Friday, October 31, 2014

Connessione anti talpa.

A quanto pare tutti i luoghi pubblici in cui vado a scrivere si sono accordati per togliermi la connessione wifi.
Lo so, lo fanno perché io scriva e non perda tempo.
Ma voglio decidere io dove perdere il mio tempo, ammesso che sia perso, ma si dà il caso che io non sopporti tale termine. Il mio tempo non si perde mai da nessuna parte, in quanto ha molto più senso dell'orientamento di me.
Ma il fatto rimane.
In quella specie di bar, dove tra l'altro la connessione non richiederebbe neppure una pw di ingresso, scuote la testa e si rifiuta a volte perfino di farsi vedere o se si mostra, lo fa per dirmi, no talpa, l'accesso qui per te è chiuso.
Nella biblio, nel mio posto preferito, sul divano accanto alla collezione di paperi di Carl Barks, uomo che amo in modo smisurato per la linfa che ha apportato alla mia vita, forse se non fosse nato lui non sarei nata neppure io, perché una vita senza paperino è inconcepibile, bene lì non c'è connessione, ma c'è, come appena detto, ben altra distrazione per me, quindi quando sono lì seduta il wi fi potrebbe anche dipartire per sempre.
In altri divani o tavoli o poltrone, a volte c'è a volte no, ma il dispetto è in agguato.
Cosa mi fa pensare che sia una congiura? Che intorno a me mi pare di vedere un mucchio di gente che naviga allegramente.
In conclusione, esco per scrivere e alla fine mi tocca farlo davvero.
Intanto Dracula non l'ho finito. Sono arrivata a metà. Ma quel prof è così buono che credo mi perdonerà.
Ora provo a tornare al bar, dove forse non c'è connessione, ma di sicuro c'è un buon cappuccino, che non guasta mai.

Tuesday, October 28, 2014

Breakfast.

Questa mattina sono rotolata di nuovo giù dalle scale, con gli occhi ancora chiusi, per andare a fare yoga.
Non so se serva per risvegliare il corpo, quel che so è che lo faccio dormendo e osservo gli esercizi come se stessi ancora sognando e li eseguo come se al mio posto ci fosse qualcun altro.
Quando sono uscita, dopo la lezione, c'era il sole e il cielo azzurro, come del resto quando sono entrata, perché il cambio dell'ora, che di fatto mi indispone, pare serva proprio a questo, a farti uscire di casa nella luce anziché nel buio.
Nel breve tratto di strada fino a casa sorridevo stupidamente, e anche se me ne rendevo conto, non potevo smettere.
Se ci fosse stato un osservatore invisibile nell'aria, avrebbe attribuito la mia espressione alla pratica dello yoga e avrebbe pensato 'ma guarda un po', che effetto benefico! Forse tutti dovrebbero farlo la mattina prima di andare al lavoro, se questo è il risultato' e forse avrebbe sorriso a sua volta, perché pare che il sorriso come pure la risata, siano molto contagiosi.
Però no, in realtà non è per nulla esatto e l'osservatore si sarebbe sicuramente ingannato.
Il mio sorriso incancellabile altro non era che la gioia di avvicinarmi alla colazione. Una tazza di caffellatte guidava i miei passi e appiccicava quell'espressione estasiata sul mio viso.
Anche perché a metà lezione avevo pensato di rimanerci secca, dato che in genere, a digiuno, non ho più di una ventina di passi di autonomia.
Ora sono in biblioteca e ho preferito sedermi a un tavolo, piuttosto che sul divano, perché nonostante il secondo cappuccino che mi sono fermata a prendere prima di entrare qui, rischiavo di fare la fine dell'orso che russava l'altro giorno.
Come a dire che due stuzzicadenti a tenere su le palpebre, alla maniera di paperino, mi farebbero sicuramente comodo.
Intanto spero che la musica nelle orecchie possa tenermi un po' su.
Forse lo yoga non è così proficuo, almeno non a quell'ora malsana, checché se ne dica.

Monday, October 27, 2014

È arrivato!

Dunque, qualche giorno fa, sette per la precisione, ho fatto una cosa che volevo fare da un bel po', cioè pubblicare il mio secondo libro sul sito del primo. 
Perché fosse insieme a quell'altro, che saperli separati non mi piaceva e per vedere il risultato di questa versione cartacea, dato che l'altra mi aveva soddisfatto nella copertina ma non nella stampa del testo, che è come dire l'aspetto superficiale è ok, ma il cuore lascia un po' a desiderare.
Oggi, cioè ora, cioè pochi minuti fa, è giunto.
E c'è qualcosa di meraviglioso nel sentire il proprio libro che bussa alla porta.
Talmente grandioso che ora, mentre scrivo qui, mi tremano le zampine.
E forse è per questo che scrivo, perché vedere l'opera finita che può salire su per le scale e giungere fino a me da un luogo che non sono più io, o la mia testa, o le mie mani, ma altro, che neppure conosco, che me la rimanda come qualcosa che non è più mio, che appartiene ad altri luoghi, ma che conserva qualcosa di mio. E quel qualcosa di mio è questa emozione che provo ricevendola, ormai indipendente da me.
La vita della creazione. La sua libertà. La sua propria strada.
Beh, non riesco neppure a spiegarlo quel che provo.
In ogni caso la copia che ha bussato alla mia porta è complementare all'altra, nel senso che il cuore è decisamente migliorato, ma la copertina forse è inferiore.
Nel complesso però è migliore e nel complesso decisamente mi piace.
Devo aumentare la dimensione del font perché è scritto piccino, spostare un po' più su il nome, e vedere cosa viene fuori dopo questi ritocchini.
Ma intanto è qui, sul mio divano.
E mi ha reso felice.
E oggi, che è lunedì, e è un gran giorno.
E forse so un po' meglio perché faccio tutto quello che faccio, anche se lì per lì, a volte, mi sembra privo di senso.
Invece non lo è mai.

Sunday, October 26, 2014

Aiut!

