Sunday, August 31, 2014

Però.

La mattina, negli attimi che precedono l'attività, seduta su una seggiolina rossa, sotto un ombrellone, con i piedi che frugano fra la sabbia fresca e morbida, 'non esiste al mondo persona più felice di me', per usare un'espressione di Kim.
A proposito, sto leggendo, anzi l'ho quasi finito, Kim di Kipling. È un libro incantevole, anzi di più, lo definirei un libro sacro. Non l'avevo mai letto e il ragazzo e il santo che girellano per l'India mi fanno venire voglia di partire così come loro, fermandomi a dormire sotto le stelle, in qualunque luogo, in compagnia di niente altro che me stessa.
Ma c'è un però, ed è che non sto scrivendo.
Se sapessi che non è importante e che la mia felicità non può essere intaccata da una simile mancanza, andrei avanti senza problemi. Voglio dire, non è una questione di doveri.
È che so che questo è il mio compito, almeno in questo momento della mia vita e che voglio portarlo avanti.
E qui sta il punto. Sostituire il devo con il voglio.
Una certa Julia Cameron, che per certi versi mi ha illuminata, ma credo ci voglia poco, perché tutti i libri mi illuminano un po', chi più chi meno, ma insomma lei dice che non esiste la pigrizia, o meglio che è stupido chiamarla così. E questo era anche un po' quello che diceva il mio guru-insegnante.
Insomma il punto forse non è, essere o non essere pigra, ma perché sono pigra? E poi io non credo affatto di essere una pigra. Quindi?
Esiste un metodo, che è quello di forzarsi a fare le cose. Ti leghi sulla sedia e lo fai. E funziona. Ma io voglio di più.
Io voglio rimuovere i blocchi e lavorare in armonia. Voglio lavorare con e non contro.
E torniamo lì. Si tratta di volere e non di dovere, anche perché nel mio specifico caso, nessuno mi obbliga, ma sento che devo lavorare su questa cosa qui.
Come faccio a imboccare la strada in cui fluisco con la mia volontà felice invece di andare avanti a frustate?
Da qualche parte dentro di me esiste l'entrata.
Io devo, anzi voglio trovarla
Perché il senso è questo.
Non, fare quello che amo, ma amare quello che faccio.
Poi, sono disposta anche a scoprire che scrivere non è quello che amo, ma non sono ancora al punto di poterlo sapere. 
Devo prima imboccare quella strada.
E allora davvero, su quella seggiolina, non esisterà al mondo persona più felice di me.
Che forse è anche la differenza che c'è tra rientrare mentre il vento ti gonfia la vela e rientrare trainata da un pedalò.
Alla fine tutti gli insegnamenti conducono nella stessa direzione.

Perché io no?

Certo, essere recuperati è sempre meglio che rimanere fra le onde, ma non è mica un bel sistema.
Mi verrebbe da dire che non è colpa mia, ma sarebbe una stupida difesa.
Non si tratta di colpe, si tratta di imparare.
E se si è duri?
Allora bisogna ammorbidirsi e siccome con i se potrei andare avanti all'infinito, mi fermo qui. 
Dunque, è andata così.
Nel corso con me c'era un ragazzo francese arrivato da pochi giorni, nel senso che in tutto avrà fatto tre lezioni e aveva un'aria molto cittadina, parigina appunto.
In questi rozzi luoghi di mare i cittadini vengono guardati dall'alto in basso e sebbene lui fosse un ragazzo a modo, gentile, simpatico e educato, lo scetticismo regnava.
Io l'ho osservato mentre lei gli spiegava. 
Si capiva subito che è uno di quelli che ti frega. Mica perché era furbo o roba così. No, l'esatto contrario. Ascoltava con estrema umiltà, attenzione e concentrazione. Quando vedi una persona che utilizza queste carte qui, che sono quelle vincenti, hai poco da prendere in giro. 
Alla mia insegnante avevo detto 'ti potrebbe sorprendere', e infatti così è stato.
Certo anche lui cadeva, faceva gli sbagli che tutti fanno, ma poi frugava nella sua testa alla ricerca di quel che aveva sentito e senza stare tanto a badare alla caduta, risaliva sulla tavola e ripartiva e se ricadeva cento volte, rifaceva lo stesso e se tremava dal freddo, andava lo stesso.
Insomma, c'era un bel maestrale di quello che ti porta parecchio fuori se tu lo lasci fare. Noi andavamo e la mia insegnante e la famiglia del ragazzo seguivano con pedalò.
Io avevo scelto la vela piccina, 3.5 e già così il vento si ostinava a volermela strappare dalle zampine di continuo, ma diciamo che con quella piccina ci potevo discutere col vento, 'lasciala, è mia!'
Poi la tavola l'ha presa la mia insegnante, perché mi sa che mi ha vista stanca. 
Io in acqua non me ne rendo conto. So solo che, a volte, quando lei mi chiede cosa voglio fare sento qualcuna che non sono io, rispondere 'voglio un caffellatte e una briochina', quindi ora è lei che a volte mi dice 'vai a prendere il cappuccino e poi torni'.
Loro sono andati al largo, e era divertente perché la tavola faceva la schiumina che è bellissima e io mi sono trasferita sul pedalò.
Tornati a riva lei è scesa e mi ha detto 'fatti portare da lui e riporta tu la tavola', che voleva dire andare dal francese, mollare il pedalò, prendere io la tavola e tornare di bolina.
'Devi fare i bordi e andare fuori e poi tornare, lui sta facendo le cose giuste, ma è stanco'.
Io sono partita, non molto convinta, ma anche contenta di andare a riprendere la tavola dal francese per portarla a riva.
Bah, se lei me l'ha detto...
L'ho presa e ho iniziato.
Dunque, il wind surf inganna e questo ormai l'ho capito guardando lei. Quando sembra che ti stai allontanando moltissimo, in realtà ti stai avvicinando e già questo genera molta confusione nella mia chiorbina.
Però se ad ogni bordo, sia da una parte che dall'altra sei sempre più fuori, allora c'è qualcosa che non torna.
Mi sono innervosita e strattonavo la vela e urlavo alla mia tavola 'devi andare di là, capito? Di là!!!!'. Allora orzavo o poggiavo, non lo so e il vento per dispetto smetteva di spingermi e mi faceva stava ferma, se invece andavo fuori lui mi spingeva.
E allora mi sono imbizzita, col vento, con l'acqua, con le onde, con la tavola e anche con la vela, sì e ero talmente imbizzita che ho deciso di non tornare a nuoto, perché non avevo alcuna voglia di fare tutta quella fatica per spingerla a riva, piuttosto la lasciavo lì, in balia degli elementi.
Così, mi sono seduta sulla tavola a braccia conserte e quando è arrivato il pedalò, dopo un bel po' perché fiduciosi tutti erano rientrati, sono tornata indietro.
Il babbo del ragazzo mi aveva salutato con un 'Adieu' scherzoso, ma c'era poco da scherzare.
Ora sono tornata nella city, perché a volte, dal mare, bisogna allontanarsi.
Ma lunedì ne faccio un altro, perché sono fermamente decisa a tornare a riva da sola.
Perché la frase che mi è stata ripetuta e non solo per il surf, ma anche per le palline di giocoleria è 'ce la fanno tutti, perché tu no?'
Già, perché io no?

Wednesday, August 27, 2014

Rientrare.

