Saturday, February 27, 2016

Incongruenze.

In base a uno studio fatto negli ultimi tempi mi sono convinta che il tempo si fermi quando non lo guardo.
Gli umani e anche le talpe usano degli oggetti chiamati orologi per valutare lo scorrere del tempo.
Io mi sveglio senza e cerco di non guardarlo finché non diventa necessario, tipo prima di andare a lezione per capire quando devo uscire. Vorrei arrivare al punto in cui questa necessità non si manifesti mai, ma non sono ancora a quel punto.
Succede che il tempo rimane fermo finché non guardo l'orologio. A quel punto lui si mette a correre come un pazzo.
Il tempo è dilatato secondo le mie esigenze fin quando non lo confino in un quadrante e fra due lancette. La mia osservazione empirica non ha pecche. È così e basta.
Appena lo riporto lì dentro, il tempo, non ci sta più niente.
Io credo che l'ansia che procurano gli orologi in generale provochino il collasso delle funzioni d'onda dei tempi lenti, tranquilli e larghi per lasciare in vita solo quelli isterici. Perché l'accadimento non solo non è scevro dall'osservazione della talpa, ma non lo è neppure dallo stato d'animo.
Se riuscissi a uscire da questo meccanismo, potrei far stare una giornata intera in un'ora  e anche meno e, insomma, le implicazioni potrebbero essere infinite. Forse potrei anche infilarmi in uno spazio parallelo, visto che spazio e tempo sono una cosa sola.
Tutto questo è affascinante in un modo straordinario.
Ma visto come stanno le cose, che in un certo senso quel che non osservo non esiste, perché TT, la talpa tiranna, mi sta sempre col fiato sul collo, anche se io non la guardo, non la voglio e non la penso?
Su questo non ho una risposta, ma ci sto lavorando e spero di ottenere presto risultati soddisfacenti.
P.s. Lei mi sta suggerendo una risposta che non mi piace per niente e quindi la ignoro, così sparisce.

Friday, February 26, 2016

Ostilità.

Sei una sbruffoncella.
(È tornata, uffa).
Vacci piano con gli insulti, bella. Io non ti ho mai detto che sei una stupida prepotente anche se lo penso.
Sei una sbruffoncella.
Ritonfa! Cosa vuoi?
Non avevi detto che ti sembrava di tradire i personaggi e che non potevi fare a meno di scrivere e tutte quelle cose patetiche?
Può darsi, si dicono tante cose nel corso di una giornata, ora scusa ma preferisco ascoltare i talpacolari che te.
Ci mancavano solo loro.
Che fastidio ti danno?
A me nessuno, ma ne danno a te.
A me danno solo gioia.
Se solo potessi vedere la tua espressione inebetita capiresti.
Sei bellina tu.
Quando intendi lavorare?
Ho già lavorato un po' stamattina.
Lo chiami lavoro quello?
Certo, come dovrei chiamarlo?
Non basta scrivere dieci righe per sentirsi a posto con la coscienza.
Ho più di un'ora davanti a me, sai quante righe posso scrivere ancora. Il tempo non è un problema.
Ho sentito passarti nella testa che vorresti prendere un tè.
Mi devo consolare dal fatto che vorrei uscire ma non posso.
Non ti stai già consolando con la musica?
Quella nutre lo spirito, devo nutrire anche il buzzino, devo agire su più fronti contemporaneamente. Ma cosa vuoi capire tu...
Come sei messa coi programmi?
Televisivi intendi? Lo sai che non ho la TV.
Intendo di lavoro.
Ah quelli... mah direi che sono messa benino...
Cosa intendi per benino?
Che più o meno è tutto a posto, ma bisogna parlare per forza di questo, non ce li hai tu degli altri argomenti?
No.
Che monotonia, non vorrei mai essere nei tuoi panni.
Purtroppo io devo essere nei tuoi.
Non te l'ha chiesto nessuno, anzi se vuoi uscire e non tornare più ti do una mano.
No, voglio stare qui.
Non ce l'hai un'altra casa?
No.
Che sfiga, proprio qui dovevi finire.
Sei tu che mi hai chiamata.
Tu sei tutta scema.
Sei a corto di argomenti eh?
Io non sono mai a corto di argomenti, solo che ora sono stufa di starti a sentire, quindi se non ti dispiace, me ne vado.
Bene, andiamo.
Non ti ho invitato.
Lo so, ma vengo con te.

Riuscirò mai a scollarmela di dosso?

Wow!

In qualche modo mi dovevo pur consolare e quindi la talpa ha colpito ancora.
E posso solo dire...wow!!!!
Ho dei nuovi auricolari, ma mi dispiace chiamare questa meraviglia in modo così riduttivo. Dico solo che con questi aeroplani nelle orecchie mi sembra quasi di uscire dalle finestre e volare.
Sono piccoli, come tutti gli auricolari, e banali come tutti a vederli, non sono neanche colorati, perché questi negozi precisi sono fissati col nero. È un grosso difetto, lo ammetto.
Il mio stereo è ancora dal dottore e l'unico modo che ho per non piangere 24 ore su 24 è farmi esplodere la musica nel cervello in modo adeguato.
In effetti è anche l'unico modo per stare seduta a questa sedia oggi, che sono talmente tentata di uscire che mi calerei con le lenzuola annodate giù dalle finestre.
No, non devo neanche segare le sbarre, non ci sono, dovrei solo aprire una finestra.
I talpacolari mi tengono qui seduta.
Se penso che potrei uscire e portarmeli dietro nelle orecchie, impazzisco.
No. Sto qui.
Non è un grandissimo sforzo, alle sei e mezza sono libera.
Vado a teatro a vedere un'opera di cui non so niente e su cui sarebbe opportuno mi preparassi, ma conto sull'amica che viene con me o su un signore colto seduto nel posto accanto al mio, com'è successo l'ultima volta che uno sconosciuto mi ha fatto un riassunto perfetto prima che iniziasse lo spettacolo. In realtà non gliel'avevo chiesto, si è impietosito mentre io e la mia amica, la stessa di stasera mi sa, cercavamo di raccontarci la storia. Lui ha riso e poi è intervenuto. In effetti, visti i precedenti sarebbe opportuno che mi istruissi in anticipo, ma con questi talpacolari non ne ho per niente voglia. Improvviserò.
Se non esco è per fare delle cose, tipo scrivere e disegnare, ma se i talpacolari mi aiutano a restare su questa sedia, mi tolgono anche la voglia di lavorare.
Ora li ascolto ancora un po', tanto devo uscire alle sei e mezza e non sono ancora le cinque.
Altroché se ce n'è di tempo

Thursday, February 25, 2016

Una nuova identità.