Intanto Dracula colpisce ancora, perché passando davanti a un vetro ho visto qualcosa di bianco che si rifletteva e ho fatto un salto.
Che altro non era che un riflesso di una luce.
Ma al di là della spiegazione razionale, le cose sono due.
Dopo le otto di sera non devo più leggerlo.
E forse dovrò interrompere del tutto la lettura, che non so bene se sia per la paura o una scusa perché tanto non riuscirò mai a finirlo per il ventotto.
Ce la farei se mollassi tutte le altre cose che sto facendo, ma non ne ho alcuna intenzione.
Intanto alzo il volume della musica e spazzo via qualunque fantasma o presunto tale.
Gli spacco i timpani e vediamo chi vince.

Chi viene prima?

Perché mentre mangiavo, poco fa, mi è saltato in testa un particolare per uno dei libri.
Da dove sia spuntato fuori non lo so, se dalla pasta o cosa, quel che so è che il modo in cui vengono fuori, che siano validi o meno, che io decida di usarli o di ributtarli nel piatto o che so io, qualunque sia la loro forma e consistenza, sono belli. Anzi di più, sono bellissimi.
Questo era buffo e mi faceva sorridere mentre mangiavo e credo che ce lo infilerò, o almeno lo proverò e allora ho capito dove sta la bellezza. 
Che non c'è limite alla fantasia, non c'è limite a quello che una può inventarsi mentre scrive e che non ci sono regole.
Che poi forse, come dicevano alcuni che seguivo un po' di mesi fa, c'è un momento in cui bisogna ragionare in a more structured way, ma nel primo stadio puoi fare quello che vuoi.
Questo naturalmente lo dico io.
Tutte le parti che non riguardano regole sono sempre farina del mio sacco.
Ma ci si sente potenti, infiniti. 
Si può andare dove si vuole e nel modo che più ci sfagiola, quando si inventa una storia. E se questo a volte può spaventare, come mi accade, altre, come stasera, mi fa sentire come se avessi tra le mani e nella testa un potenziale infinito e l'unico limite fosse quello di non poterlo usare tutto. 
Non c'è limite a quello che posso inventare.
È fantastico.
E allora subito penso, ma le innumerevoli idee vengono dalla realtà o dalla fantasia? Vale a dire, è la fantasia che nutre la realtà o il contrario?
Chi viene prima, insomma?

As a child.

Dopo tutto questo ascoltare, leggere e studiare, la risposta mi è stata data.
Ci sono due livelli per leggere la letteratura.
Adulti e bambini.
Io la leggo al livello dei bambini, cioè nulla è cambiato rispetto a quando la leggevo da piccola.
Naturalmente qui ci si riferisce a letteratura per bambini, ma credo ci sia qualcosa di vero in questo in tutta la letteratura e non solo in quella, ma anche nel modo di leggere il mondo, la vita in generale.
C'è un livello, che è quello adulto, che io probabilmente non percepisco, o almeno non totalmente e in ogni caso quello che più mi si avvolge attorno e con cui ho istintiva comunione è quello infantile.
Beh, non credo sia una buona cosa, forse minimo bisognerebbe averli sviluppati entrambi, o bisognerebbe che io provassi un maggiore interesse per l'altro, invece di continuare a muovermi a un livello che sta sotto la superficie e non in senso di profondità, quanto nel senso di basico, elementare.
Però questi sono i dati che risultano facendo due più due e io in questo momento sono solo un'osservatrice, devo attenermi ai fatti.
La cosa mi preoccupa?
Non particolarmente, anzi direi di no.
Se me la sono cavata finora, credo che potrò continuare a cavarmela e credo anche che mi preoccuperei di più se i risultati mi avessero portato a capire di essere entrata nel mondo adulto, abbandonando del tutto quello infantile.
E forse c'è sempre tempo per una sorta di evoluzione, anche se non ne sono del tutto sicura.
Ora torno a leggere Dracula, perché il tempo stringe.
E tanto per confermare le mie attitudini infantili, ieri sera, prima di addormentarmi, ho dovuto cambiare lettura perché mi faceva molta paura.
Di giorno si può leggere. Di notte, no.

Saturday, October 25, 2014

Confessione.

Va detto che sono in biblioteca e invece di lavorare ai miei libri, sto usando la loro connessione per scrivere qui. Ma è più forte di me. Connettermi fuori dalla casina mi dà un senso di esaltazione.
Solo che c'è uno che sta russando sul divano e un po' mi disturba. Forse perché lo invidio. Non lo vedo, ma lo sento. Russa come un orso.
Pensare che volevo stare anch'io sul divano a scrivere e invece mi tocca stare a un tavolo come una seria.
Ho anche fame e se avessi un panino lo sgranocchierei volentieri. Ma non ce l'ho e neppure della patatine. Niente.
Sono qui per scrivere e per leggere Dracula.
E non sto facendo né l'uno né l'altro.
Ma non mi sento in colpa, perché scrivo tutti i giorni, compreso il sabato e la domenica e leggo, anche se poi non ne finisco uno. Ma più di così cosa dovrei fare? Niente, appunto.
Però qualcosa in sospeso c'è e è il mio braccio.
Non ci ho più messo pennello e ho scoperto che se non lo guardo, il quadro e non ci lavoro, il senso di angoscia sparisce. Forse è per questo che non ci sto lavorando.
Ma il mio senso estetico soffre. Perché il quadro è veramente brutto. Si è fermato a uno stadio che non è più l'immaturità dell'inizio in cui tutto si perdona alla pittura e il potenziale è illimitato, non è alla fine, quando si è deciso come portarlo a termine, è nel mezzo, nel punto del nulla, in cui l'ho reso più brutto rispetto all'inizio (stadio necessario, mi dico per incoraggiarmi) e non mi sto muovendo per portarlo fuori dal punto morto. 
Se non mi sbrigo, può darsi che il mio braccio sinistro vada in cancrena, anche se per ora sembra in forma, ma secondo me non c'è da rilassarsi troppo.
Quello lì ha smesso di russare per fortuna e credo che sia ora che io torni a scrivere.
Umpf.