Ieri c'era vento e la mia insegnante mi ha dato una vela cinque e cinque, perché dice che per me ci vuole quella.
Che vuol dire che in tre secondi ti trovi fuori anche se vuoi stare dentro e che la cinque e cinque, che non è il panino, ti porta dove vuole lei.
A un certo punto volevo rientrare.
È facile, col vento alle spalle non ci vuole niente, rientri di poppa.
Peccato che tutte le volte che ci provavo o rischiavo di finire sulla scogliera, o poggiavo e la vela mi scaraventava in acqua o continuavo misteriosamente ad andare nella direzione opposta.
Certo, c'era un pedalò in assistenza, non si trattava di avere paura, ma della possibilità di rientrare, senza la quale uscire è sempre un enigma che innervosisce.
È come decidere di andare al mercato, la mattina, chiudere la porta di casa e incamminarsi, sapendo già che non si troverà la strada del ritorno.
Ecco, in una condizione così, non è che uno parta proprio baldanzoso. Io non mi godo neanche i minuti in cui sto sulla tavola, perché non faccio che pensare 'sì, continuo ad andare in là, ma poi come faccio a tornare?'.
Col vento in poppa è facile, dicono.
Ma invece di facile non c'è nulla.
Dopo un po' di volte, dopo che le braccia non me le sentivo più e temevo si potessero staccare dal mio corpo, dopo che non sapevo proprio più cosa fare, mi sono seduta un po' sulla tavola a fare finta di riflettere e a riposare e poi ho riportato la tavola a nuoto.
A pochi metri dalla spiaggia, lei mi ha detto che in queste condizioni puoi anche prendere la cima di recupero e la vela ti porta da sé.
Gli ultimi tre metri li ho fatti così.
Se solo lo avessi saputo prima...
Ma me ne sarei poi ricordata? E non è che la sicurezza della riva ti fa fare cose che in alto mare ti dimentichi?
Sì, io ce le ho e le voglio proprio chiamare amnesie da alto mare.

Le gare.

Il vento comanda e questo fa di lui un bel prepotente.
Per colpa sua, infatti, oggi siamo rimasti sulla spiaggia perché c'era vento, onda e corrente e la mia insegnante ha detto che oggi sarebbe stata dura anche per lei.
Allora abbiamo fatto teoria e ripasso con vela sulla spiaggia.
Sono state spiegate, a un certo punto, in lungo e in largo, le regole della regata.
Così io a un certo punto mi sono schiarita la voce.
'Ehm, io devo confessarvi una cosa... cioè voglio dire che queste regole sono bellissime e le voglio stare a sentire tutte e poi continuiamo a parlarne, ma io non sono competitiva e le gare in genere non mi interessano. Quel che mi interessa è divertirmi e...ecco, insomma, è un po' così'.
L'ho confessato e siccome per gli sportivi credo sia una specie di vergogna, meglio dichiararsi subito e che non ci si pensi più.
Però devo dire una cosa. Sentire parlare di regata, di regole e di scie e di precedenza e di scarto e di boe e roba che se non stai sulla tavola non ti serve a niente, sminuisce un po' tutto il resto, cioè quello che mi sforzo di fare io ogni mattina e lo rende più accessibile.
'Passi la regata, ma questa roba qui la so fare'. Così ti viene di dire.
Poi sali sulla tavola e vedi che non è proprio così, ma questa è un'altra storia.
Ma insomma, che mentre tu sei impegnato a guardarti i piedi, le mani sul boma, la vela e l'ondina vicina e lo spazio che la concentrazione permette di coprire arriva si e no a un metro quadrato di acqua, loro ti parlino di boa e di strategia e di percorsi, come dire, ti alza un po' lo sguardo, anche se solo immaginario.
Intanto, a dispetto della mia dichiarazione, fra un po' ci sarà una reatina e mi hanno detto di andare e io tenterò di passeggiare avanti e indietro e stavolta, di vederla, almeno, la boa.

Tuesday, August 26, 2014

Punti di vista.

All'uscita dall'acqua.
La mia insegnante, 'brava, sei proprio brava!' e alza la mano contro la mia.
La mia amichetta di corso, età undici anni, 'oggi eri sempre in acqua'. Seguito da risatina e dalla mia risposta, 'te eri sempre seduta sulla tavola, quindi era difficile che cadessi in acqua'. Abbiamo un rapporto piuttosto scherzoso, mica me l'ero presa per niente, non sono affatto permalosa. 
Ma non poteva stare zitta?
In ogni caso, a chi credere?

Ulteriori dichiarazioni.

Le mie dichiarazioni sono sempre molto labili.
Anzi, credo che esista dentro di me un essere che a ogni tipo di dichiarazione si metta in moto con l'intento di sovvertirle.
È probabile che in condizioni normali se ne stia su una comoda poltroncina a sonnecchiare, ma non appena mi sente prendere accordi più o meno perentori con me stessa, si sgranchisce gli arti, sbuffa un po', mormora fra sé e sé frasi del tipo “ecco, l'ha rifatto e ora mi tocca fare dell'inutile lavoro per smentirla... non che ci voglia poi tanto, ma dormivo così bene...” e si alza.
Quindi forse dovrei smettere di farne, ma è più forte di me. Che sia un subdolo metodo per sabotarmi? 
Meglio non pensarci.
Ad ogni modo avevo dichiarato che non mi sarei fatta neppure un graffio sulla tavola e che è tutta una questione di attenzione.
Non solo sono piena di lividi e graffi.
Non ho idea e ricordo di quando me li sia procurati, tanto per parlare di attenzione e consapevolezza.
E, grazie al lavoro eccellente svolto dallo smentitore, che non si limita ad annullare, ma il suo maggior divertimento sta nel riuscire addirittura a convertire nel loro contrario le mie dichiarazioni, ora espongo le mie chiazze di vari colori con molto orgoglio, come cicatrici da portare con fierezza.
Del resto la mia istruttrice, alla richiesta di guanti per le zampine doloranti ha risposto: “Il vero surfista ha piedi e mani nude. Lo sport deve entrare nella pelle. A un certo punto vi verranno i calli e non sentirete più niente".
Gulp! I calli? Ehm...no, non credo che avrei piacere di avere anche quelli... passi qualche lividuccio, ma i calli proprio no! 
Non l'ho detto, ma l'ho pensato e continuo a pensarlo e quindi il sovvertitore sarà già al lavoro. 

Monday, August 25, 2014

Talpa is back.

