Sì sì, certo, ce l'ho fatta.
Ho recuperato, che significa fare in un giorno quello che avrei dovuto fare in due e forse anche in tre.
Se sono contenta?
No.
Cosa c'è da essere contenti nello stare dalle otto del mattino alle sei della sera sedute a una sedia e ridursi a uno straccetto inutile? Niente.
Per non dire dello strascico, che richiede poi una settimana di riposo e quante ore dovrei stare poi seduta per recuperare una settimana perduta?
È chiaro che il gioco del recupero non funziona e la stessa parola, recupero, andrebbe eliminata, io almeno la farò fuori dal mio vocabolario.
Quel che è perso è perso e nel giorno nuovo si fa finta di niente, anzi si fa finta di essere in pari, sempre in pari. Così vive una talpa.
Dieci ore seduta.
Beh, mi sono alzata una decina di volte.
Diciamo una ventina.
Diciamo una trentina... cinquantina?
Diciamo innumerevoli.
Diciamo che ero sempre in piedi, perché sgranchirsi è importante.
Ma c'è una cosa che mi inquieta. Molto.
Verso sera, quando ero stufa che più stufa non si può, ho iniziato a trovare innumerevoli pecche nel mio libro e ho tagliato senza pietà, tipo tre pagine le ho fatte fuori.
Ho tagliato perché non ne potevo più o perché andavano tagliate davvero?
Ma il turbamento ha radici più profonde.
Non so più se stia facendo la cosa giusta.
Andrò fino in fondo, perché non voglio che il dubbio sia solo l'alibi per il mio 'non voler fare'. Quindi io lo finisco. Però non sono più convinta.
E non c'entra che quelli non mi abbiano più risposto, non c'entra neanche che le case editrici non mi piacciono, non mi piacciono gli editori e il più delle volte non mi fido di loro.
Non c'entra perché questo è un discorso tra me e i miei libri.
Mi sembra sacrilego quello che sto facendo.
Io ora scrivo in modo diverso da tre anni fa, da due, da uno e forse anche da ieri. Come dice il mio insegnante noi cambiamo di continuo e io ora non sono la stessa di quella che si è svegliata alle otto.
È normale che di quel libro non mi tornino un sacco di cose. Ma mi dà fastidio infilarci quella che sono ora.
Un paio di anni fa, durante un viaggio pensai che l'idea del futuro non deve mai condizionare il presente. Funziona al contrario, è da qui che si forma il mio futuro.
Allo stesso modo in quella che sono ora c'è quel libro e c'è anche l'altro. La me scrittrice di adesso è fatta anche di loro e per questo io li rispetto, e voglio rispettarli così come sono. Li amo così come sono.
Si va avanti, non si va indietro.
È come se avessi la sensazione che modificandolo andrei ad alterare un equilibrio che invece non va alterato.
Questo mi dice anche che in queste cose non si deve ascoltare nessuno, a parte se stessi, perché non c'è nessuno che può sapere meglio di me cosa fare dei miei libri e della mia scrittura e se sembro presuntuosa non me ne importa niente.
L'unica cosa che ho voglia di dire è: giù le zampe dai miei libri.
Rimettere le mani su quel libro ha lo stesso senso di un adulto che torna dal sé bambino e pretende di dirgli 'guarda come so camminare mentre tu inciampi, prendi un po' le mie gambe, imbranato', mentre, se lui cammina, lo deve proprio a quel bambino.
Io vorrei lasciarlo con tutti i suoi difetti, con le sue incertezze, con le sue ingenuità, con i suoi entusiasmi perché grazie anche a quelli sono quella che sono. Che senso ha correggerli, rinnegarli? Non sono forse necessari?
Mi pare che nel cancellarli potrei cancellare una parte di me.
Non mi stupirei se alla fine di questa riscrittura mi vedessi sparire una mano.
Forse vorrei non aver mai partecipato al concorso, vorrei che nessuno mi avesse mai fatto alcun tipo di stupida proposta e forse ora voglio che nessuno mi contatti più per chiedermi cosa sto facendo.
Credo di voler fare di testa mia.
Quindi vado fino in fondo (forse) ma credo che la versione che lascerò pubblicata sarà quella non corretta, non perché sia migliore, ma perché cambiarla sarebbe una grossa scorrettezza. Nei confronti del mio libro e di me stessa.
Qualora mi dovessero ricontattare, sarò in grado di dire che vado avanti per la mia strada e me ne frego di tutto il resto?
Perché credo sia questa la vera prova.
Credo anche di non essere capace di stare nel mondo vero.
Io voglio sono scrivere e essere lasciata in pace.