Folli passioni.

Fra i corsi che sto seguendo ce n'è uno particolarmente stimolante che analizza storie. 
In particolare, fantasy.
Il prof è bravissimo, ma ancor più che bravo, è generoso e appassionato.
Se tutto il mondo fosse appassionato, non avremmo più un solo problema.
Che è uguale a dire che se tutti venissero spinti a seguire le proprie passioni, come dovrebbe essere, sarebbe tutto più facile.
Passione e amore sono le uniche cose che muovono il mondo.
In questo corso, oltre a giovarmi di queste riflessioni generali, mi rifletto nella mia superficialità.
So che non dovrei dirlo, che non dovrei giudicarmi, a meno di non definirmi un meraviglioso genio eccetera, ma di tutte le cose che fa notare lui e tutti gli altri nel forum, io non ne vedo mezza. Certo, dopo che mi viene detta, mi appare tutto chiarissimo.
Quindi, quando leggo un libro dovrei avere questo tipo che spunta ai margini delle pagine per dirmi il vero significato di quel che sto leggendo.
Non voglio dire che sia tonta, anche se a volte, durante queste lezioni un dubbio piuttosto sostanzioso al riguardo mi sfiora, ma in ogni caso è evidente che manco totalmente di spirito critico.
Io leggo e basta. Se mi piace vado avanti, se no chiudo il libro. Non mi faccio tutte queste domande su significati reconditi e simboli e trame sotterranee e letture su dieci piani.
In pratica, ma questo lo dice anche il mio maestro, il significato di tutto non sta mai spiattellato lì davanti.
Quindi io non colgo mai il significato nascosto, cioè vero.
Sulle fiabe avevo già avuto uno scossone l'anno scorso, quando una psicologa mi aveva messo sottosopra tutti i personaggi che io avevo sempre preso per quello che erano, una strega, una principessa, una bambina, un principe, un rospo, un re, un vecchio e così via.
Macché. Nulla di più sbagliato.
Comunque a parte le mie lacune, a cui temo mi dovrò abituare, questo corso prevede che in breve tempo si leggano dei libri.
Il che non è uno scherzo, visto che ne stavo già leggendo nove.
In pratica, sto impazzendo.
Prima mi è toccato comprare una versione delle fiabe dei fratelli Grimm, english version illustrata. 
Poi Alice nel paese delle meraviglie, anche questa versione inglese illustrata e non capisco perché un libro che non avevo mai letto, lo sto leggendo a ripetizione, perché quest'estate mi ero già decisa a comprarlo e leggerlo, incuriosita.
Dopo averlo spulciato e aver scoperto che è un gran pasticcio, sono passata a Dracula, che dovrei leggere in tre giorni.
L'ho comprato in italiano, perché perfino io ho capito che in inglese sarebbe stata impresa impossibile, ma non è un libro piccino. Come si può leggere in tre giorni?
Insomma, gli appassionati sono ganzi, ma stargli dietro è pazzesco, e forse andrebbero abbandonati al loro destino di folle piacere.
Ma ormai sono in ballo, come faccio a mollare?

Senza un perché.

Ieri sono andata a scrivere in un bar, cosa che faccio piuttosto spesso, anzi ormai potrei dire sempre. Ho rivalutato anche la biblioteca, quella vera, dove tutti stanno zitti e leggono, studiano o dormono. 
Insomma, ho dei luoghi preferiti, ma qualunque posto sembra essere meglio che a casa. Chissà perché.
Però ieri è successa una cosa strana.
Ho scritto per un po' sorseggiando un cappuccino e poi sono andata al cine. Nulla di strano e avevo più o meno programmato di fare così.
Un filmino leggero, di quelli che ti siedi sulla poltrona, sorridi tutto il tempo e non hai bisogno di pensare a niente, perché è tutto molto facile e molto piacevole. In pratica, una situazione che adoro. Forse dovrei vedere solo commedie e cartoni animati.
Comunque a un certo punto si crea, nel film, una scena e io penso 'guarda un po', sembra quella che stavo scrivendo nel mio libro'. Non finisco di formulare questo pensiero che l'attore dice una frase del mio personaggio, che non è una frase tipo 'ok, andiamo a fare la spesa' che ci sta, ma una frase molto particolare.
Beh, lo confesso, mi ha fatto sobbalzare sulla sedia.
Poi. Da un po' di tempo penso (ma non sono ancora sicura che poi farò davvero così) che i prossimi libri non li manderò più alle case editrici, li pubblicherò e basta. 
Non perché con gli altri sia andata male, ma perché c'è qualcosa che non mi convince più nelle case editrici o forse nulla di loro mi convince più. E non mi interessa più che mi dicano è bello, è brutto, che mi approvino, che mi pubblichino. Non mi interessa.
Il che mi porta anche a domandarmi perché scrivo.
Ma non lo so. 
Scrivo perché ne ho bisogno, perché mi piace, perché quando lo faccio mi sento molto bene, perché voglio farlo. 
Ma che il mondo legga i miei libri oppure no mi è indifferente.
Che piacciano o no, mi è indifferente.
Che io sia brava o no, mi è indifferente. Beh, forse questo non è vero.
Lo faccio. Punto.
Può darsi che in tutto questo ci sia qualcosa di sbagliato, ma ammesso che sia così, anche questo, mi è indifferente.
Il punto è che riguardo alla scrittura, mi trovo nella condizione, estremamente privilegiata, di non dover rendere conto a nessuno, di poter fare come mi pare e di potere anche dire che il punto non è essere pubblicata, ma scrivere, semplicemente. Fare il mio percorso, migliorare se riesco e andare dove mi porta la penna o la tastiera. 
Quel che mi interessa è proprio questo.
Seguire i miei passi sul filo della scrittura.
Ma per tornare al film, che è sulla musica e non sui libri, alla fine la protagonista decide di non firmare un contratto con la casa discografica e di mettere online il suo cd al prezzo di un dollaro. 
Si può dire quindi, che fossi abbastanza in linea con questo film.