Ed eccoci.
Talpa is back.
C'era una volta uno sport che avevo iniziato e poi mollato, ma con il quale avevo un conto in sospeso.
A giugno avevo fatto un po' di domande in qua e là e avevo ottenuto incoraggianti risposte circa la possibilità di riprovarci.
Poi ero partita per altri lidi e non ci avevo più pensato, ma ci sono cose che anche se non ci pensi, lavorano dentro di te e se sono avviate tu non puoi fermarle. Loro vanno avanti per conto loro.
Arrivata sul mare quindi, i miei piedi mi hanno riportato proprio lì.
E il destino ci ha messo un po' della sua zampa.
Perché questo corso partiva quest'anno e perché in questa piccola città c'è un'unica pista ciclabile, che spunta senza sapere perché e altrettanto misteriosamente scompare, ma collega in maniera quasi esatta il luogo in cui abito con quello in cui si svolge il corso. Quindi la mattina non devo fare altro che salire sulla bici, rotolare lungo la pista e giungere fin là, come fosse tracciata appositamente per me, perché il sonno o eventuali disorientamenti non mi portino altrove.
All'arrivo, nell'aria timida e profumata del mattino, prendere tavole e vele e portarle sulla riva è un privilegio di cui tutto il mondo, almeno una volta, dovrebbe nutrirsi.
La mia insegnante stavolta è una donna e le donne non ti buttano in mare come fanno gli uomini, ma ti stanno dietro e ti spiegano pazienti.
Nonostante questo il primo giorno sono stata recuperata con pedalò perché ho rischiato di fracassarmi con la tavola sulla scogliera.
E questa, ahimè, era una scena che avevo già visto e che non avrei voluto ripetere.
Poi, credevo di avere finalmente capito la bolina e invece ora non ne sono più sicura. Non so mai da dove venga il vento e come si faccia ad andare di qua o di là, ma provo, un po' orzando e un po' poggiando e la prua che un po', a volte, mi obbedisce mi rincuora.
Quando non mi sbatte addosso la vela, quando l'onda non mi scaraventa giù, quando l'insegnante non mi urla 'Dai ora, stramba!' e io urlo 'Non la so fare la strambata!' e lei risponde 'È quella che hai fatto finora!' e io penso, ma non lo dico 'Ma non era la virata quella?', scivolo sull'acqua felice.
E il primo giorno che ho fatto solo le prove di equilibrio sulla tavola e sono caduta quasi cento volte, ma la sfida fra me, la tavola e il mare era aperta, io mi sentivo che ne potevamo parlare.
Poi ieri c'era una regata seria, con quelli bravi intendo e la mattina noi abbiamo fatto regatina, che voleva dire provare a seguire le regole di una regata e io non ho capito neanche dove fosse la boa, ma la mia istruttrice se ne è catafottuta e mi ha urlato 'Vai, continua!' e allora io andavo uguale senza sapere dove, che tanto non sono competitiva e delle gare non me ne importa niente e l'unica cosa che mi interessa è divertirmi.
E per questa prova indegna ho ricevuto anche una medaglia e anche se non significa niente e l'abbiamo avuta tutti, io mi sono sentita molto felice perché una medaglia non l'avevo mai ricevuta in vita mia e ho capito che non è mai troppo tardi per riceverne una.
Anzi, ho capito che non è mai troppo tardi per niente. Il tardi e il presto sono concetti stupidi. L'unica cosa che conta è sentirsi.
E posso dire anche un'altra cosa.
Che mi sento strongabbestia.

Stato di avanzamento.

Mi sembra doveroso un aggiornamento sulla recherche. 
Il mio kindle indica il sei per cento da un sacco di tempo, quindi mi sono convinta che mi stia facendo un dispetto e che io, in realtà, sia molto più avanti.
Ma a parte queste quisquilie, Marcel continua a incantarmi.
Per quanto riguarda i tempi, credo sia meglio non pensarci al momento.
Se dovrò sconfinare nell'inverno e procurarmi una casa munita di caminetto sempre acceso, perché non mi riesce accenderlo, ci penserò più avanti.

Percorsi difficili.

Presa dall'euforia di poter percorrere svariati chilometri su due ruote ho voluto esagerare e mi sono procurata una mountain bike, bellissima.
Naturalmente ho dimenticato di considerare che in elletì tutte le stradine percorse erano asfaltate e a parte pezzi in cui le radici avevano deciso di sfasciare tutto per liberarsi o inconvenienti simili, io andavo liscia come l'olio.
Nel percorso che ho voluto fare qui di liscio come l'olio non c'era proprio nulla. 
Il ciclista che mi ha venduto la bici me l'aveva detto e di lui mi ero anche fidata, perché degli esperti bisogna fidarsi ma insomma, dovevo provarci. E poi avevo comunque le mie argomentazioni, che erano: sono una ciclista della domenica, quando non ce la faccio scendo senza problemi, della velocità me ne catafotto, mi interessa il fremito della natura e non i tempi e tutte queste cose qui.
Lui diceva che forse avrei avuto bisogno di una guida e mi ha ripetuto numerose volte di comprare il casco. Ma siccome il casco spiaccica i capelli mi sono guardata bene dal fare un simile acquisto.
Allora qualche sera fa, verso le sette, mi sono diretta verso il percorso considerato difficile, ma anche l'unico fattibile per me.
Dunque.
Credo di aver percorso circa due chilometri o forse erano solo 500 metri, in ogni caso di tutto il percorso avrò pedalato, intendo con tutti e due i piedi sui pedali, per non più di duecento metri e forse la mia stima, essendo rivolta a me, è generosa.
Il resto l'ho fatto con la bici in mano o con uno dei due piedi in terra cercando ora di tenermi in equilibrio e ora di darmi un po' di spinta.
Io credevo che il ciclista esperto parlasse della durezza delle salite e delle discese.
No, qui si tratta proprio di stare in piedi.
Inoltre indossavo dei pantaloncini blu che in condizioni normali hanno una lunghezza di tutto rispetto, ma su quella bici diventano inguinali. La maglietta gialla, tutte le volte che cercavo di risalire, mi si agganciava nella sella a punta e naturalmente non c'è un cestino o che so io e non volevo portare lo zaino, quindi ho appeso una borsina rosa al manubrio.
Mi preoccupavo più di un graffietto che vedevo sulla vernice nera che dei sassi. Anche il fatto che i manici del manubrio, bianchi, potessero diventare neri con le mani sudate e con la polvere mi preoccupava abbastanza.
Ogni sasso mi pareva potesse fracassarla in due, quindi scendevo.
Dopo duecento metri ero sudata fradicia e polverosa.
Nei pezzi più incresciosi non ho avuto testimoni. Nonostante questo tutti quelli che passavano sorridevano moltissimo. Troppo.
I ciclisti che ho incontrato e che erano sulla via del ritorno, avevano velocità che avrebbero potuto ridurmi in polpette. Anche loro mi guardavano mentre correvano e sorridevano troppo e nonostante volassero quasi, non avevano bisogno di studiare ogni sasso.
Mi era stato detto, dal mastro biciclettaio, che i freni erano potenti quindi andavano appena toccati, se no rischiavo di ribaltarmi. Le mie dita ci stavano incollate sopra e frenavo anche in salita. Credo che già dopo un giorno di vita dovrò cambiarli.
Lati positivi. Non so neppure perché ma mi sono divertita un sacco. Mi sono messa a ridere come una matta e il cielo mi ha regalato un tramonto mitico perché gli ho fatto un po' pena.
Dei percorsi che dovrebbero portare alle spiagge che cercavo non ne ho trovato neppure uno e se esistono non vengono solcati da secoli e per farli ci vorrebbe il machete. Ma può anche darsi che io abbia visto qualcosa di diverso e che fossi in un posto diverso da quello in cui credevo di essere.
Ma nonostante queste difficoltà, ci riproverò più volte, ma non intendo diventare una ciclista professional, con tanto di pantaloncini magliette e velocità che impolverano quelli come me.
La bicicletta, che sia mountain o city o quel che vuoi per me è un gioco e forse la massima espressione della gioia pura del gioco e tale voglio che rimanga. Inoltre voglio andare piano, fermarmi e respirare e guardare, perché voglio sentire il fremito della natura e se pensi a che velocità devi fare le curve dubito che tu possa guardare tutto il resto.
Ad ogni modo, non credo questo sia un problema di cui mi debba preoccupare. Probabilmente se mi mettessi in testa di fare sul serio minimo finirei appesa su un albero.
Per concludere, mi domando perché questi percorsi non vengano asfaltati anche qui. Io non ci troverei niente di male e credo che anche la mia bici sarebbe molto d'accordo.

Monday, August 18, 2014

L'inadeguatezza delle parole.