Non so se imparerò l'inglese al corso, probabilmente no, però tutti mi chiamano Donald Duck. 
È un onore per me e forse era scritto che un giorno mi trasformassi in lui, Paperino. Era solo questione di tempo e della giusta occasione perché accadesse.
Ma è successo anche qualcosa che è in contrasto con tale trasformazione.
Ieri non ho scritto una sola riga, perché ho pulito la mia tana per circa cinque ore e poi me ne sono andata in giro con una mia amica e poi al cine, a vedere Zootropolis che a me è piaciuto da impazzire mentre lei si è addormentata.
Mi sentivo un po' sopraffatta, ma uscire non ha migliorato il mio stato, me ne sono accorta ieri sera e poi stamattina al risveglio. Non posso neanche dire che lo abbia peggiorato, solo che non mi ha dato il sollievo previsto.
Cosa era successo?
Mi era mancato.
Chi?
Il mio libro.
Peggio.
Quando non scrivo mi pare di abbandonare il mio personaggio.
Questo è uno stato di salute mentale e fisica preoccupante a cui non so come porre rimedio.
Ho anche cambiato il 30-day challenge. Cioè, non è esatto, è sempre spostare il peso fra le prime due dita e devo dire che questo lavoro sta dando frutti favolosi, ma non è quello che ho dichiarato alla prof perché poi forse dovremo parlarne e io non ho voglia di parlarne. È una questione fra il peso e me.
Ne ho dichiarato un altro. Finire il libro. Ma non è very challenging, perché so già che lo finirò.
Gulp! Chi è stato? Chi l'ha detto?
Io.
Credo che ce la farò senza molto tirare e molti strepiti perché è sulla via perché questo accada.
Tutto questo suona strano anche per me.
La novità quindi starebbe nel non finirlo.
È questo il vero capovolgimento, e avere a che fare con degli stravolgimenti così grossi non è facile.
Ciò comporta che assieme a TT (talpa tiranna, che ha la colpa di tutto) stia nascendo in me una talpa sbigottita e inorridita.
Non posso che chiedere aiuto a lui.
A Paperino.

Wednesday, February 24, 2016

Uno straccetto.

Sì sì, certo, ce l'ho fatta.
Ho recuperato, che significa fare in un giorno quello che avrei dovuto fare in due e forse anche in tre.
Se sono contenta?
No.
Cosa c'è da essere contenti nello stare dalle otto del mattino alle sei della sera sedute a una sedia e ridursi a uno straccetto inutile? Niente.
Per non dire dello strascico, che richiede poi una settimana di riposo e quante ore dovrei stare poi seduta per recuperare una settimana perduta? 
È chiaro che il gioco del recupero non funziona e la stessa parola, recupero, andrebbe eliminata, io almeno la farò fuori dal mio vocabolario.
Quel che è perso è perso e nel giorno nuovo si fa finta di niente, anzi si fa finta di essere in pari, sempre in pari. Così vive una talpa.
Dieci ore seduta.
Beh, mi sono alzata una decina di volte.
Diciamo una ventina.
Diciamo una trentina... cinquantina?
Diciamo innumerevoli.
Diciamo che ero sempre in piedi, perché sgranchirsi è importante.
Ma c'è una cosa che mi inquieta. Molto.
Verso sera, quando ero stufa che più stufa non si può, ho iniziato a trovare innumerevoli pecche nel mio libro e ho tagliato senza pietà, tipo tre pagine le ho fatte fuori.
Ho tagliato perché non ne potevo più o perché andavano tagliate davvero?
Ma il turbamento ha radici più profonde.
Non so più se stia facendo la cosa giusta.
Andrò fino in fondo, perché non voglio che il dubbio sia solo l'alibi per il mio 'non voler fare'. Quindi io lo finisco. Però non sono più convinta.
E non c'entra che quelli non mi abbiano più risposto, non c'entra neanche che le case editrici non mi piacciono, non mi piacciono gli editori e il più delle volte non mi fido di loro.
Non c'entra perché questo è un discorso tra me e i miei libri.
Mi sembra sacrilego quello che sto facendo.
Io ora scrivo in modo diverso da tre anni fa, da due, da uno e forse anche da ieri. Come dice il mio insegnante noi cambiamo di continuo e io ora non sono la stessa di quella che si è svegliata alle otto. 
È normale che di quel libro non mi tornino un sacco di cose. Ma mi dà fastidio infilarci quella che sono ora.
Un paio di anni fa, durante un viaggio pensai che l'idea del futuro non deve mai condizionare il presente. Funziona al contrario, è da qui che si forma il mio futuro.
Allo stesso modo in quella che sono ora c'è quel libro e c'è anche l'altro. La me scrittrice di adesso è fatta anche di loro e per questo io li rispetto, e voglio rispettarli così come sono. Li amo così come sono. 
Si va avanti, non si va indietro.
È come se avessi la sensazione che modificandolo andrei ad alterare un equilibrio che invece non va alterato.
Questo mi dice anche che in queste cose non si deve ascoltare nessuno, a parte se stessi, perché non c'è nessuno che può sapere meglio di me cosa fare dei miei libri e della mia scrittura e se sembro presuntuosa non me ne importa niente.
L'unica cosa che ho voglia di dire è: giù le zampe dai miei libri.
Rimettere le mani su quel libro ha lo stesso senso di un adulto che torna dal sé bambino e pretende di dirgli 'guarda come so camminare mentre tu inciampi, prendi un po' le mie gambe, imbranato', mentre, se lui cammina, lo deve proprio a quel bambino. 
Io vorrei lasciarlo con tutti i suoi difetti, con le sue incertezze, con le sue ingenuità, con i suoi entusiasmi perché grazie anche a quelli sono quella che sono. Che senso ha correggerli, rinnegarli? Non sono forse necessari?
Mi pare che nel cancellarli potrei cancellare una parte di me.
Non mi stupirei se alla fine di questa riscrittura mi vedessi sparire una mano.
Forse vorrei non aver mai partecipato al concorso, vorrei che nessuno mi avesse mai fatto alcun tipo di stupida proposta e forse ora voglio che nessuno mi contatti più per chiedermi cosa sto facendo.
Credo di voler fare di testa mia.
Quindi vado fino in fondo (forse) ma credo che la versione che lascerò pubblicata sarà quella non corretta, non perché sia migliore, ma perché cambiarla sarebbe una grossa scorrettezza. Nei confronti del mio libro e di me stessa.
Qualora mi dovessero ricontattare, sarò in grado di dire che vado avanti per la mia strada e me ne frego di tutto il resto?
Perché credo sia questa la vera prova.
Credo anche di non essere capace di stare nel mondo vero.
Io voglio sono scrivere e essere lasciata in pace.