Wednesday, October 22, 2014

Un mondo pulito.

Oggi qui, nella mia city, è una giornata bellissima.
Il cielo è talmente limpido che vorrei aprire una finestra, volare su un tappeto o anche una scopa da Hogwarts, magari una nimbus 2000, e andare a vedere dove hanno ammucchiato tutte le nuvole. Perché è chiaro che stanotte qualcuno si è dato da fare per pulire tutto, spazzare, lucidare e l'ha fatto talmente bene da non lasciare neppure un bruscolino nell'aria. I miei complimenti. Però siccome noi talpe, quando facciamo le pulizie, lo sporco lo mandiamo sotto i divani o sotto i tappeti, vorrei proprio vedere dove hanno ammucchiato tutto quel che c'era nel cielo. Comunque dalla mia postazione il lavoro è perfetto.
E io, non perché hanno fatto le pulizie, torno a danza, che è anche un bel numero di giorno, direi perfetto per ricominciare.
In realtà nei giorni scorsi tentennavo, come sempre, ricomincio a novembre, ricomincio venerdì, ricomincio a gennaio, non ricomincio affatto, tutte le pensavo, di tanto in tanto.
Ma poi ho sognato che ci dovevo tornare e ci sono alcuni sogni che non mi lasciano dubbi su quel che devo fare, voglio dire che sono talmente chiari che quando mi sveglio non devo neppure pensare a quella cosa, o a come il sogno me l'abbia detta e se dargli retta oppure no. Semplicemente il sogno modifica le mie cellule in modo tale che io mi alzi e sappia che oggi andrò a lezione, punto. Mi alzo e preparo la borsa e così deve essere, perché è proprio un nuovo stato.
Come se nella notte, una talpa nuova si fosse sostituita a quella vecchia, per cui i dubbi che appartenevano all'altra non possono scorrere in questa qui, che neppure li conosce e forse se ne stupirebbe addirittura.
I sogni sono sempre stati importanti per me. Ma ultimamente accade una cosa.
Spesso, sono un continuo della mia vita di giorno, quel che sogno si lega benissimo al mio quotidiano e sul finire, la mattina, il sogno ci entra dentro senza soluzione di continuità. A volte, se capita di svegliarmi, quando mi riaddormento riprendo un sogno interrotto. È una strana sensazione, perché anche se dormo sonni profondi, è come se vivessi ventiquattro ore. 
A volte, sono degli animali che mi guidano al risveglio, io li seguo e la strada porta nella mia stanza. Del resto sono una talpa e non c'è da stupirsi.
Questo non vuol dire che io sogni per tutta la notte, né che me li ricordi tutti, vuol dire solo che questa è la sensazione che mi lasciano. Che tanto i sogni fanno quel che vogliono e decidono loro cosa vogliono che tu creda.
Fatto sta che mi manda a danza. Questo è il succo.
Ma sto facendo anche yoga.
Anzi, è accaduta una cosa bizzarra.
Andavo a farlo con una mia amica in una casa un po' lontana, tipo in bici mi ci vuole mezz'ora ad arrivare. Non era male, ma non mi convinceva del tutto e non avevo termini di paragone, perché non l'avevo mai fatto. E lo volevo, un confronto. 
Una sera sono uscita, ma avevo lasciato i soldi a casa e tornando ho visto le luci accese in un negozio sotto casa, che vedevo sempre chiuso e che attirava la mia attenzione solo perché ogni tanto scrivevano delle frasi un po' zen sulla vetrina e io non le avevo mai viste.
Spinta dalla curiosità apro la porta e... sorpresa, c'è una sala grande e poi una più piccina di là dove fanno proprio yoga.
C'è un neo, le lezioni sono la mattina alle sette e mezza. Poi ce ne sono altre la sera, ma da un'altra parte, che comunque proverò.
Ieri mattina sono andata.
Perché. Anche questo non l'ho deciso io. 
Non uso più la sveglia, tranne quando devo prendere un aereo o un treno. Ma vorrei arrivare ad evitare anche in quei casi.
Dico al mio corpo di svegliarsi, se vuole. Per lo yoga mi pare anche molto giusto. Se lui si sveglia, vuol dire che lo vuole fare, altrimenti no. Beh, mi ha svegliato di prepotenza, facendomi venire un dolore al dito mignolo del piede, sparito appena mi sono alzata.
È dispettoso anche lui, non c'è niente da fare.
Quindi mi sono rotolata giù, praticamente in pigiama che era quasi buio e ho fatto la lezione, che è meglio dell'altra, e lo spazio è bellissimo. 
Nonostante questo, oggi ricomincio danza.
Perché nonostante questo, lo yoga è una cosa in più e non so bene cosa debba dirmi.
Perché le cose in più sono belle.
E perché se ogni giorno potessi fare una cosa nuova sarei contenta.
E credo che questa si chiami superficialità, ma non mi importa.
Ora guardo se trovo la scopa per volare a vedere dove hanno nascosto tutte le nuvole e poi plano sulla scuola di danza.

Monday, October 20, 2014

La replica.