Parlando con un'amica che non è poi neppure molto amica, dato che la vedo all'incirca una volta all'anno, è piuttosto la sorella di una mia amica, ad ogni modo parlando con questa tizia, mi si è presentato in tutta la sua spaventosa grandezza il problema dell'inadeguatezza delle parole.
Che per una scrittrice non è poca cosa, anzi dire che è spaventoso è dire poco. Può gettare nel panico e trattenerti lì con forza finché una tazza di caffellatte non venga a riprenderti e a calmarti il tremore.
Naturalmente parlavo della mia vacanza e forse il problema viene acuito dal fatto che io spesso non ho punta voglia di raccontare. Però mentre parlavo mi rendevo conto che quelle banalità che descrivevano la pura realtà, non avevano nulla a che vedere con le emozioni che avevo provato. Sembravano due binari diversi e inconciliabili.
Ero sempre io? Era la stessa vacanza? Di cosa e di chi stavo parlando?
In verità questo è un problema che in molti si sono posti. 
Ma poi la realtà esiste? E se sì, come è in realtà? Con quei quanti che non stanno fermi un attimo e che sono energia e non materia, non c'è forse un baratro tra ciò che vediamo e ciò che è? E allora non è forse molto più forte la percezione di quel che non c'è, di quel che noi crediamo di vedere?
C'è gente che si è suicidata intorno a questo problema.
Ma insomma, questo baratro che si percepisce riguardo alla realtà è più o meno lo stesso che intercorre tra quello che racconto e quel che sento e che so di non avere la capacità di riprodurre se decido di attenermi solo alla cosiddetta realtà.
Inadeguatezza personale? Può darsi.
Wilde diceva che descrivere la realtà così com'è è puro tedio. La realtà bisogna inventarla o quantomeno ingigantirla perché diventi interessante e si trasformi in bellezza.
Allora mi sono messa a pensare a cosa potrebbe rendere il mio racconto vicino alla percezione che ne ho avuto e suonerebbe più o meno così.
Me ne stavo andando per i fatti miei, pedalando nel mondo verde, felice e contenta e talmente immersa da sentirmi un po' verde anch'io (Umpf!), quando mi sono trovata sulla stradina un dinosauro enorme. Per entrarci tutto aveva sradicato perfino qualche albero e non ne voleva sapere di lasciarmi passare. Il mio cuore affascinato, tanto ero pazza in quei giorni lì, batteva all'impazzata. A un certo punto lui, senza tanti discorsi, ha dato una zampata alla mia bici, mi ha piazzato sul suo groppone, ha aperto due ali talmente enormi da poterci fare un pic nic in venti e si è alzato in volo.
'Mettimi giù, bruto', urlavo io, ma lui andava nel vento e se non fossi stata così imbizzita e un pochino spaventata mi sarei e goduta quel girello.
Inoltre, rischiavo di scivolare giù e ridurmi in polpetta di talpa ogni due minuti, perché lui curvava come un matto, quindi cercavo di aggrapparmi a due scagliette ma non erano sufficienti, allora a un certo punto gli ho girato le braccia intorno al collo e ho appiccicato il muso su quella che suppongo fosse la sua nuca.
'Così mi strozzi però', fa lui.
'Allora vai più piano', rispondo io.
'Che divertimento c'è ad andare piano? E poi mi chiamano lo spericolato...'
'Proprio tu mi dovevi capitare?'
'In effetti c'è un mio amico più calmo, lo chiamano il soave, ma secondo me con lui ti saresti divertita meno'.
'In realtà io mi stavo divertendo dov'ero, anche senza il tuo intervento'.
'Non ci posso credere. Laggiù su due routine e due pedali? Che banali voi umani'.
'Vacci piano con gli insulti'.
'Va bene, ma smetti di soffocarmi, mi si sta oscurando la vista'.
'Ma come faccio a tenermi? Per caso non ce le hai due manigliette?'
'No che non ce le ho. Voi umani volete sempre aggrapparvi a qualcosa. Voltati sulla schiena, togli le braccia dal mio collo e mettile sotto la testa che il mio collo è un po' duro, guarda il cielo, senti il fruscio del vento, lasciati andare e goditi il volo. E non pensare a cadere, perché nessuno è mai caduto dal mio dorso, a patto che tu riesca a rilassarti'.
E allora feci proprio come mi aveva detto.
Cos'altro potevo fare?

Dunque, un racconto tipo questo potrebbe avvicinarsi alla realtà vissuta.
Quindi la morale è che sto rivalutando l'importanza delle bugie.

Controsensi.

Sono talmente abituata a passare col rosso, in bici, che quando c'è il verde mi fermo.
Naturalmente prima mi affaccio, giro la testolina a sinistra e a destra o anche prima a destra, dipende e poi vado.

La casina sul mare.

La casina che mi ospita al mare e lo fa egregiamente, è pacifica.
In genere le abitazioni sono rese pacifiche o meno dalle persone che le abitano, o almeno questo è quel che pensavo io prima di conoscere lei, che ha la pace come caratteristica propria. 
Le sue pareti ne sono impregnate, come se fosse stata costruita con mattoni tenuti insieme da polvere di tranquillità agglomerante e un po' di nutella.
Questo comporta che il fatto che io possa varcare la soglia in uno stato di tranquillità o imbizzimento o totale follia, per lei è irrilevante.
Lei ti dice con voce soave 'Ora entra, siedi e mettiti tranquilla, che per tutto il resto c'è sempre tempo' e tu non pensi più a niente e fai come dice lei.
È una casina che apre un sorriso nel cuore.
Ho provato a scuoterla un po' anche con metodi più bizzarri, tipo mettermi a ballare come una pazza, cantare a squarciagola, scrivere sui suoi pavimenti e saltellare su un piede. Lei non si scompone, mi guarda e sorride come una saggia signora coi capelli raccolti, seduta su una sedia a dondolo sotto un albero dalla chioma larga e rassicurante e anche fresca.
Caso vuole, che proprio a due passi da lei ci sia uno scoglio, cioè ce ne sono tanti, ma uno in particolare che è diventato mio amico e a volte vado lì al tramonto e parlo un po' con lui.
Non sempre lo faccio tra me e me. A volte, quando mi sembra che non ci sia nessuno, ma non si può mai sapere con certezza se ci sia o no qualcuno, gli parlo con la voce, bassa però.
Alla fine mi prenderanno per pazza, come quelle signore dei film che vivono nei parchi e parlano solo coi piccioni. E non avrebbero mica tutti i torti. Però io con i piccioni non voglio avere nulla a che fare.
Comunque quello scoglio mi ha suggerito la maggior parte delle poesie che ho scritto, quindi è mio amico.
Ad ogni modo la casina pacifica più lo scoglio fanno un bel team.

Saturday, August 16, 2014

Dichiarazioni.

La talpa, che poi sarei io, ha preso secchiello e paletta, li ha infilati in uno zaino e è andata al mare.
Solo che, siccome è un essere alquanto strano, questa talpa, che poi sarei sempre io, quest'anno ha fatto solo due bagni dall'inizio della stagione, che non saprei dire quando è.
Il perché di questa cosa non si sa.
Lo guarda molto, però e lo ama.
Ma ora ha una dichiarazione da fare e la fa qui, perché in uno dei milioni dei manuali che leggo (che senza leggerne a quanto pare non posso più stare) c'era scritto che la nostra chiorbina, se le dichiarazioni le fa al mondo anziché tenersele per sé, tende ad essere meno fanfarona.
Dunque, la talpa dichiara e firma, con un'orma della zampetta preventivamente immersa in una bacinella di smalto blu, che poi studierà come lavare via per non lasciare firme dappertutto, che da lunedì diciotto andrà al mare tutti i giorni e scriverà due ore al giorno. Se due ore sembrano poche, mi si lasci dire che non è così. La talpa in due ore suda moltissimo. E poi per ricominciare va più bene.
Ora va a fare un giro in bici, limitato, ma meglio di niente.
La talpa ha anche studiato un percorsino niente male, a patto di avere una bici adeguata.
Che non si pensi che la talpa sia una ciclista vera, di quelli tutti bardati e professional, che quando ero in vacanza con uno che andava più veloce della luce ho rischiato di scontrarmi crudelmente e credo che mi stia ancora mandando una serie di accidenti, che per fortuna il bosco amico ha raccolto per me e sotterrato, altrimenti sarei già in un altro mondo.
La talpa è una ciclista della domenica, che si infila cappellino con visiera perché non le cuocia la chiorbina, e se deve fare percorsi lunghi si veste come se fosse inverno perché vuole evitare che le capiti di nuovo quel che le è già capitato e che le è insopportabile: che l'abbronzatura le disegni addosso una maglietta permanente. Dopo che è accaduto, la talpa si faceva continui scrub al corpicino e vestiva con lo scafandro, compresa una sciarpa annodata intorno al collo fino alle orecchie.
Sembrava più una terrorista che una ciclista.
Per brevi percorsi simili precauzioni non sono necessarie, per fortuna.
In ogni caso lei questo è: una talpa che va in bicicletta e che da lunedì farà quelle altre due cose che ha detto.