Sunday, February 21, 2016

La luce che incanta.

Parlo piano, perché se mi sente quella lì mi taglia la gola.
Stavolta lo fa.
La talpa tiranna, TT da non confondere con DD.
Ieri ero seduta al mio computer, questo, con tutte le buone intenzioni, perché quelle, le intenzioni, ce le ho sempre buone e mi pare già tanto.
C'era il sole, il cielo azzurro e neanche una nuvola in cielo. Il mio cervello non ha dovuto pensare. Ho sentito il richiamo dell'olio. Non quello per friggere, i colori a olio. 
Come in trance mi sono alzata, ho piazzato tutto il necessario e mi sono messa a dipingere. 
La luce incantava, ma non era solo una questione di sole, c'era qualcos'altro, ma non saprei dire cosa.
Ho dipinto per cinque ore, quasi sei, nel silenzio, senza musica, perché il mio stereo è dal dottore e le cuffie col filo mi impacciano quando dipingo.
Ho smesso solo perché il sole quasi tramontava.
I risultati non si vedono perché l'olio è così, dopo giornate di lavoro non vedi quasi niente. È per questo che mi piace, perché è lento come me.
Dunque, credo fosse quasi un anno che non usavo i colori a olio. Quanto mi sono mancati, mi sono mancati a tal punto che da ieri mi sto inebriando del loro odore intossicante e non mi sogno neppure di aprire una finestra. Sì, voglio essere intossicata da loro, perché è un odore buonissimo.
Oltre a un risultato quasi nullo, ho le zampine anteriori martoriate.
I tubetti non si aprivano, lo fanno quando stanno lì per un po'. Avevo già imparato in un'altra occasione che l'unico modo per riuscirci senza danneggiarli è metterli sotto l'acqua bollente. Prima ho provato ad aprirli tutti senza e, ironia della sorte, si sono aperti solo i verdi e i marroni (umpf), poi mi sono diretta in bagno. Il punto è che sotto l'acqua bollente non ci vanno solo loro ma anche le mie mani. Ora, il pollice e l'indice della destra non li posso neanche sfiorare senza procurarmi del dolore.
Poi mi sono procurata, ma non so come, un taglio nel pollice sinistro. Nel taglio, durante la sessione di pittura è entrato di tutto, compresi i vari colori e l'acqua ragia che in una ferita, posso assicurarlo, fa un male cane, non la consiglio a nessuno.
Ieri sera sulla ferita c'erano due strane bolle bianche. Perché il mio ditone non finisca in un letto di ospedale con le copertine tirate su fino all'apice dell'unghia, provvedo a spruzzarlo di disinfettante ogni mezz'ora e ogni tanto gli do tre o quattro bacini. Credo che questo intervento preventivo lo salverà da ogni complicazione.
La mia bravata ha un prezzo e lo si può già valutare dal fatto che è domenica mattina e alle otto sono già al mio computer, colazionata.
Oggi devo recuperare anche quello che non ho fatto ieri, che vuol dire che mi toccherà stare su questa sedia fino a stasera.
Spero che non esca il sole e che altra luce non mi incanti.
Spero anche che non si svegli lei, perché credo che ora dorma, visto che non l'ho ancora sentita.
Le sue minacce non le potrei sopportare.
Che dire, buona domenica.
Sob!

Saturday, February 20, 2016

È tornata.

Hai finito di pensare alle stronzate?

Definisci stronzate.

Presentazioni insulse, spostamenti di peso che non servono nella vita reale, sterei che non funzionano e di cui puoi fare a meno... devo continuare?

No, può bastare. Sulla prima neanche ti rispondo. Lo spostamento è fondamentale, ne va della mia vita, del mio equilibrio mentale e fisico, ma tu non puoi capire che è proprio l'insulso, l'inutile, ad essere fondamentale. Lo stereo non funziona, non posso cantare 'Casomai' a squarciagola e questo mi crea un turbamento interiore che si ripercuote su tutto il resto. Se non lo riparano in fretta sarò costretta a comprarne un altro.

In tutto questo, come sei messa?

Ehm...cosa intendi?

Con la priorità. Hai rispettato i programmi?

Ehm... sono indietro di qualche paginetta, ma non ci vorrà niente a recuperare, paginetta più, paginetta meno.

Allora cosa stai facendo qui?

Scrivo, non vedi?

Non è qui che devi scrivere. Chiudi e fai quel che devi fare.

Odio questo tono imperativo. Stavo proprio per farlo, ma ora ci ho ripensato.

Bene, ripensaci di nuovo e vai!

Ho tutto il giorno a disposizione, posso scriverne dieci di libri.

In genere non scrivi neanche dieci righe, specie quando hai tutto il giorno davanti.

Sei sempre esagerata, negativa e scoraggiante. Io vorrei sapere da dove sei venuta fuori. Stavo tanto bene prima, senza di te.

Infatti, ma non facevi niente.

Non riesco a vedere l'errore.

Te lo faccio vedere io se non chiudi immediatamente questo browser e questo blog.

Non importa che urli. Uffa! Non ti sopporto!!!

Vai!!!! Ho detto VAI!!!!

.......................

Io la odio.

Paperino.

Durante la proiezione di Paperino, anzi Donald Duck, ho scoperto che.

Quando hai un argomento forte fra le mani, non ti devi preoccupare di niente, perché quello parla da solo, tu sei solo un tramite.

Questa è stata la mia rivincita e non lo sapevo. L'unica presentazione fatta nella mia vita era stata alla mia tesi, su delle ghiandole secernenti di cui non mi importava niente e di cui non ho mai capito il motivo della ricerca, visto che si sapeva già tutto. Ma nella vita, bisogna tenere le cose che amiamo e far fuori quelle che non ci piacciono.

Molti non conoscono Paperino e molti, anche vedendolo, non si commuovono e non ridono. Questo mi ha sconvolto e continuerà a sconvolgermi per molti giorni a venire.

La prof, che dipinge anche lei, aveva domande da fare. 'Non dipingi solo lui, vero?'. 'No, non dipingo solo lui, ma dipingere lui mi dà tanto'.

La prof, nella sua infanzia londinese non ha conosciuto fumetti e da loro Paperino non esiste. Le ho detto che lo sapevo e in quel momento ho capito anche perché io sono nata in Italia, perché non vado a vivere a Londra, come ho detto spesso e ho capito che tutto ha un senso, anche se spesso non lo vediamo. Ma bisogna fidarsi, il senso c'è sempre e è sempre qualcosa di importante.