Lei, quella lì, pensava che io dormissi o che fossi con la testa fra le nuvole e non mi accorgessi di quel che stava dicendo.
Invece sentivo tutto, ma l'ho lasciata parlare.
Ero proprio curiosa di sapere fin dove sarebbe arrivata.
La cosa pazzesca è che è talmente servile, assoggettata, che non si rende conto di essere al servizio di qualcuno.
Crede di essere lei a scrivere, dipingere, mangiare, disegnare, lavare, e tutto il resto.
Perché diciamocelo, non siamo state molto fortunate, io e lei.
In genere le talpe se ne stanno in una buchina a sonnecchiare e le uniche attività che le smuovono sono scavare e cercare qualche castagna da sgranocchiare.
La nostra si è messa in testa di fare tutt'altro e allora cosa possiamo fare noi?
Comunque, per tornare alla discussione.
Lei ad esempio non ha detto che in questa specie di scambio sono venute fuori diverse attività che avevo sempre fatto io e quando ci siamo scambiate lei era impacciata esattamente come me, alle prese col nuovo. Anzi, di più, perché arrossiva tutta e avrebbe voluto nascondere la sua inettitudine, perché non si sente abituata a fare le figurette e quindi si sarebbe nascosta volentieri sotto una manica. Era piuttosto penoso guardarla e l'avrei aiutata io, pur di non vederla in un simile imbarazzo.
Tanto a saper sempre fare tutto si diventa presuntuosi.
Ma insomma, anziché stare a discutere con lei, il nocciolo della questione è che la talpa desidera così e siamo parte di un tutto, non pezzi staccati. Anche la talpa senza di noi, andrebbe poco lontano. 
Ma certo non è che io mi alzi la mattina pensando di mettermi a picchiare su una tastiera o di agitare nervosamente un pennellino. Fosse per me, l'unico movimento che farei è quello di ritirare su le copertine.
E forse a dirla tutta, me ne sarei anche rimasta in panciolle come ero prima, lasciando tutto a quella esaltata. Chi me lo fa fare di lavorare e dover anche discutere con lei per farlo? Non sono mica così matta. Però c'è chi me lo fa fare, la talpa appunto che si è messa in testa di fare così e allora a questo punto cerco di divertirmi, cosa dovrei fare?
Insomma, quando le cose cambiano, è sempre un gran pasticcio.
Ma le cose cambiano di continuo e allora il gran pasticcio è sempre in agguato.
Ora io, siccome sono la sinistra, sono stanca, quindi chiudo qui e se non fosse che quella lì, la talpa, vuole fare altre cose, me ne andrei volentieri a schiacciare un pisolino.
Altro che lavoro.

Friday, October 17, 2014

Lo sfogo.

Finalmente sola, così posso sfogarmi un po'.
Perché non ci si crede, ma mi sta sempre appiccicata ormai.
Già che fin dalla nascita sono stata costretta a vederla tutti i giorni, ma prima almeno non rompeva e anche se la vedevo e sapevo che era lì, potevo occuparmi degli affari miei senza averla necessariamente fra i piedi...ehm, si fa per dire.
Ora è un po' che non la sento, quindi mi sa che dorme o è in uno dei suoi mondi, perché tanto non è mica normale.
Insomma, non la sopporto più e non so come fare e questo è un grosso problema, perché né posso far fuori lei, né posso andarmene io.
Siamo tutti legati qui, noi arti, senza possibilità di scampo.
Io non so cosa le sia preso, così di punto in bianco, di voler fare tutto anche lei. Si stava tanto bene prima e tutto funzionava a meraviglia.
Da quando è intervenuta lei i casini non si contano.
Perché poi non ha neppure l'umiltà per capire che certe cose proprio non le può fare. No, lei è presuntuosa e pretende di fare tutto subito.
A parte che io alcune cose gliele proibirei del tutto e per sempre e stop.
Tanto coi cervelli così mica si ragiona.
Tipo, qualche sera fa la talpa si stava togliendo le lenti. Sì, lei porta le lenti a contatto...beh, è una talpa, ovvio che per vedere qualcosa debba usare qualche artificio. Comunque a parte questo, che sono affari suoi, per metterle e toglierle è necessario quasi infilare un dito in un occhio. Ecco, lei, quella stupida, senza chiedermi nulla e senza preavviso, perché le manca anche il cervello per pensare prima di agire, ha preteso di togliere da sola la sinistra e per poco non acceca la talpa. Sì, più di quanto non sia già.
Ce ne rendiamo conto?
Proprio non lo vuole capire che non può fare tutto.
E lo so, sta già pensando che fra un po' potrà scrivere, dipingere, ma se pensa che le lasci mettere le dita su una tela, si sbaglia di grosso. Perché poi chi glielo va a raccontare alla talpa che quello schifo non è opera mia?
Finché si tratta di asciugare un piatto o un bicchiere, passi. Ma quella pretenderebbe di fare tutto quello che faccio io.
È una pazza totale.
Poi si esalta per un nonnulla.
Tipo, l'altro giorno ha preteso di inforchettare lei la pasta e la vedevo tutta arzilla perché ci riusciva e mi guardava con quella faccia furba e strafottente come a dire 'vedi, ci riesco anch'io e tu lo fai da una vita'.
Non mi sono messa a discutere perché proprio non ne avevo voglia e perché ha un cervello talmente piccino, anzi inesistente che non ne vale la pena, non posso perdere tempo con lei, ma insomma stava prendendo dei rigatoni con la forchetta, sentito bene? Rigatoni. Ovvio che ci riescono tutti. La vorrei vedere con gli spaghetti, o a usare le bacchette cinesi o a tagliare la carne. 
Ma almeno finché fa queste cose qui, non fa danni.
Il brutto è quando si esalta e pensa di non avere limiti.
Perché lei questo pensa.
Di non avere limiti.
Di poter diventare esattamente come me.
E forse è abbastanza folle da arrivare a pensare addirittura di potermi superare.
Sono o non sono in presenza di una pericolosa esaltata?

Tuesday, October 14, 2014

Turbe.