Thursday, August 14, 2014

Il luogo sacro.

Quando tutto il mondo sparisce e nulla di quel che conta risponde più,
rimane ancora un posto su cui contare.
Me stessa.
E allora bisogna renderlo un luogo incantevole, perché è lì che si celano i tesori più preziosi.
È tutto qui dentro e non c'è luogo in cui non mi segua e momento in cui non mi dia rifugio sicuro, a patto che io lo riconosca.
È l'unica cosa che chiede.
Che io lo riconosca.

Wednesday, August 13, 2014

Blue mole.

Non mi era mai capitato di tingermi così del colore del quadro. Anzi si può dire che alla fine fossi più tinta io di lui. 
Avevo le mani completamente blu, una coscia, gli avambracci e segni sulle guance come se facessi parte della tribù dei talpux. Che non mi stavano male per niente, devo dire.
A parte questo, forse sono giunta a una soluzione soddisfacente. 
Considerando che questo era solo il sesto tentativo, non è male come risultato.
Ogni volta poi, non è che ne faccio un pezzettino e poi guardo. No, per sapere se è quello che voglio ho bisogno di tingerla tutta, la tela e poi di aspettare il giorno dopo, perché lì per lì mi sembra sempre buono, solo per il gusto della novità, ma la prova della verità giunge la mattina dopo appena sveglia. Alla prima occhiata distratta e senza lenti so già se dovrò ritornarci sopra oppure no.
Quindi non ho potuto fare a meno di domandarmi, in questi giorni, se ad esempio anche Van Gogh facesse così tanti tentativi prima di trovare un blu, o se avesse le idee chiare dal principio. 
Lasciamo fare il giallo, che quello ormai ce l'aveva talmente nelle mani che bastava dicesse loro 'preparatemi un po' di quel giallo che sapete voi' e quelle agivano, mentre lui si beveva un caffè.
Mi piacerebbe avere una conversazione con lui, così, uno scambio fra artisti.
«Senta Maestro VG, ma lei per fare un blu come voleva ci stava mesi e prima di raggiungere quello giusto ne provava una decina? E prima le sembravano tutti belli e poi tutti brutti e alla fine si stufava e ne lasciava uno per sfinimento convincendosi che fosse quello giusto solo per non doverne provare un altro? E poi senta Maestro, a proposito di quel suo giallo che poi è diventato famoso, anzi tutti si danno da fare perché non sbiadisca se no tocca richiamarla da dove si trova ora, perché non c'è nessuno a parte lei che possa rifarlo proprio uguale, insomma, lei lo ha pensato e fatto proprio come lo voleva o un giorno le è venuto per caso sulla tavolozza e lo ha trovato fantastico? E poi, per quanto riguarda i girasoli, che lo so, sono bellissimi, ma lei li amava perché così poteva piazzare quel suo giallo ovunque oppure sono loro che glielo hanno ispirato? Insomma, vengono prima i fiori o prima il suo giallo? Le devo confessare che io adoro una sua seggiolina, gialla. Mi piace così tanto che tutte le volte che la vedo mi ci vorrei mettere a sedere almeno per una mezza giornata. Senta, ma era lei che diceva 'Io non cerco, io trovo'? Perché mi piacerebbe me la spiegasse un po' meglio questa roba del trovare senza cercare...'
Insomma, io vorrei farci una chiacchierata così, col maestro VG, e non solo con lui. Mi piacerebbe fare un giro nel firmamento degli astri e scambiare chiacchiere con tutti.


Definizioni.

Mi sono messa a scrivere poesie. 
La prima risale a un paio di mesi fa.
Anche se non sono una poetessa, credo che scrivere poesie possa aprire nuovi orizzonti, squarci di luoghi inesplorati.
Ma cosa sono io però?
Tutti i guru di questo mondo, da quelli della domenica a quelli veramente seri e profondi che siedono su un sasso per tutta la vita senza muoversi di lì e senza sentire alcun male al culino, dicono che non bisogna definirsi.
Io praticamente non faccio altro dalla mattina alla sera, con scarsissimi risultati.
Quindi l'unico motivo per cui alla fine seguo la guru-linea è che non ci riesco a trovare la definizione giusta per me.
Chi sono? Cosa faccio? Dove sto andando? Da dove vengo?
Boh!
Quindi dicevo, non sono una poetessa ma scrivo un po' di poesie. 
Oggi mi è capitato di rileggerle.
Come prima cosa proprio non riesco a capire da dove siano spuntate fuori, perché sembrano appartenere a un essere che abita in me senza pagare l'affitto e se ne sta nascosto perché io non lo scopra. Secondo, non capisco un accidente di cosa volessi dire con quella roba lì. Terzo, mi emozionano un po', perché vengono da un altro pianeta (che non è marte).
Quindi credo che continuerò a scrivere poesie, di tanto in tanto.


Mi appello alla corte.

È vero che quando tutti lavoravano io ero a cavalcare bici in giro per il mondo. Ma è altrettanto vero che questa è la settimana di ferragosto e sfido chiunque a riprendere un qualunque tipo di lavoro in tale settimana.
Anche se mi rivolgessi a una giuria intera dicendo 'signori, secondo voi dovrei rimettermi seduta a un tavolino, zitta e buona, lavorando duramente, nella settimana che è detta da sempre 'di Ferragosto'? (naturalmente lo chiederei con aria umile e triste), sono sicura che li vedrei tutti scuotere la testa guardandosi tra loro in segno di solidarietà.

Benissimo talpa, ma non eri tu che dicevi che gli artisti non vanno mai in ferie?
Sì, ero proprio io, umpf.

Degno di nota.

Un evento che avevo tralasciato e che invece merita di essere qui, perché alcuni salvataggi meritano una considerazione speciale.
Un giorno sono arrivata in un posto semideserto al limite delle mie riserve, al punto che il mio corpo (traditore) aveva acceso la spia rossa lampeggiante e mi comunicava il messaggio 'ancora cinque minuti e ti spegnerai. Bye bye'.
Sono entrata in uno di quei posti che non si capisce se siano bar o ristoranti o sale da tè e ho chiesto se ci fosse qualcosa da mangiare, mi andava bene anche una carota (si fa per dire, perché forse sarei disposta a morire piuttosto che salvarmi sgranocchiando una carota rinsecchita).
La ragazza mi ha guardato un po' triste, tanto che la mia spia lampeggiante ha cominciato a sogghignare pronta a mollarmi anche prima dei cinque minuti, e con aria di scuse mi ha risposto 'I am sorry, we only have sausages and french fries'. 
Ecco, è in simili frangenti che si capisce cosa vuol dire provare profondo amore per dei perfetti sconosciuti.

Sunday, August 10, 2014

Il compito supremo.