Ho ricevuto un applauso, ma lo fanno a tutti, anche se io sono stata la seconda del corso a presentare, quindi non ho molti elementi a riscontro di questa affermazione, ma qualcosa mi dice che sarà sempre così. Per fortuna.

Ho scoperto, che quando amo davvero, sono disposta a difendere i miei amori fino alla morte e questo mi fa sentire tranquilla.

La prof era contenta e divertita, il resto della classe non lo so bene, perché ero presa dal mio papero, ma mi è parsa un po' turbata. A parte un paio che mi sorridevano compassionevoli perché sono un po' miei amici.

Dopo di me, un ragazzo, che è un fisico, ha presentato le onde gravitazionali, è mi è piaciuto un sacco, perché questa roba mi piace e ho pensato che non stonavano per niente dopo Paperino e che il mondo è bellissimo proprio perché può spaziare ovunque e ognuno di noi racchiude mondi diversi, e quando questi si incontrano è una specie di miracolo. 

Ho capito che per un po' non voglio farne altre di presentazioni perché mi turbano abbastanza e la loro preparazione richiede molta energia e l'idea che ora starò a guardare mi piace un sacco.

E ora non mi resta che finire il quadro iniziato.

Trenta giorni.

Il mondo è fissato con le scadenze, che ora si chiamano deadline.
A me invece non piacciono per niente.
Scadenza mi fa pensare al latte scaduto e io, se il latte scade, piango.
Deadline. Beh, io non voglio punte linee morte.
Insomma, io voglio cose sempre vive e mai morte, tutto qui. 
Però, nonostante il mio parere contrario, anch'io sono sottoposta a quella robaccia lì.
Al DD Day è stato proiettato un TED talk, quindi il TED mondo un po' mi perseguita.
L'esercizio stava nel capire cosa dicesse il tipo. Per me, dopo due ore e venti passate a sentirli cianciare nella poltrona del mio cinema preferito, è stato un gioco da ragazzi.
Il Ted talker dice che bisogna fare tutto quello che avremmo voluto ma che non abbiamo mai fatto, darsi dei piccoli compiti quotidiani nuovi e un obiettivo da raggiungere in trenta giorni. Sono tutti in combutta col mio oroscopista di fiducia.
Lui, che è una specie di ing, si è messo a scrivere un libro con un'associazione che fa proprio questo, si chiamano nanowritemo (più o meno, non ho voglia di controllare), io li ho conosciuti nel 2012 e in effetti devo a loro la scrittura di uno dei miei libri.
Dice che il suo libro faceva schifo, però l'ha scritto. Qui sta il punto.
Comunque dovremo mandare alla mia prof un obiettivo che vorremmo raggiungere in trenta giorni e anche come fare per raggiungerlo.
Io ci ho pensato e di obiettivi ne ho molti, però se proprio devo pensarne uno per i prossimi trenta giorni, direi che il mio è spostare il peso tra il primo e il secondo dito, perché ora verte parecchio sugli ultimi due e questo mi crea un sacco di problemi.
Questo spostamento cambierebbe la mia vita, anzi cambierà la mia vita.
Ma c'è un problemuccio.
Posso scrivere alla prof, spostare il peso tra il primo e il terzo dito, che neanche lo so come si dice in inglese?
Già, dopo la proiezione di Paperino, credo di averli un po' turbati, ma questo è un capitolo a parte, se piazzo questo obiettivo sono finita.
Ma non bisogna forse avere il coraggio di difendere le proprie idee? Non siamo qui per difendere chi siamo? Bene, io sono una talpa che vuole, entro i prossimi trenta giorni e possibilmente anche un po' prima, spostare il peso tra il primo e il secondo dito.
E questo obiettivo, che parrebbe avrebbe anche lui una deadline, in realtà non ce l'ha, perché l'avvenuto spostamento nelle zone suddette apre il mondo a nuovi equilibri e quindi più che dead la line è magica.
Questo è il mio obiettivo, deciso.

Thursday, February 18, 2016

DD Day!

Your presentation back

Hi Brunella,
thanks for sending me your presentation. I have made some very small changes/suggestions, see if you like them or not.
See you tomorrow,
Nathalie

Allegato: DonaldDuckrevised.doc

..............................

Questa mail e soprattutto il nome dell'allegato ieri ha fatto la mia felicità. DonaldDuckrevised.
Il mio Paperino è entrato a pieno titolo nel mondo universitario.
Le slide sono pronte, il testo anche e me lo ripeto nella chiorbina camminando, andando in bici, sotto la doccia, mentre lavo i piatti, mentre leggo, mentre parlo con chiunque. Nella mia testa, in pratica non c'è altro.
Starà a me oggi fargli fare una degna figura.
Un compito di grande responsabilità, ne sono consapevole.
In tutto questo c'è chi non comprende.

La tua prima energia non doveva andare alla scrittura?
Chi ha detto questa sciocchezza?
Tu.
Io? Non mi pare frase adatta a me.
Basta che tu rilegga qui sotto da qualche parte.
L'avrò detto per farti stare zitta.
Comunque tutta l'attenzione che stai riservando a un fumetto dovresti dedicarla a cose più importanti.
Non c'è nulla di più importante di Paperino e tu non capisci proprio niente. Ora scusa ma devo andare. Umpf!

E bando alle ciance, devo andare davvero.

Wednesday, February 17, 2016

Una talpa di parola.