Ho recuperato, che significa fare in un giorno quello che avrei dovuto fare in due e forse anche in tre.
Se sono contenta?
No.
Cosa c'è da essere contenti nello stare dalle otto del mattino alle sei della sera sedute a una sedia e ridursi a uno straccetto inutile? Niente.
Per non dire dello strascico, che richiede poi una settimana di riposo e quante ore dovrei stare poi seduta per recuperare una settimana perduta?
È chiaro che il gioco del recupero non funziona e la stessa parola, recupero, andrebbe eliminata, io almeno la farò fuori dal mio vocabolario.
Quel che è perso è perso e nel giorno nuovo si fa finta di niente, anzi si fa finta di essere in pari, sempre in pari. Così vive una talpa.
Dieci ore seduta.
Beh, mi sono alzata una decina di volte.
Diciamo una ventina.
Diciamo una trentina... cinquantina?
Diciamo innumerevoli.
Diciamo che ero sempre in piedi, perché sgranchirsi è importante.
Ma c'è una cosa che mi inquieta. Molto.
Verso sera, quando ero stufa che più stufa non si può, ho iniziato a trovare innumerevoli pecche nel mio libro e ho tagliato senza pietà, tipo tre pagine le ho fatte fuori.
Ho tagliato perché non ne potevo più o perché andavano tagliate davvero?
Ma il turbamento ha radici più profonde.
Non so più se stia facendo la cosa giusta.
Andrò fino in fondo, perché non voglio che il dubbio sia solo l'alibi per il mio 'non voler fare'. Quindi io lo finisco. Però non sono più convinta.
E non c'entra che quelli non mi abbiano più risposto, non c'entra neanche che le case editrici non mi piacciono, non mi piacciono gli editori e il più delle volte non mi fido di loro.
Non c'entra perché questo è un discorso tra me e i miei libri.
Mi sembra sacrilego quello che sto facendo.
Io ora scrivo in modo diverso da tre anni fa, da due, da uno e forse anche da ieri. Come dice il mio insegnante noi cambiamo di continuo e io ora non sono la stessa di quella che si è svegliata alle otto.
È normale che di quel libro non mi tornino un sacco di cose. Ma mi dà fastidio infilarci quella che sono ora.
Un paio di anni fa, durante un viaggio pensai che l'idea del futuro non deve mai condizionare il presente. Funziona al contrario, è da qui che si forma il mio futuro.
Allo stesso modo in quella che sono ora c'è quel libro e c'è anche l'altro. La me scrittrice di adesso è fatta anche di loro e per questo io li rispetto, e voglio rispettarli così come sono. Li amo così come sono.
Si va avanti, non si va indietro.
È come se avessi la sensazione che modificandolo andrei ad alterare un equilibrio che invece non va alterato.
Questo mi dice anche che in queste cose non si deve ascoltare nessuno, a parte se stessi, perché non c'è nessuno che può sapere meglio di me cosa fare dei miei libri e della mia scrittura e se sembro presuntuosa non me ne importa niente.
L'unica cosa che ho voglia di dire è: giù le zampe dai miei libri.
Rimettere le mani su quel libro ha lo stesso senso di un adulto che torna dal sé bambino e pretende di dirgli 'guarda come so camminare mentre tu inciampi, prendi un po' le mie gambe, imbranato', mentre, se lui cammina, lo deve proprio a quel bambino.
Io vorrei lasciarlo con tutti i suoi difetti, con le sue incertezze, con le sue ingenuità, con i suoi entusiasmi perché grazie anche a quelli sono quella che sono. Che senso ha correggerli, rinnegarli? Non sono forse necessari?
Mi pare che nel cancellarli potrei cancellare una parte di me.
Non mi stupirei se alla fine di questa riscrittura mi vedessi sparire una mano.
Forse vorrei non aver mai partecipato al concorso, vorrei che nessuno mi avesse mai fatto alcun tipo di stupida proposta e forse ora voglio che nessuno mi contatti più per chiedermi cosa sto facendo.
Credo di voler fare di testa mia.
Quindi vado fino in fondo (forse) ma credo che la versione che lascerò pubblicata sarà quella non corretta, non perché sia migliore, ma perché cambiarla sarebbe una grossa scorrettezza. Nei confronti del mio libro e di me stessa.
Qualora mi dovessero ricontattare, sarò in grado di dire che vado avanti per la mia strada e me ne frego di tutto il resto?
Perché credo sia questa la vera prova.
Credo anche di non essere capace di stare nel mondo vero.
Io voglio sono scrivere e essere lasciata in pace.
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