Piuttosto spesso e da un bel po' di tempo mi domando quale sia il mio compito su questa terra e mi domando anche se sia uno solo o più di uno.
Io preferirei che fossero diversi, perché in uno solo ci sto un po' strizzata.
Lo so, è bizzarro che io dica questo, dato che faccio fatica anche a trovarne uno. Ma così funziona la mia chiorbina, mi piace pensare che siano tanti.
Però stamane mentre mi dedicavo con passione alla mia amata colazione me ne è venuto in mente uno.
E se il mio compito fosse imparare a fare un cappuccino perfetto e poi andare in giro per il mondo a diffondere tale perfezione?
Qualora il compito dovesse sembrare poco nobile, mi si permetta di oppormi con forza. Credo che di più nobile ci sia ben poco.
Basta fare un giro. 
Non c'è angolo del mondo in cui non ci provino e non c'è angolo del mondo in cui non si sforzino di farlo buono e non c'è angolo del mondo in cui, colui che vi si è dedicato non te lo offra credendo di essersi avvicinato a tale perfezione.
Ahimé, quanto sono lontani invece!
Ma come dirglielo senza ferire tele fierezza? Non si può. Si potrebbe solo proponendo una serie di lezioni gratuite, mascherate da un 'è molto buono, c'è solo una piccola cosa che ti potrei dire perché diventi perfetto. La vuoi sapere?' e dopo tre minuti sei alla macchina a insegnare il perfetto metodo per il cappuccino.
Mi si potrebbe anche dire 'ma perché non l'abbozzi e non te lo bevi a casa tua il cappuccino e quando sei fuori non bevi la roba loro?'
Ma questa è ormai questione antica, che nulla ha più a che vedere con l'attualità. Ora tutto è di tutti, non esistono confini. L'unico confine esiste nella testa delle persone che non l'hanno ancora capito.
E poi ci sarà un motivo se in tutto il mondo lo vogliono fare il cappuccino? Non c'è luogo in cui non ne abbia trovata un'imitazione più o meno vicina alla realtà.
La qual cosa naturalmente mi commuove nel profondo.
È per questo che credo di dover apportare il mio contributo a tale diffusione e fare in modo che salga di livello.
Va da sé che io non ho la minima idea di come si faccia un cappuccino, ma questo mi pare un particolare irrilevante.
Se ci può provare un lituano che neanche lo beve, figuriamoci se non posso farlo io che lo amo immensamente e ci sono cresciuta e ho lottato per berlo anche quando non mi veniva concesso, perché qualcuno (non sto a dirvi chi) si ostinava a volere che io bevessi un latte macchiato, mentre io di macchiato volevo solo la mia maglietta, ma da una bella goccia di cappuccino, a mo' di prova per averlo bevuto e gustato.

Friday, August 8, 2014

Resoconto di un rientro.

Centimetri quadrati di pavimento puliti: 0
Zaini svuotati: 0
Pasti consumati: 1, ma frugale.
Musica ascoltata a volume notevole: 8 ore circa.
Centimetri di tela dipinta: 80 x 80.
Pagine lette della Recherche: 1, che credo equivalga allo 0,000000000001 del libro.
Altre pagine di altri libri lette: 1 per ognuno.
Pisolino schiacciato: 1
Pagine scritte: 4
Sensi di colpa sviluppati: 0

Per quanto riguarda il blu che volevo scopiazzare invece, mi sono scoperta presuntuosa. Perché più o meno sulla tavolozza avevo riprodotto quel blu del quadro che avevo visto, ma ho pensato che non fosse poi molto adatto, perché questo è il MIO quadro e ogni quadro è unico così come ogni blu. Probabilmente non ne esiste uno uguale all'altro in tutte le tele del mondo.
Però ho raggiunto un risultato eccellente che mi sarei sognata se quella tela non mi avesse ispirato e messo sulla strada.
Quindi alla fine sempre di scopiazzamento si tratta.
Quindi aggiungo.

Quadri semiscopiazzati: 1

Ma ne è valsa la pena.

Slow connection.

Ecco, questa velocità di connessione è inaccettabile.
In vacanza viaggiavo alla velocità del pensiero, che significa che pensare a un sito e vederlo aperto era un tutt'uno.
Questa barretta che avanza lenta me l'ero proprio dimenticata e ora che sono costretta a prestarle di nuovo attenzione, la trovo persino imbarazzante.
È un qualcosa di cui non dovrebbe dar visione.
È come mostrare una smorfia di sforzo sul viso mentre si fa un grand jeté sul palcoscenico, o se su una tela rimanessero appiccicati pezzi di colore non amalgamato.
Insomma, ci sono cose che vanno tenute nascoste al risultato finale, per senso di pudore e di raffinatezza.
La barretta di positivo ha solo che è blu.
Ma io voglio tornare a viaggiare alla velocità del pensiero.

Back home.

La talpa ieri è tornata a casa.
Sono giunta nel buio, con la luna nel cielo che da tanto non vedevo, come pure un buio così denso. E ho capito, ma l'avevo già capito lì, che senza buio, senza stelle e senza luna non si può vivere.
Tanto che una sera mi ero ostinata ad aspettarlo fino a tardi e riuscire a vedere l'orsa maggiore mi aveva dato una felicità immensa.
La casina mi aspettava, ma mi ha giocato un brutto scherzetto. 
L'ho lasciata sudicia e così l'ho ritrovata. Speravo che nel frattempo lei facesse qualcosa per ripulirsi, invece niente. MI toccherà passare la giornata con una pezzolina sulla testa e in ginocchioni a strusciare pavimenti. Umpf!
Arrivata alla stazione Termini ho comprato due fumetti di Paperino e il tipo dell'edicola indossava una maglietta con un Paperino gigante. Mi è parso un ottimo saluto per il mio rientro.
Dunque.
Ho viaggiato nei cieli a bordo di una mongolfiera, che mi ha fatto capire come si devono sentire gli uccelli lassù quando volano, ma il fatto di non poterla dirigere dove si vuole ne fa un mezzo troppo antiquato per i miei gusti. Ma vederla poi dal basso mi ha emozionato moltissimo.
Ho percorso centinaia di chilometri in bici, di cui settanta nello stesso giorno per ben due volte, senza avvertire la minima stanchezza, perché quando fai qualcosa che ti piace non ti stanchi mai. È solo la noia che stanca e io per fortuna non ne provo quasi mai.
Sono stata nominata duchessa e poi queen, quindi sono partita dai bassi ranghi e tornata piena di titoli nobiliari.
Ho fatto conoscenza col fruscio delle foglie, col silenzio dei boschi, con volatili di ogni tipo, ho visto volare aquile nei cielo e non sono per niente come gli altri uccelli, lasciatemelo dire, sono come onde volanti. Ho accarezzato e parlato con una farfalla in particolare, ma anche con altre, ho rischiato scontri con cicogne, ho viaggiato su molti autobus, visto molta acqua, ma lasciatemi dire anche questo, fra il mare e il lago non c'è paragone, vince il primo alla grande. Il mare è vivo, il lago vegeta.
Mi sono rigenerata e mi sono sentita straordinaria.
Il punto è che c'è solo un modo per sentirmi altrettanto straordinaria ora, ed è nell'applicazione delle mie attività quotidiane.
Ho anche capito che l'unico scopo della vita è sentirsi profondamente felici e esprimere pienamente se stessi.
O almeno, ho capito che questo è il mio, ma mi sento abbastanza presuntuosa da azzardare l'ipotesi che possa essere quello di tutti.
Quel che devo fare nelle ore a venire, per intanto, è cercare di riportare su una tela che avevo lasciato in sospeso, un tipo di blu che ho trovato in un quadro in una galleria e che era proprio quello che andavo cercando.
Le pulizie possono aspettare.

Wednesday, August 6, 2014

Sailor mole.