'Non farò più un corso di inglese'.
Avevo detto e mi sa che al posto di 'più' avevo usato 'mai più', perché uso essere drastica in questo genere di affermazioni.
Sarò inamovibile, come il dente nella mascella di un caimano.
Avevo aggiunto.
Appunto. 
Quel che sto facendo è proprio un corso di inglese.
Un giorno, a scuola di danza, con una mia amica abbiamo cominciato a parlare di inglese e pensato di partecipare alle attività quasi gratuite che fanno all'università, a cui lei è ancora iscritta mentre io pensavo che non ci avrei più rimesso piede.
Ma siccome sono una talpa e non riesco mai a fermarmi, da lì a iscrivermi a un corso di dieci settimane con una prof che mi sembrava un genio, il passo è stato brevissimo.
E qui viene il bello.
Nella prima lezione la prof ha detto che sarebbe stato carino se ognuno di noi avesse preparato una presentazione in inglese, con tanto di slide, su un argomento a piacere, ma che amiamo particolarmente. Durata, da cinque a dieci minuti.
Un argomento che amo.
Paperino.
Non mi è venuto in mente altro e ammesso che abbia pensato per qualche istante che l'argomento potesse non essere molto adatto, non ho vacillato. L'unico modo per riuscire a fare questa cosa in modo decente è portare con me un amico, ma che dico amico, un amore.
Paperino, che sarò costretta con grande disappunto a chiamare Donald Duck, mi accompagnerà in questa piccola avventura. 
Ieri ho inviato il testo alla prof. Titolo: Donald Duck.
E poi, sono giorni e giorni che cerco di capire come fare una presentazione con i mezzi che ho. Poi un'amica mi ha detto che Open office ha una sezione per le presentazioni. Ce l'ha davvero, incredibile.
Lunedì sera sono stata tre ore a cercare di capire come fare, senza riuscirci, perché non voleva prendermi le immagini di Paperino e è facile immaginare le bizzelle che ho fatto.
Ieri poi, ho ottenuto qualche risultato e vedere Paperino sulle slide mi ha convinto della mia scelta. È perfetto, così fotogenico.
Una ragazza seduta di fronte a me, nella scorsa lezione, ha detto 'io vorrei farla sui panda, mi piacciono tanto, ma temo sia troppo infantile'. 
Io l'ho guardata e le ho detto 'se ti può essere d'aiuto, io la faccio su Paperino'. E lei si è convinta immediatamente. Anche se è probabile che d'ora in avanti starà attenta a sedersi ben lontana da me.
In ogni caso domani 18 febbraio, presenterò Paperino al mondo, in inglese.
La cosa mi emoziona non poco.

I signori TED.

Intanto ho capito perché mi piacciono i signori TED.
Perché non fanno che ripetere 'take it easy, mole', non lavorare troppo, c'è tempo, goditi la vita, che fretta c'è'.
Ho anche capito, grazie a questo messaggio predominante, che potrei essere la reginetta dei Ted talks.
Poi inneggiano al fallimento. C'era uno che aveva portato lì il trionfo dei loro progetti falliti. Questi qui fanno una festa quando il progetto va buttato nel cestino. 
Su questo non ci siamo. In situazioni simili io batto la testa nel muro.
Ma il tipo altri non era che Archimede pitagorico, lavorava, con la sua squadra, allo stesso tipo di invenzioni.
Quindi probabilmente l'altro motivo per cui mi piacciono è che si ispirano a Walt Disney. A pensarci bene non poteva essere altrimenti.
In sala mi sa che ero l'unica italiana, in mezzo a molto americani e simili, perché i TED mi hanno fatto lo scherzetto di proiettarsi in inglese senza sottotitoli, di alcun tipo. Ma i TED li capirei anche se parlassero in finlandese.
Però, per confermare il mio amore, devo parlare anche del negativo. Li preferisco a dosi di venti minuti, di tanto in tanto, nel mio computer. Dopo due ore e venti di conferenza era un po' stufina.
Siccome i TED sono grandi, hanno chiuso con la danza. Il TED danzatore era il più strano che avessi mai visto e siccome raccontava storie diverse su sequenze di passi uguali e numerate, io mi perdevo nella danza e ho capito molto poco di quel che diceva. Non sono una talpa perfetta.
Ah, i TED dicono che quando si incontra una persona bisognerebbe chiedere 'quali sono i tuoi sogni?' e non 'cosa fai?'. Trovo l'idea veramente bellina, ma non credo che lo chiederò mai a nessuno, perché potrebbero rispondermi di farmi gli affari miei.
Poi c'era una che diceva che un bel giorno aveva deciso di rispondere sì a tutte le cose che le facevano paura e a cui generalmente diceva no. Tutto questo per uscire dalle zone di sicurezza. Dice che questa roba qui ha cambiato la sua vita. Carina anche questa trovata e anche il mio oroscopista di fiducia ce l'ha in effetti questa fissa col sì. 
Se io, in questo momento, cominciassi a dire sì a tutto quello che dice quella tipa che mi tiranneggia e che vive dentro di me, mi troverei in guai grossissimi.
Quindi, in barba ai TED talks, continuerò a rispondere no.
In pratica, mi piacciono, ma non li applico.
Un po' come gli adesivi.

Tuesday, February 16, 2016

Quaranta giorni.

D'accordo, niente danza oggi.
Infatti, non ci vai.
Se la metti su questo tono, preparo la borsa vado e faccio due lezioni, non una.
Devi riscrivere.
Semmai dopo, ora scrivo.
No, prima riscrivi e semmai dopo scrivi.
No, l'energia più fresca va alla prima scrittura, è la regola e non intendo cambiarla.
Invece stavolta la regola va cambiata, perché grazie a lei non rivedi più di una pagina al giorno.
È un lavoro duro, la regola non c'entra.
Comunque ora lo devi mettere al primo posto, capisci? È una priorità.
Lo decido io quali sono le priorità, non una manciata di signori B sconosciuti.
Intanto rispondi alla mail.
Non mi sento pronta.
Allora preparati e poi scrivi.
Non so cosa dire.
Quella cosina che hai pensato ieri sera prima di addormentarti andava bene.
Quaranta giorni? L'ho pensato solo perché mi piace il numero.
Ma io credo che vada bene.
Io credo di no, ho controllato, significherebbe otto pagine al giorno.
Ce la puoi fare.
Otto al posto di una? Scordatelo.
Si tratta solo di sedersi a questa sedia e lavorare.
Si tratta di molto di più. Si tratta di non avere più il tempo per prendere il tè, per cantare a squarciagola, per guardare le nuvole e il sole, per alzarmi dalla sedia cento volte, per aprire il browser tutte le volte che non è necessario, di disegnare la sera quando ho sonno, di non poter neppure andare a fare la spesa, cosa a cui tengo moltissimo. Si tratta di rinunciare a vivere.
Per quaranta giorni è una rinuncia che puoi affrontare e poi conoscendoti sono certa che inventerai qualcosa per continuare a vivere.
La fai facile tu.
La faccio come va fatta.
Falla come ti pare, comunque io ora scrivo e a quelle otto pagine ci penserò nel pomeriggio.
Stai sottovalutando la faccenda.
Il pomeriggio è lungo, avrò tempo per rivalutarla.
Se non ricordo male avevi intenzione di andare in un posto alle sei, o sbaglio?
Ehm, ci sarebbe, nel mio cinema preferito, la proiezione di una conferenza, di TED talks, e io adoro il TED mondo. Non posso mancare.
Invece avrai otto pagine da riscrivere, quindi starai qui.
Scordatelo.
Allora scrivile ora.
Come te lo devo dire che ora non posso?
Ti ho detto che devi invertire l'ordine per i prossimi quaranta giorni, prima riscrivi e poi scrivi e su questo non discuto.
Io non voglio invertire, io non posso, uffa uffa uffa! NON POSSO! Mi fai andare a fuoco il cervello con queste stupide ostinazioni.
Ah, sarei io l'ostinata?
Sì, tu.
Riscrivi.
No, scrivo.
Ho ditto riscrivi e...ZUT!!!!!!!
Nooooo!!!!

