmi messaggi tipo 'Talpa, domenica ti scade il tempo per l'esame. Che aspetti a inviarlo?', perché ha capito che da me non vedrà niente. Però a quanto pare ha capito che sono cicala, come abbia fatto proprio non lo so, perché io non ho mai conversato con lui. Il risultato è che ora mi manda messaggi tipo 'Talpa, la vuoi una cosa che anche se non sai suonare ti farà fare un figurone e ti farà avere l'illusione di essere chissà chi? Si chiama looping pedal'. Lui nel titolo dice 'ready to get loopy?'.
Io quando l'ho letto non volevo essere altro che loopy, anche se non ho la minima idea di cosa significhi, ma suona fantastico e voglio anche che la mia melodia sembri grandiosa e loopy anche se non so suonare. Ma come diavolo l'ha capito?
E ora vuole anche che compri un bluetooth guitar pick che si collega a una smartphone app e con quella pare che lo strumming abbia un'impennata pazzesca. Ma io non avevo scelto il picking my guitar? E lui che è un impiccione e sa tutto, perché non ha capito questa cosa elementare? Quindi può darsi che questo strumento che mi propone io non l'abbia intrepretato nel modo giusto e mi sia necessario forse quanto e più dell'altro.
In tutto questo un fatto emerge con forza, e è che la vita da talpa musicista è più complessa di quanto pensassi. Ma stavolta lo porto in fondo, costi quel che costi.
E forse dopo, non sarò più quella di prima e non sono certa che l'evoluzione sia in positivo. 

Domande e risposte.

Dopo i dubbi in cui mi sono arrovellata l'altro giorno, tutto si è dissolto.
Notare bene che ho detto dissolto e non risolto, perché in realtà non ho risolto un bel niente sull'andare in Scozia a comprare un gonnellino oppure no, ma ho anche capito che non può essere definito problema, e poiché io sono contraria ai problemi, per principio, chi me lo fa fare di crearmene uno inesistente?
E quindi ecco la soluzione, sparito problema, spariti anche i dubbi, anche se non so cosa fare né più né meno di prima.
La sparizione di un problema e dei relativi dubbi comporta il sopraggiungere di una certa sonnolenza. Se questo significhi che sono i problemi a tenerci svegli non lo so, se così fosse sarebbe un bel problema e come si può vedere non c'è da preoccuparsi, perché in un modo o nell'altro loro si ripresentano a tenerci svegli.
Quindi c'è da scrivere, certo, chi ha mai detto il contrario. Non è quel che sto facendo anche ora? (Yawn!)
Ma che fretta c'è? 
Perché coltivare l'arte della pazienza comporta anche che non si debba mai avere fretta. Nel mio caso è un effetto pericoloso, perché potrei diventare come Sid, il bradipo dell'era glaciale.
È bizzarro che io riesca a essere impaziente e lenta al tempo stesso. Ma devo usare l'imperfetto, ero, perché per riuscire in un intento è necessario che l'immagine della talpa precedente sia relegata al passato e che io mi veda già come l'essere più paziente del mondo.
Tale tecnica l'adotto anche con le pirouettes, la chitarra, e tutto quello che mi metto in testa di imparare, ma mi sa che sbaglio qualcosa, ci deve essere qualche pezzettino della vecchia me che mi rimane appiccicato, impedendomi un progresso rapido e sicuro. Ma dato che coltivo la pazienza, che fretta devo avere? Imparo, mi do il tempo di imparare e mi concedo di sbagliare. Eh eh, tutte regolette formidabili. Il problema sta solo nel ricordarle. Infatti le scrivo su molti fogliettini, però poi mi dimentico dove li metto e mi dimentico anche di andarli a cercare e di rileggerli. Perché eccola l'insidia dell'apprendimento, che la talpa a tratti si dimentica che sta apprendendo qualcosa.
A proposito di pazienza, anzi dell'arte della pazienza, perché solo così la posso tollerare, l'altro giorno, ma non lo stesso del gonnellino scozzese, mi chiedevo quale fosse il limite. Insomma, che vuol dire essere pazienti? Perché a una come me, che ne è sempre stata priva, mancano gli elementi base per capire. Che cosa è questa pazienza, la cui arte mi sono messa in testa di coltivare? (vai a sapere perché)
Quindi mi facevo degli esempi.
Se qualcuno mi fa imbizzire devo fare finta di niente perché la sua rabbia non mi riguarda? Se una macchina si mette di traverso davanti alla bici e non mi fa passare, devo guardare il cielo e le nubi? Se qualcuno arriva a un appuntamento tre ore dopo devo dire che stavo benissimo e in quel frangente ho imparato moltissime cose e anzi gli consiglio di farsi un giro e tardare ancora un po'? Se qualcosa non va come vorrei, devo dire che anche se non lo capisco, sicuramente per me è meglio così e se non apprezzo è solo perché sono zuccona? Insomma di esempi me ne sono venuti in testa molti, e su tutti poi incombeva il fattore tempo. La pazienza è infinita? Quanto tempo a guardare il cielo devo passare prima che possa sbizzellare e spaccare la testa a tutti quelli citati qui sopra? 
Voglio stupire il mondo dicendo che stavolta la risposta l'ho trovata e ancora una volta annulla il problema. 
La pazienza, quella vera, quella che è arte, non si pone nei modi in cui io mi sono posta quelle domande. La pazienza non aspetta, non si imbizzisce, non concepisce il mondo e i suoi eventi come ostacoli, perché lei vive a monte di tutta quella roba là. La pazienza, quella vera, la nobile, la regina delle pazienze, usa sempre il tempo e quelli che noi comuni mortali chiamiamo ostacoli, a suo favore. La pazienza si conforma, che vuol dire che si forma con le cose, quindi lei, la pazienza è l'unica al mondo a non avere problemi.
Sebbene io abbia trovato la risposta, è evidente che ho poco da essere contenta, perché io e questa cosa nobile di cui ho parlato abitiamo in pianeti diversi.
Va bene talpa, mi sono detta, ti puoi accontentare di qualcosa di minore, di meno nobile, non importa pretendere di coltivare subito la regina delle pazienze, possiamo adottare una tattica di avvicinamento accontentandoci dei servitori che vivono nei piani bassi, come in Dawnton, ma la risposta della talpa è stata categorica: "No, no e poi no!!!! O quella o niente!”.
Quindi mi è sorta un'altra domanda: può una tale cocciutaggine convivere con quella reginetta?
E qui la risposta non l'ho trovata o forse ho solo preferito non ascoltarla.