Alla fine la scelta è stata fatta e il bello di una scelta fatta, giusta o sbagliata che sia, è che non ci si deve più pensare.
Ma io invece continuo a pensarci.
Un mio saggio amico dice, quando non sai cosa fare non devi fare niente e siccome io credo che lui abbia ragione, non avrei dovuto fare niente, ma il mio saggio amico si è dimenticato di dirmi cosa succede quando si deve fare per forza qualcosa.
È probabile che tutta questa faccenda su cui sto rimuginando non sia più importante di una briciola sul davanzale.
Comunque.
Il corso è finito, mi è piaciuto, molto scambio, cose interessanti, ma emerge che mi sento riluttante.
Questo modo di sentirmi è insidioso anche lui, perché non so se significhi che sono presuntuosa, che non voglio mettermi alla prova, che non voglio uscire dalla mia zona di sicurezza. Come si fa capire quando sia giusto seguire se stessi e quando gli altri? Quando è che siamo pronti?
Per cosa poi. Io voglio essere maestra di me stessa, che non vuol dire che sia più facile, che sappia già fare tutto, tutt'altro. Ho buttato via trecento pagine di libro, ho buttato via quintali di colore, disegni sbagliati. Si sbaglia, forse anche di più. Però voglio capire sul campo e non attraverso le regole.
Non è un momento facile, credo di non sapere bene dove sono.
Però sono contenta perché:
Sono tornata nella mia casina, fisicamente quindi lo so dove sono.
Perché posso tornare a lavorare alle mie cose, anche se fra qualche minuto troverò qualche scusa per non farlo.
Perché devo fare la spesa, visto che il mio frigo è più vuoto di sempre e non credevo fosse possibile.
Perché devo andare a pagare una bolletta e c'è il sole e farò due passi.
Perché ho di nuovo le maniche tirate su fino ai bicipiti.
Perché in un momento così, stare qui, tra le mie cose, i miei giocattoli, il mio mondo, mi aiuta a essere più vicina a me stessa.
Perché è solo di questo che ho bisogno, di rientrare nella mia quotidianità.
E di stare qui, al mio tavolo davanti alle finestre.
Almeno per un po'.
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