Questa è la mia vita. Quaranta giorni così non ce la posso fare e poi si tratterà davvero solo di quaranta giorni?
E il maggiordomo non ha ancora bussato alla mia porta.
Però io aspetto fiduciosa.

Ore 19.40
Ora sono dai signori TED. 
Sono riuscita a finire tutto solo perché la proiezione è alle otto e non alle sei come credevo. 
Però sono esausta come se avessi fatto in un giorno il lavoro di un mese. 
Come posso affrontare quaranta giorni così?
Sono sicura che stasera, grazie ai signori TED troverò tutte le risposte. 


Monday, February 15, 2016

Un maggiordomo, grazie.

Ho un libro di Fellini che si intitola il libro dei sogni. È bellissimo perché è pieno di disegni.
Ogni tanto ne apro una pagina a caso, perché secondo me è un libro che va letto e guardato così.
Oggi ho aperto una pagina e nelle ultime righe diceva 'Bando alle ciance, bisogna lavorare'.
A questo punto sono indecisa se tenerlo o buttarlo giù dalla finestra, tanto oggi piove, in dieci minuti si ridurrebbe a una poltiglia informe. È bello grosso, quindi se colpissi qualcuno rischierei di fargli male, ma siccome piove, hanno tutti l'ombrello e quindi posso procedere tranquilla.
Che anche lui cominci a tormentarmi è cosa che non posso tollerare, perché al riguardo mi sento un po' irascibile.
Non riesco a organizzarmi e la rilettura del mostro mi ha scombinato tutti i piani.
In una settimana ho rivisto un capitolo e mezzo. Considerando che sono ventidue e che sospetto ci saranno parti in cui sarò ancora più lenta, impiegherò una trentina di settimane. Una vita.
Il ventinove di questo mese avevo pianificato l'inizio della rilettura dell'altro, ma il ventinove non è fra trenta settimane, è fra quattordici giorni.
Allora faccio delle liste, perché dice che aiuta. Però siccome una non mi soddisfa, ne faccio tipo due o tre, quindi mi incasino anche con le liste.
Io non so organizzare tutto questo.
Io ho bisogno di un talpa planner in carne e ossa.
Io voglio un maggiordomo.
Io voglio tornare ai tempi in cui stavo in panciolle.
Intanto prendo un tè, che sono quasi le cinque.

Cinque minuti dopo.
Anziché chiudere il computer e mettere l'acqua a bollire, ho avuto la bruttissima idea di fare un giro nella posta elettronica, perché le talpe hanno un talento speciale nel mettersi nei guai.
In quel luogo ostile ho trovato una mail di quelli che mi avrebbero fatto il regalo, bel regalo davvero, che mi dicono che hanno ricevuto ora l'esito della mia scelta, la B appunto e mi chiedono se ho intenzione di rivedere il testo e in caso affermativo, di quanto tempo penso di avere bisogno.
Non credo di poter rispondere che ho bisogno di trenta settimane.
E vorrei anche sapere chi gliel'ha detto a questi qui, i signori B, che sto riguardando il testo. Ci deve essere una spia da qualche parte e io che sono una talpa dovrei intendermi di queste cose. Un sospettino infatti ce l'ho. I signori A che non si sono fatti gli affari loro.
Però credo sia tutta colpa del libro e di Fellini.
Credo anche che aspetterò domani per rispondere alla mail, perché ho deciso di avere un'attitudine più paziente e calma di fronte agli eventi della vita, anche se credo sia un proposito al di sopra delle mie forze.
Applicherò questa attitudine a modo mio, intanto, spegnendo computer e cervello e preparandomi un tè, esattamente come avevo deciso.
Nel frattempo, spero che un maggiordomo in carne e ossa bussi alla mia porta.
Io intanto gli preparo la stanza, così è più probabile che arrivi.

Sunday, February 14, 2016

Atto d'amore.

Quando coloro, con la matita, gli occhi di un personaggio e lui li riporta lì e mi guarda, guarda il mondo, io sento di avergli voluto molto bene. 
E mi sento come se lo avessi pescato da un luogo in cui esisteva già ma non riusciva a vivere. A guardare. 
Disegnare è un atto d'amore. 

Punizioni autoinflitte.

Per una settimana intera mi sono imposta di non andare a danza, neppure un giorno.
A tratti sentivo un sottile senso di disagio per questa drastica decisione, ma lo mettevo a tacere, non mi pareva degno di considerazione.
Che vuoi che sia una settimana in una vita intera. 
Il motivo a sostegno della privazione era che dopo il corso volevo usare quell'energia per scrivere, perché a volte bisogna stare fermi per non perdere i pezzi. Io sentivo che dovevo farlo per mettere a frutto quel che avevo imparato, sia dal positivo che dal negativo, perché sto cercando di imparare anche da lui, dal negativo, che ha più cose da dirmi di quante sia disposta ad accettare. Cerco di non liquidarlo in cinque minuti.
Ma poi sono tornata a lezione, ho poggiato la mano sulla sbarra e mi sono chiesta di nuovo perché me ne fossi privata, perché mi fossi inflitta quella punizione.
E velocemente, durante la spiegazione dei plié, ho capito.
La danza, in tempi lontani, mi è stata proibita, strappata dalle viscere è il termine che mi sento di usare. Penso di averne subiti diversi di traumi nella vita, come il resto dell'umanità, non intendo farne un caso personale, ma credo che quello sia il più grosso, o almeno è quello che mi torna in mente più spesso. È probabile anche che grazie a quel trauma, ogni volta che perdo qualcosa o mi viene strappato via, io riviva quel trauma terribile.
Ma tornando alla sbarra e alla mattina del rientro, ho pensato che a volte mi infligga di nuovo quella punizione, e i motivi possono essere due. Quello negativo è una sorta di masochismo, presente in ognuno di noi e forse direttamente proporzionale ai traumi subiti, che ci fa sentire l'insano desiderio di riprodurre il dolore, quello positivo è negarmela di nuovo per provare il piacere di riaverla quando voglio, perché questa è la differenza ora, che poterci tornare dipende da me. Tutte queste cose ho pensato prima di iniziare i plié, infatti mi è toccato scopiazzare quella davanti a me, perché durante la spiegazione avevo pensato ai fatti miei.
L'altro motivo, è che mi piace anche poter dire che una settimana non ci vado e fare un po' come mi pare.
Ma credo che l'errore in tutto questo, ammesso di doverne cercare uno, stia nella dichiarazione drastica a inizio settimana. Decidere giorno per giorno è la giusta soluzione.