Intanto voglio subito dire che ci sono cascata di nuovo. Ho scritto un'altra paginetta, che è un inizio di qualcosa, racconto o romanzo che sia, ma che si aggiunge ai molti che già ho.
Lo so, ma cosa dovrei fare?
Se mentre me ne sto lì tranquilla a mangiare, un pasto neppure troppo pesante, quindi non di quelli che scatenano le fantasie e i mostri, mangiavo dei pomodori con delle mozzarelle, niente di che, se durante questo pasto mi inizia a saltare in testa un inizio, dovrei lasciarlo andare?
Anche se volessi non ci riuscirei, perché con tutti quelli che ho, è accaduto così. Ho dovuto smettere di fare quel che stavo facendo, accendere il computer e scriverlo. Oggi però prima ho finito di mangiare, mi sono rifiutata di interrompere il pranzo, anche se ero tentata di farlo.
Dopo tutto questo fermento comunque rimangono lì da qualche parte, perché certo non posso portarli avanti tutti insieme. O sì?
Poi.
Più faccio e più sono inquieta.
È una trappola.
Lo so, perché è uno studio che faccio da anni. Anche se in una giornata fai tutto quello che ti eri prefisso, non c'è quantità di lavoro che ti lasci soddisfatto. Pensi sempre che potevi fare di più, e c'è sempre, dico sempre, qualcosa che ti sei lasciata dietro perché non c'entrava. Specie se ti metti a fare mille cose insieme.
Ma una o mille è uguale. 
L'inghippo non sta nel numero, ma nella testa. O meglio nel lato da cui si decide di guardare la cosa.
Uno è quello delle cose fatte, e l'altro quello delle cose da fare.
Non so per quale strano motivo, ci si concentra sempre su quelle non fatte. 
Questo non fa che alimentare il senso di insoddisfazione, con grande rammarico di tutte le attività svolte che finiscono per sentirsi inutili.
Ma siccome non voglio sentirmi così, perennemente ansiosa per il da farsi, ho deciso di cambiare punto di vista.
Sto dalla parte delle cose fatte, guardo a quelle e la sera considero solo loro. 
Tanto a quelle da fare cosa ci penso a fare, se è tardi, ho sonno e l'unica cosa che mi va è di rilassarmi sul divano?
E funziona.
Siccome non c'è verso di trovare la soddisfazione nell'insoddisfazione, io la cerco dove sta, nella soddisfazione, appunto.
La soddisfazione, a patto che si voglia trovarla, va cercata nella soddisfazione.
Non fa una grinza.
Poi.
Perché non è finita.
Sto dipingendo un quadro che mi preoccupa e non so perché. È la prima volta che mi sento così di fronte a una tela. E il motivo mi vergogno anche a dirlo, quindi lo dico piano, fra parentesi (non sono sicura di farcela, non sono sicura di raggiungere il risultato che vorrei e che vagamente credo di sapere. Si tratta di paura). Ecco, credo di averlo detto. 
Inoltre, è un quadro vagamente realista, perché di realismo vero non ne faccio, un po' perché non credo di esserne capace, ma soprattutto perché non mi interessa, che forse è anche il motivo per cui non ne sono capace. 
Comunque, lo voglio dire. 
Sto dipingendo il mio braccio sinistro.
Ecco ci sono. L'ansia.
Non è che dipingendo una parte di me, poi questa si modificherà e se non lo farò bene allora anche il mio, quello vero, diventerà brutto? Comunque sia, c'è qualcosa che turba nel dipingere una parte di se stessi, questo è poco ma sicuro.
Ma ormai sono in ballo. Mica posso cancellare il dipinto sulla tela. Certo potrei, se si trattasse di altro, ma trattandosi del mio braccio, se poi mi si cancella anche lui?
Mi sono infilata in un bel pasticcio, perché non sto scherzando, mi sento davvero turbata e ieri mentre dipingevo ero così nervosa che ho dovuto sospendere, andare a meditare e cercare di capire quella rabbia che non sapevo da dove spuntasse.
Ma tanto mica l'ho capito.
Voglio tornare al più presto al mio panciolle.
Ma intanto questo braccio va finito e devo finirlo per forza io.
Che accidenti di trappola!

Monday, October 13, 2014

Sul metodo.

Un po' di tempo fa mi ero incasinata la testa su questioni di metodi.
È meglio questo, è meglio quello, sto sbagliando tutto o forse no, questo modo forse non mi porta da nessuna parte, mi sto perdendo o sono già terribilmente persa e non lo so, sto sprecando tempo e danaro (si fa per dire), sto girando sempre in tondo e così via.
Nonostante mi rispondessi che i dubbi non portano da nessuna parte, tranne togliere tempo al fare, e mettermi in uno spazio peggiore di quello di sbagliare metodo, non mi placavo. 
Perché essere assillato dai dubbi è come vivere in una gabbia con leoni o tigri o leopardi che ti accerchiano. Forse non provi quel tipo di terrore, il che è anche peggio perché non ti accorgi che sei in una gabbia con delle bestie feroci, ma ti pare perfino di essere libero, creativo e di lavorare con un'intelligenza che prima non avevi.
Sto forse dicendo che dubitare non serve a niente?
Più o meno.
Diciamo che tutto ciò che blocca non serve.
Meglio provare e sbagliare, che stare a pensare a cosa sarebbe meglio fare. Tanto la prova vera è sempre sul campo.
A parte questa introduzione un po' lunghetta, sono arrivata però anche a una certa chiarezza rispetto al metodo e ai dubbi che mi tormentavano.
Non sto dicendo che lo abbia trovato e abbia risolto tutto, se no cosa farei nel resto della mia vita.
E è pure probabile che il mio modo di lavorare sia altamente sbagliato e improduttivo.
Ciò nonostante ho capito che i dubbi che inseguivo non erano miei. Facevo miei i dubbi di altri. O meglio, in base a ciò che altri definivano utile per il loro lavoro, io definivo il mio giusto o sbagliato.
Allora i manuali non servono? E neppure i metodi che in secoli di studio e lavoro sono stati elaborati? E neppure i consigli di chi ne sa più di me?
Sì servono, certo, tutto serve, ma a patto che riusciamo a farli nostri.
Non posso prendere l'esperienza di un altro e applicarla al mio lavoro, se non la sento mia e mi tocca copiare e sforzarmi di fare in un modo che non capisco, perché non mi è entrato dentro.
Non è questione di mio o di tuo, è questione che un metodo va assorbito, va fatto proprio.
In realtà quel che penso è che ci si debba arrivare da soli. Per scoprire magari che il punto di arrivo è uguale identico a quello che tanti prima di me, ben più esperti, avevano detto, ma non importa. Se uno non lo sente, non lo può seguire.
Quindi che fare, in casi come questi?
Un mio insegnante dice che bisogna essere maestri di se stessi, come fece Stani e che l'unico modo per esserlo è lavorare. 
Lavorare è la strada per il metodo.
E se non ne troverò mai uno, allora vorrà dire che il mio sarà un non metodo.
Ma almeno sarà il mio.