Questa esperienza l'ho fatta diversi giorni fa, quasi all'inizio di questa vacanza.
Ero in giro sulla riva di un lago, che qui sono frequenti quasi come le chiese in Italia.
Mentre camminavo guardavo delle barche a vela e pensavo che mi sarebbe piaciuto farci un giro. C'erano anche pedalò canoe, ma le barchelle ovviamente spiccavano come gioielli luccicanti.
A un certo punto mi sento apostrofare da un uomo seduto su una seggiolina. Mi stava chiedendo se volevo fare un giro su una barca. Non me ne ero accorta, ma accanto a me c'era un cartello con su scritto che si poteva approfittare di un bel giro per soli trenta euro.
Io dico di no, lui insiste sempre rimanendo lontano sulla seggiolina, io dico di no e aggiungo che devo prendere un autobus e roba così. Allora lui mi indica il sailor man che se ne stava appoggiato al parapetto di un ponte del tutto indifferente alla questione, come solo i sailor men sanno essere e mi dice che è il più bravo esistente e roba così.
Io mi sentivo titubante, non so perché visto che poco prima pensavo proprio che avrei voluto farlo, ma mi pareva un po' quella roba acciuffa turisti, insomma, non sapevo.
Poi urla.
'You are a queen'.
'Io? A queen? Dice proprio a me? E come l'ha capit... ehm, volevo dire, ma che sta dicendo quello lì... certo però, una queen...'
Dopo dieci minuti ero sulla barca, grazie alla parte vanitosa esistente in me e tutt'altro che esigua.
Ma non posso che ringraziarlo per quella parola magica.
Si alzano le vele e si parte, su una barchella di tutto rispetto.
Il sailor man è un lupo di mare, di poche parole e pervaso dalla serenità di chi si trova esattamente dove vorrebbe essere. Lui, il mare e la barca sono una cosa sola. L'unico oggetto superfluo potrei essere io, ma non oggi che sono una queen.
Al primo cambio di vele mi fa cenno di mettermi al timone. Me lo mollerà per un'ora intera, senza tante spiegazioni.
Si andava come matti, di bolina piegati che l'acqua finiva a pelo col bordo dello scafo e sempre sul più bello lui cambiava le vele e io dicevo ma perché? si andava tanto bene e lui mi spiegava che dovevamo andare a zig zag. Ma se la direzione è sempre la stessa! Zig zag, faceva cenno lui. Uffa.
Ho anche beccato il cullino, perché a un certo punto manca poco si finisce in acqua e lui non si sa come trova le parole in inglese per dirmi che devo guardare la prua e non l'acqua.
E qui la lingua non mi ha lasciato sfogare, perché gli avrei voluto dire che la guardavo perché mi sembrava ci si stesse piegando un po' troppino e che io al timone mica ci sapevo stare e che andasse un po' più pianino, ma invece sono stata zitta e ho guardato la prua.
Mi stavo divertendo come una matta.
Mi correggeva un po' ma iniziavo a sentire come prendere il vento, anche se non ci capivo un'acca delle direzioni che lui cercava di spiegarmi.
A un certo punto è sparito sotto coperta.
Ora ci si schianta, ho pensato io.
Poi è tornato con due fogli e una penna e catafottendosene delle vele e del timone che io non sapevo più governare si è messo a disegnare delle linee.
Se gli pare il momento di fare disegnini a questo qui, pensavo io e gli dicevo ehi, indicando la prua.
Poi mi ha mostrato il foglio. Aveva disegnato lo scafo, la direzione del vento e le vele e cercava di spiegarmi cosa stavamo facendo e perché ci si mettesse di taglio e si facesse lo zig zag.
Se dovessi dire che proprio l'ho capito...credo di doverci dedicare uno studio.
Dopo un'ora siamo rientrati, io ero davvero una queen e mi sembrava di avere timonato il mondo intero, mescolata con l'acqua e con il vento.

...............................

Due o tre giorni dopo, leggendo un libro che si intitola 'Tre uomini in barca', un libro talmente spassoso che a tratti mi diverte quasi quanto Paperino e mi fa scoppiare a ridere ovunque mi trovi.
Domanda. Ma non stavi leggendo la Recherche?
Risposta. Sì, certo che sì. Ma sto leggendo anche questo e anche 'On writing' di S.King e un altro paio che ho lasciato a casa di cui non ricordo né il titolo né l'autore.
Dicevo, che leggendo quel libro lì, ho trovato qualche riga che mi parlava proprio dell'esperienza che avevo appena vissuto.
La riporto qui, perché è bella.

'La vela si gonfiò, l'albero cigolò e la barca cominciò a volare.
Io ero al timone.
Non esiste per me sensazione più eccitante di quella che mi procura la navigazione a vela. È quanto di più vicino al volo un uomo possa conoscere, eccetto che nei sogni. Le ali fruscianti del vento, mentre avanzi, ti sollevano non sai fino a dove. Non sei più la lenta, greve e meschina creatura d'argilla che avanza strisciando tortuosamente, sei tutt'uno con la Natura! Il tuo cuore pulsa contro il suo. Le sue splendide braccia ti stringono, ti sollevano! Il tuo spirito si fonde con il suo! Le tue membra sono leggere! Le voci dell'aria cantano per te. La terra sembra piccola e lontana, e le nubi così vicine sopra la tua testa sono sorelle a cui tendi le braccia.'


Good luck!

È il saluto che qui mi ha rivolto il novantanovevirgolanove per cento delle persone.
Alcuni, ma pochi, si contano sulla punta di alcune dita, me l'hanno rivolto con fare gioviale e come saluto simpatico e carino.
I più, con l'aria di chi saluta una che sta andando ad affrontare le fatiche di Ercole o chissà quali prove di saggezza e di coraggio fondamentali per la vita, e con l'aria di credere che ci avrei tirato quasi sicuramente il calzino o che ne sarei uscita parecchio ammaccata.
Il perché non saprei dirlo.
Il risultato è stato che ne ho raccattato davvero un sacco di fortuna, e non avevo mica capito che era per questo.
Quindi che me lo dicano pure, anche se pensano che stia per fare una finaccia.

Tuesday, August 5, 2014

Mineralinis water o vanduo.

Stamane mi sono infilata in un museo perché mi piaceva l'edificio e ho scoperto che con questa acqua miracolosa bisogna averci a che fare.
Il ragazzo del museo mi ha anche detto che si poteva bere e che c'è un punto della città in cui te ne danno un bicchiere per 35 soldi.
Ho poi scoperto che è vicino al mio albergo.
Qui è tutto vicino al mio albergo.
Così sono andata, non prima di avere sbirciato ben benino tre o quattro dipinti che avevano delle cose interessanti da dirmi.
Sono andata a controllare e in effetti sulla mia guida era scritto che un solo bicchiere di questa acqua pare doni eterna bellezza.
(Io ora mi sto guardando di continuo nello specchio per essere testimone della trasformazione).
Dopo circa mezz'ora stavo entrando nel luogo distributore di acqua e non solo.
Lì tutti girano in accappatoio bianco e ciabatte, come fosse una divisa e hanno lo stesso tipo di aria molto assorta. Non so dire se pensino tutti alla stessa cosa.
C'erano rubinetti di ottone da cui prelevare l'elisir.
Sono andata al banco per pagare, c'era scritto in effetti che volevano 35 soldi, ma il ragazzo mi ha detto 'today is free', mi ha strizzato l'occhio e mi ha passato un bicchiere di carta.
L'ho riempito e prima di berla mi sono fatta una certa domanda.
Se quest'acqua, come era scritto nel museo, pare faccia guarire da ogni malattia, se uno sta bene e la beve, non è che si ammali?
Comunque l'ho bevuta, non uno ma due bicchieri. È l'acqua più cattiva che abbia mai bevuto nella mia vita.
Mentre uscivo già mi sembrava di avere un certo mal di pancia, di sentire freddo e prurito dappertutto.
Spero di non morire.
Però a due passi da lì ho visto uno scoiattolino che correva e allora mi sono dimenticata dell'acqua e dei malanni che potrebbe procurarmi l'averla bevuta.