Tuesday, February 9, 2016

La sfida.

L'avevo detto che erano tempi duri e forse quando una talpa lo dice, loro arrivano.
Come previsto nessuno mi fornisce più una linea adsl e ora sto navigando grazie a una mia amica che mi ha parlato di questa magnifica cosa che si trova nel mio altrettanto magnifico cellulare e che si chiama hotspot. Anche il nome è bellino. Se mi abbandona anche lui, sono rovinata.
Avevo anche detto che in mancanza di linee adsl mi sarei trasferita in un altro Stato, cosa che probabilmente dovrò fare, ma avevo aggiunto che il libro in tal caso lo avrei lasciato qui, in Italia.
Certo, posso anche farlo, ma ormai il danno è fatto, sta già popolando le mie notti di incubi e l'ha già avuta vinta lui. Per ora.
In ogni racconto che si rispetti, quando l'eroe affronta il mostro, nella fase finale vince. Se leggessi una storia in cui l'eroe finisce in terra intirizzito, getterei il libro nel fuoco. Ecco, allora vorrei sapere perché io, l'eroina in questo caso, sia stata sconfitta dal mostro. La vita non dovrebbe essere come i libri? Mica posso buttare me stessa nel fuoco. È chiaro che c'è qualcosa di sbagliato in tutto questo.
Il mostro mi ha mangiucchiata tutta. 
L'ho affrontato nel fine settimana, proprio come avevo detto... beh, quasi.
Ci sono centinaia, forse migliaia di cose che non vanno. 
L'eroina potrebbe dire 'ok, chi se ne importa, il mio l'ho fatto a suo tempo, ora sono impegnata, torna pure nel tuo scaffale così difettoso come sei'. Ma non è così che si muovono gli eroi e l'unico modo che ho per non buttare nel fuoco il libro della mia storia è quello di andare fino in fondo. Perché se mi fermo qui avrà vinto lui, non posso permettere che sia questa la fase finale, devo aggiungere altri capitoli alla nostra storia, mia e sua.
In pratica è una sfida e come si fa a lasciarla cadere così? 
È come quando la mia insegnante, dopo una serie di entrechat quatre dice 'chi ha fiato continui'. Non capita mai che io mi arrenda alla mancanza di fiato e se non c'è, dopo quella frasina, faccio in modo che risorga.
Il mio libro mi sta sfidando.
E sia, caro libro, a noi due.

Sunday, February 7, 2016

Vita dura.

Ore 8.00
E sto già sbizzellando con me stessa.

Scrivo.
No, leggi.
Ho detto che scrivo.
Invece devi leggere.
Odio la parola devi.
Tanto piacere. Prendi il libro.
Non so più dove l'ho messo.
Te lo dico io, sul divano.
Ah. Non ho la matitona rossa e blu.
Puoi farne a meno.
Questo lo dici tu.
Prendi la matita rosa.
È spuntata e la gommina tutta nera sulla testa mi disturba.
Rifai la punta.
Non ho il temperino.
Ne hai dieci.
Davvero? Non lo sapevo.
Prendi una matita con la punta già fatta.
No e poi no, un'altra matita no.
Allora leggi senza matita.
Impossibile. Cosa leggo a fare senza una matita fra le zampe?
Se non prendi subito quel libro ti lego a questa sedia.
Gulp!
Prendilo e spegni la musica.
NO, NO e poi ancora NO!
Non puoi leggere con la musica.
Sì che posso.
Non puoi.
Non posso cantare a squarciagola Irene per almeno dieci volte a questa ora di domenica, i vicini, i pochi rimasti, si ribellerebbero e senza quella dose iniziale non ce la posso fare. Ho bisogno di qualcuno che mi tenga la manina.
Allora tienila, ma bassa e senza cuffie.
Senza cuffie? Non mi piace così, la voglio forte e nelle orecchie.
Bassa e senza cuffie è la mia ultima parola.
Sob. Ma è domenica.
Appunto, leggi.
Sigh. Dove hai detto che era il libro?
Sul divano.
Allora vado a leggerlo lì.
Scordatelo. Prendilo e portalo qui.
Questa sedia è scomoda.
Metti un cuscino.
Sempre scomoda rimane.
Meglio così.
Perché?
Così non sonnecchi, ma stai all'erta.
Sembra più il servizio militare che una normale domenica mattina.
Ecco il libro. Apri e leggi. E zut!
Odio quella parola!!!!
Zut!!!!

La mia vita sta diventando durissima.

Saturday, February 6, 2016

Il mostro.

Ore 11.02
Afferro una matita qualunque, cioè non proprio qualunque, è rosa con la gommina sulla testa e apro il libro. Leggo le prime due righe e vado nel panico. Lo chiudo.

Ore 11.04
Accendo il computer e decido di mettere altro tempo fra me e la rilettura, dedicandomi al libro che sto scrivendo ora. 

Ore 13.34
Scopro di avere avuto la sessione di scrittura più lunga della mia vita e che avere un mostro che mi aspetta probabilmente è un ottimo sistema per scrivere, che in confronto al mostro diventa una passeggiata in riva al mare.

Ore 13.45
Ho fame e decido di prepararmi un bel pranzetto e chissà che non mi appassioni alla deliziosa arte della cucina.

Ore 14.45
Non mi sono affezionata, cucinare mi fa schifo né più né meno di prima e non c'è minaccia che possa cambiare questa realtà, però ho mangiato perché di fame non si muore mai, il che dimostra che cucinare non serve a niente.

Ore 15.00
Ho ripreso il libro in mano, ma mi è venuto in mente che la lettura è l'unica attività che non si può fare con la musica e allora ho deciso di ascoltare almeno una decina di volte il brano che più mi piace in questi giorni, Un vento senza nome, di Irene Grandi e di cantarlo a squarciagola. Me lo merito.

Ore 15.40
Faccende di adsl mi assorbono per un paio d'ore, perché in questo periodo sono in lite con tutti gli operatori e a breve non avrò più nessuno che vorrà fornirmi un servizio di adsl né di telefonia e dovrò cambiare stato. In tal caso il libro da rileggere, però, lo lascerò qui in Italia.

Ore 17.40
Sono costretta ad uscire per inviare un fax. Naturalmente non potevo aspettare lunedì, certe faccende vanno risolte subito.