Sunday, October 12, 2014

Giù le zampe.

Ho pensato più volte di riprendere in mano i miei vecchi libri e riguardarli, che è un altro modo per dire riscriverli.
Ho usato apposta il termine 'vecchi libri' perché mi fa sentire una popo' di scrittrice, una che scrive da tempo immemore.
In realtà, vecchi non sono per niente.
Ma ora credo di avere deciso di lasciarli così.
Anche qui, per un motivo di amore.
Che tanto se non ci muove quello, cos'altro ci deve muovere?
Quei libri, così come sono scritti, testimoniano la me di quel momento. Può darsi che siano opere immature, anzi sicuramente lo sono, può darsi che siano insignificanti, può darsi addirittura che siano brutti. Ma non per me.
Per me sono i miei libri, sono quanto di meglio sono riuscita a fare con gli strumenti che avevo.
Sono stata io a decidere quando dichiararli chiusi, finiti, pronti.
Riscriverli ora sarebbe come rinnegare un momento, un'arte, una testimonianza.
Non dico che le opere d'arte non si possano riguardare e ritoccare. A londra ho visto un quadro di Renoir a cui ha deciso di dare delle pennellate nuove dopo un po' di anni e non si può certo dire che l'abbia sciupato, anzi. 
Non dico quindi che non si potrebbe fare, che non sarebbe utile, e che talvolta non costituisca una tentazione del tipo 'vediamo cosa potrei farei ora di quel librino scritto per primo'.
Dico che non voglio farlo
Perché quel librino lo amo così com'è e se è brutto, forse lo amo ancora di più.
Le opere teatrali hanno una caratteristica. 
Sono uniche, irripetibili e lo spettatore che ne vede una sa per certo che non ne vedrà mai un'altra uguale, anche se tornerà a vedere lo stesso spettacolo. Questa è la magia e la bellezza del teatro. Ti giochi tutto in una volta, non hai possibilità di replica né di riparare agli errori.
Quando ero piccina facevo saggi di danza. Ricordo poco e niente della mia infanzia, ma se ci ripenso riesco ancora a sentire l'intensa sensazione di gioia dopo ogni saggio. Quando ero nel mio letto ci ripensavo e le emozioni vissute erano talmente grandi che non riuscivo a dormire, cosa incredibile per me, sia allora che ora. E se da un lato ero anche un po' triste che fosse già tutto finito, da un altro l'emozione era troppo grande per accettare qualunque tipo di tristezza.
Ecco, tornare a mettere le zampe in un mio libro, scritto e dichiarato finito, mi sembrerebbe come tornare sul palcoscenico a fare vedere a quella piccola bambina cosa si è capaci di fare con un po' di studio in più.
È molto probabile che se guardassi un video, fortunatamente inesistente, di quella ingenua e immatura performance, mi vergognerei di me stessa, ora. Ma volerla cancellare o modificare sarebbe criminale.
Sarei quella che sono ora senza quei saggi e quelle emozioni? Non credo.
Sono tasselli che ho messo lì e nei quali ho creduto e lì voglio lasciarli, così come sono.
Il mio tempo e il mio impegno vanno usati per andare avanti e creare nuove opere, non per rimettere le mani in quelle vecchie.
Infine, tutto questa riflessione non serve a convincermi del fatto che, andandole a modificare, sarei sicura di migliorarle.
Ma non è questo il punto.

Friday, October 10, 2014

Talpa multitasking.

Io non sono mai stata multitasking, forse nemmeno monotasking e forse neppure semplicemente tasking, quindi forse il termine non è adatto per me, ma insomma è per rendere l'idea della confusione in cui navigo.
Ecco forse il termine giusto sarebbe multiconfusion.
Però, in questa multiconfusion ci sguazzo e anche se il libro dice che devo tornare in panciolle, ho delle cose da fare.
Il punto è che non finiscono.
I libri che stavo leggendo e che erano otto, nonostante alcuni li abbia terminati, ora sono diventati nove. Con la Recherche a fare da sottofondo, e con la quale vado talmente a rilento che temo non basteranno anni per finirla. Quanto non lo so, anche perché oggi ascoltavo un video di uno che diceva che bisogna leggere 'SLOWLY'.
Quindi, proprio quando penso di cambiare ritmo in qualcosa, arriva un libro o un video a dirmi il contrario.
Sto seguendo tre Mooc, e sono sempre in ritardo e per quanto ci provi non riesco a mettermi in pari e credo faccia parte del rapporto fra me e loro.
Sto scrivendo due libri contemporaneamente e un racconto, perché forse se una ne legge nove insieme, è ovvio che poi non possa scriverne uno solo e tre mi pare il minimo, quindi non è escluso che ne aggiunga altri (in realtà di incipit e paginette di roba iniziata potrei contarne una ventina nel mio talpabook).
Per quanto riguarda il disegno non sono messa meglio, nel senso che ho l'imbarazzo della scelta e per di più sto cambiando orientamento.
Mi sono fissata con le forme, le forme che vanno al di là del significato, del contenuto. 
Anni fa avevo fatto un corso di danza che si basava esclusivamente sulla forma, mi era piaciuto, ma non gli avevo dato molta importanza, se non come esperienza in più.
Ora ci ripenso a quel corso, perché mi sta accadendo, da un punto di vista grafico, quel che lì accadeva con il corpo.
Le innumerevoli foto che faccio mi aiutano e scopro che non mi interessa più guardarle nel particolare, ma solo come portatrici di forme, tanto che spesso trovo più interessante guardarle quando sono piccine, nella libreria e neppure si capisce bene cosa ci sia impresso, ma le forme vengono fuori nitide. E forse mi interessano ancora di più gli spazi negativi.
L'ho scoperto quest'estate, quando ho iniziato a fotografare gocce d'acqua, macchie, qualunque forma avesse qualcosa di interessante da dirmi, che come ripeto, non è un contenuto, un significato, ma il modo in cui quel qualcosa si incide nel mondo, puro e semplice.
Per disegnare tutto quel che ho sparso nei miei dispositivi, anzi dipingere, perché questa roba richiede una pittura a olio, non so quanto tempo mi ci vorrebbe. Ma certo, se non inizio neppure finisco. In realtà per ora le ho solo raccolte, ma non ho iniziato a farne delle opere. Non so neanche che effetto potrebbe farmi. 
Potrei anche scoprire che disegnarle e poi dipingerle le priverebbe del loro fascino e quindi del mio interesse per loro. Fatto sta che per ora mi acchiappano moltissimo.
Anche le forme che il caffellatte lascia in tracce sul cucchiaio.
Tutto.
Se non è confusione questa...
Sperando che non ne giunga altra, ma qualcosa mi dice che la confusione è appena all'inizio.