Monday, August 4, 2014

La cicogna.

Questo è regno di volatili di ogni tipo.
Ma io ho avuto incontri ravvicinati e pericolosi con almeno tre cicogne, che avevo scambiato per aironi finché una signora in una biblioteca non me l'ha mostrata al computer. E così ho chiarito il mio equivoco.
La cicogna non conosce il codice stradale o semplicemente se ne catafotte.
La prima volta mentre in bici andavo a fare colazione mi ha tagliato la strada volando alla mia altezza a un metro di distanza. Il mio cuore deve essere forte perché l'infartello ci stava tutto.
Ha un'apertura alare notevole e una grazia affascinante nel volo, se non ti viene addosso.
Poi è planata su un prato e si è messa a camminare. Ecco, ho letto che camminano con eleganza. Non è vero, o almeno non lo è per quelle che ho visto io. Camminano esattamente come un ladro in casa che non vuole farsi sentire.
Qualche giorno dopo un'altra mi ha fatto un scherzetto simile, e il mio cuore ha resistito una seconda volta.
E oggi ce n'era una che non volava, ma passeggiava. All'uscita l'ho trovata su un pratino e mi sono seduta accanto a lei e l'ho studiata. Ogni tanto alzava una zampetta, ma mi pareva non riuscisse a dormire, come uno che si accomoda il cuscino ma non ce la fa a rilassarsi.
Una sua compagna è passata alta nel cielo, quindi sanno volare anche in alta quota.
Nessuna di loro aveva il lenzuolino legato sul becco col neonato dentro, quindi o erano in vacanza o avevano finito il loro turno di lavoro.

Are you strong enough?

Ecco, ammesso pure che non lo fossi, e non è questo il caso, lo sarei diventata all'istante, strong enough, solo a sentirmi porre tale domanda e avrei accumulato anche una certa riserva per non avere limiti. 
Un po' l'effetto spinaci su braccio di ferro.
Tutto questo è accaduto perché da ieri sera stavo cercando il sentiero per un parco e non riuscivo a trovarlo e quindi ho deciso di ricorrere al vecchio, infallibile metodo: chiedere.
Nella mattina ho chiesto a un certo numero di persone e tutte mi hanno dapprima guardata come se fossi pazza e poi fornito risposte troppo vaghe per le mie capacità.
La cosa strabiliante è che la perplessità di tutte le ragazze a cui mi sono rivolta era situata nel fatto che io volessi percorrere circa sei o sette chilometri per andare e altrettanti per tornare.
Pronunciavano sei chilometri con lo stesso tono con cui avrebbero potuto dire seicento.
Ora, non per essere sbruffoni, ma non mi pare che sei o sette chilometri in bici possano essere fonte di tale sgomento.
Quindi io sorvolavo su tali inezie e focalizzavo la mia attenzione sul percorso, su quale strada prendere, appunto.
Mi sono persa sei volte.
Perché tra i tanti che mi erano stati detti, uno lo avevo anche azzeccato, ma era sulla strada, in una ciclabile in compagnia delle automobili. E io volevo andare in the forest, come mi ha detto inorridita una ragazza.
Quindi non ho esitato a lasciare la strada maestra per infilarmi nella forest, dove però, grazie a due incontri casuali (e fortunati, dato che per ore puoi incontrare solo le foglie degli alberi) ho scoperto che stavo andando giusto giusto nella direzione opposta.
Ma io ormai mi sono convinta di trovare aiuti ovunque, quindi continuo ad andare e infatti a un certo punto ho incrociato un signore in bici che mi ha detto anche lui che ero dalla parte opposta. Allora io ho girato la bici e mi sono messa a seguirlo. Lui ogni tanto guardava un po' dietro, non ho capito se perché cercava di liberarsi di me o se aveva deciso di aiutarmi.
Alla fine si è arreso, ha evidentemente rallentato, mi ha parlato di sua moglie, forse perché ha pensato che volessi molestarlo, ma il mio unico intento era raggiungere il mio parco e dopo svariati chilometri mi ha mollato su una strada indicandomi la mia meta.
Il ritorno è stato un gioco da ragazzi.

Rob.

'Se hai voglia di alzare al massimo il volume del tuo carisma e comportarti come un animale mondano, va benissimo. Non protesterò se coltiverai la tua rete di rapporti umani mescolando allegramente affari e piacere. Ma spero che troverai anche il tempo per entrare in comunione con la terra, il cielo, i fiumi e i venti. Perché? In un futuro non troppo lontano dovrai affrontare una grande e divertente prova spirituale. E il modo migliore per prepararti a questo rito di passaggio sarà approfondire il tuo rapporto con madre natura.'

Ecco, ci tengo a dirlo.
Per una volta ho preceduto Rob e l'ho fatto alla grande.
La metà delle volte non capisco perché chieda quel che chiede di fare e l'altra metà non capisco neppure cosa voglia che si faccia.
Nonostante questo lo leggo con sacra assiduità, il che dimostra che per appassionarsi a qualunque tipo di lettura la comprensione non è condizione imprescindibile.
Sono settimane che parlo solo con farfalle, alberi e uccellini e acqua in tutte le sue forme.
Gli scambi più lunghi con gli esseri umani li ho riservati ai noleggiatori di biciclette, i veri salvatori di questo mondo.

Altro che SPA.

Sono entrata in una Spa, credo per la prima volta nella mia vita perché qui pare parecchio di moda e perché c'era un edificio che la contiene che valeva la pena vedere.
Appena varcata la soglia, però, mi si è appiccicata addosso la tristezza come melma gelatinosa.
Ho raccolto le informazioni tanto per giustificare la mia presenza lì e dopo meno di dieci minuti ero già fuori, a correre libera e felice sulla mia bici.
L'aria di sufficienza con cui mi venivano offerte le varie opportunità mi fa pensare che la mia figura fosse piuttosto esplicita riguardo al disagio che provavo lì dentro.
Per quanto mi riguarda, con una natura così strepitosa fuori, rinchiudersi in una Spa è un delitto per il quale potrei non perdonarmi mai.

La recherche.

Intanto voglio dire che leggere la Recherche in riva al lago nella luce del tramonto è un'esperienza magica.
E grazie a lei la mia guida turistica è risultata superflua. Quasi non l'ho aperta.
Perché col fatto che leggendo quelle righe ogni spazio diventa familiare così come ogni tempo e ogni ricordo e ogni più piccola forma di vita, tu la leggi e sai dove sei, anche se ti trovi in mezzo al deserto.
Lei ti riporta a casa ovunque tu sia.
Inoltre, io la venderei in farmacia, come pure la coca cola.
So che accostare queste due entità può sembrare rozzo e sgradevole, ma del resto anche la coca cola gode di forte empatia, diffusione, nonché di potere risolutore per ogni tipo di malanno corporeo.
La recherche può fare da guida turistica, da antidepressivo, e se ti senti un po' inquieto va via alla grande a qualunque benzodiazepina. 
Insomma, tu te la porti dietro e non hai bisogno d'altro. Quindi serve anche a ridurre il bagaglio.
L'unica cosa è che a volte ha dei periodi talmente lunghi che quando approdi non ti ricordi più da dove sei partito. A me almeno succede. Però forse fa parte del gioco di perdersi.
Se mi basterà l'autunno per leggerla tutta, non lo so. Non vorrei dovermi estendere all'inverno. Ma in quel caso mi ci vorrebbe un caminetto acceso, cioè con del fuoco zampillante dentro e non saprei dove reperirlo.