Ore 18.20
Scrivo ancora un po'. Non esisterà un altro giorno nella mia vita in cui avrò scritto così tanto.

Ore 19.00
Decido di dedicarmi alla lettura che avevo programmato, in altre parole di dedicarmi al mostro, tanto sono le sette, considerando che mi verrà di nuovo fame e che, non potendo digiunare, dovrò sottrarre un'oretta per la cena, e che a una certa ora mi verrà anche sonno, il tempo a disposizione sarà talmente poco che il mostro non potrà nuocermi più di tanto.

Ore 20.00
Ho letto il primo capitolo e sono stremata. Avevo sottovalutato la mostruosità del mostro.

Ore 20.25
Decido di scrivere nel mio blog e mi domando perché lo stia facendo, di rileggerlo, perché non me lo ricordo più. Mentre mi accingo a cenare analizzo la possibilità di cambiare idea, di rimettere il libro nel mucchio e dimenticarmi di lui.

Problemi collaterali.

Ieri sera sono andata al cinema con una mia amica.
Quando sono tornata, anche se avevo molto sonno, ho messo il libro da rileggere sul tavolo. Perché per i compiti difficili bisogna prepararsi.
Stamattina era ancora lì, mi aspettava e non si era spostato.
Non è minaccioso, sta fermo e mi guarda. Ora è qui, alla destra del computer, sempre fermo. E chiuso.
Ne avevo comprati quattro, perché qualcuno me li aveva chiesti, solo che è passato del tempo tra la richiesta e il mio acquisto, quindi non ricordo più chi me li avesse chiesti e perché, quindi di quattro, tre sono rimasti a me.
Per la rilettura ne userò uno di questi. Lui, appunto, quello qui accanto.
Sarò professionale, che vuol dire che starò seduta a questo tavolo e non distesa su un divano e terrò una matita in mano con cui effettuerò le correzioni. Terrò poi, davanti a me, un quaderno su cui prenderò appunti più completi.
Se non troverò niente da segnare e niente da scrivere sul quaderno, mi limiterò a leggere senza fare altro.
Ma si presenta subito un problema. Enorme.  Non so quale matita scegliere per segnare le correzioni. 
Ne ho molte in casa, di matite, ma per qualche strano motivo non riesco a decidermi per nessuna di queste e non fa che tornarmi in mente un particolare. 
Non molto tempo fa, forse una decina di giorni, ero appoggiata al bancone di un negozio e vidi quelle matitone grosse che sono blu da una parte e rosse da un'altra, quelle che usano le maestre cattive. Pensai, in quel frangente, che avrei dovuto comprarla, ma siccome lo penso di quasi tutte le cose che vedo, subito dopo mi chiesi a cosa mi servisse e mi risposi 'a niente, talpa, non ti serve proprio a niente'. Detti dell'antipatica alla talpa che aveva parlato, ma non la comprai. Se solo si fosse fatta gli affari suoi, io ora avrei quella matita e non starei qui a torturarmi per trovarne una adatta, che non troverò mai, perché lo so, nel mio cervello l'unica adatta è quella, che si trova nel barattolone di quel negozio. C'è un altro problema. Anche se ho un'idea di quale negozio possa essere, non ne sono sicura.
Quindi ciò che dovrei fare prima di aprire il libro, scrivere la data di oggi, e cominciare, è uscire, prendere la bici, andare dritta al negozio in cui credo siano quelle matitone blu e rosse e se non la trovassi lì girare per tutta la città in cerca dell'insostituibile strumento. 
Io lo dico sempre che ai problemi se ne sommano sempre degli altri. Lo fanno per insabbiare il primo, perché se ne hai tre o quattro o anche cinque, il primo si rimpicciolisce.
E funziona. Perché io ora penso molto, moltissimo alla matitona e molto poco al libro da leggere.
Solo che devo prendere una decisione al più presto e anche questo per me è un problema, sia la decisione che il presto.
Ed ecco che siamo già a tre problemi e sono da poco passate le dieci. 
Sospetto che in capo alla giornata avrò una decina di problemi e non avrò letto una sola pagina del mio libro, nonostante i propositi di ieri sera fossero stati molto corretti.
Ma non è colpa mia se le matite se la prendono con me.
E anche tutto il resto.
Sento una specie di cospirazione.

Wednesday, February 3, 2016

Un imprevisto.

Io lo sapevo che questa faccenda dell'A e B non l'avrei liquidata tanto facilmente.
Perché le rogne vere si riconoscono. Le riconosco dalla mia resistenza.
E resistenza non è uguale a tranquilla soluzione.
Resistenza è come quando vuoi andare da qualche parte, ti senti convinta, ma un elastico continua a riportarti indietro.
Certo, non è mia l'idea, ma io sono bravissima a liquidare le idee che non mi dicono niente. Questa la vorrei liquidare e invece rimane lì e mi tira.
È come un sassolino nella scarpa, posso anche fare finta di niente, ma c'è e se giro la scarpa e la scuoto lui non se ne va. È incollato.
Pare che, mentre ero super lanciata in avanti, debba tornare indietro e rivedere i miei libri. 
Non vorrei ma forse è una roba che devo fare per poter andare avanti.
Questa faccenda mi butta in grande subbuglio.
Quanto vorrei riuscire a liquidarla.
Ma non ci riesco, e siccome non c'è nessuno che mi punti una pistola alla tempia, è una parte di me che ha ascoltato quel richiamo e non vuole lasciarmi andare. E se si sta parlando di una parte di me, allora posso stare certa che sia parecchio ostinata e che non mi lascerà andare finché non le avrò riservato la dovuta attenzione.
D'accordo. 
Non posso mollare quel che sto facendo ora, ma nel fine settimana darò in pasto a quella parte che mi trattiene la rilettura del mio libro.
Per ora non prometto nulla di più.
Accidentaccio.
Odio dover tornare indietro.
Altro che A e B, quella era la parte più semplice.
Non è tanto il rimettermi in discussione, quanto il fermarmi, voltarmi e ripercorrere un tratto di strada, giungere a quella casa che avevo chiuso e abbandonato, riaprire e vedere se avevo fatto del mio meglio o se non avessi lasciato strumenti inutilizzati, ma fondamentali per il futuro.
Ma può anche darsi che dovessi andare un po' avanti per arricchire il mio baule per poi tornare indietro. In tal caso mentre pensavo di essere partita per sempre, ero solo andata a cercare altra legna per il fuoco.
Devo tornare lì.
Non vorrei ma devo.
Questo sì che è un maledetto imprevisto che non avrei voluto incontrare.