Lavoro.

Lo so, è un titolo che non mi si addice eppure è così.
Faccio tutto quel che c'è da fare, comprese le piccole faccende, tipo portare la bici bucata a riparare.
Studio.
Disegno.
Scrivo.
Medito.
Ho perfino fatto un paio di lezioni di yoga, anche se non so bene perché. Credo sia in attesa di riprendere anche la danza, a breve.
Però non va bene, tutto questo non va per nulla bene.
Perché ho letto in un libro, proprio ieri, che mentre pensiamo che lavorare sia nobile e necessario e tutta quella roba che in genere si pensa sul lavoro, davvero impegnato e nobile è chi non fa niente, passa la giornata in contemplazione e alla ricerca di se stesso, unico lavoro che, a detta di questo qui, conti.
In pratica, il mio stile di vita, assieme a quello di Paperino, pare essere quello giusto.
Che noi non siamo in contemplazione o in ricerca, poi, ma semplicemente in panciolle, mi pare questione irrilevante.
Anche perché le definizioni di contemplazione e lavoro su se stessi sono, per fortuna, talmente vaghe, che nessuno potrebbe dire a me e Paperino che non stiamo lavorando.
Fa tutto parte di quella roba che non si può spiegare con la logica, con la parola, con l'intelletto, che trascende qualunque tentativo di razionalizzazione e che quindi si presta un po' a tutto. Come dire che è tutto un po' giusto e un po' sbagliato. Però più giusto che sbagliato.
I monaci spiegano questa roba con i koan, che io non capisco neppure quando mi dicono la soluzione, figuriamoci cercare di risolverne uno.
Sono tutti matti.
Un po' come cimentarmi coi rebus. Non ci sono mai riuscita. Ma lo so il perché. È tutta roba per cui ci vuole pazienza e io non ne ho. Proprio come Paperino. O capisco immediatamente la soluzione o niente.
Il panciolle è tutta un'altra storia. È il niente in pace col mondo.
Però dopo tutte queste chiacchiere va da sé che ho un problema grossissimo.
Proprio quando ho deciso di interrompere il panciolle per un po' e fare quel che tutti fanno, cioè lavorare, seria, disciplinata e perfino con una certa dose di entusiasmo, mi si dice che sto sbagliando tutto.
È proprio vero che non c'è mai pace, altro che contemplazione.
Certo, una vocina dentro, neppure tanto profonda, mi dice che non ho bisogno di preoccuparmi, che tanto i periodi di lavoro non mi sono mai durati troppo.
Quindi forse mi posso rilassare, cercando intanto di impegnarmi per allentare il ritmo e tornare alle vecchie tendenze.

Thursday, October 9, 2014

Insegnamenti inattesi.

'Treating comics as literature will expand our sense of comics, but just so it will also expand our sense of literature, changing the way we think of the individual page, and the way pages work together, to tell a large scale story.
Finally, any adventure will change the adventurer.
And the contemplation of comics is also the contemplation of ourselves.

What's interesting is that each panel presents some action, each strip adds those actions up into a small narrative that ends, or has to resolve with some kind of tension. Those strips then add up and they create an overall tension that locks the page together.
So in dividing a page into panels and strips, and understanding how those strips work together, we're figuring out a way of talking about how comic's page creates narrative tension.

And my larger argument here is that every page tells a story, every page tells an emotional setting ...every page is a poem.

Comics are virulent art, they're an art form that wants to get inside us, that wants to get in our own blood stream. And get on, get our imagination thinking and working.
Because of their mixture of textuality and visuality, they hit us in multiple senses.
And they want to get inside us, they, they want to be with us.
Each page is a poem, but those pages add up together to tell powerful stories.
So when you read think about how that grid works, think about how the story breaks down and works through its tensions. But think about how the story above all talks to you'.

Ecco, questo è un matto appassionato di fumetti che analizza una pagina di Spider Man e vi trova più cose di quante riuscirei a trovarne io in Guerra e Pace.
Analizza la costruzione della storia (in una sola pagina), la direzione di ogni sguardo, di ogni intenzione, o che noi crediamo, perché l'intenzione dell'autore non è mai libera dall'interpretazione del lettore. E a un certo punto parla anche di beat, in un punto in cui ogni vignetta diventa incalzante.
Ogni vignetta, in fondo è un beat e io ho fatto anni di studio con un insegnante che cercava di farmeli entrare nella testa e recitare col corpo.
Perché gli insegnamenti arrivano dagli angoli più disparati e insospettabili.
Perciò per un po' mi perderò nel mondo di questi fumetti, che non sono Paperino, certo, ma meritano un approfondimento.
E chissà che non ne ricavi strumenti preziosi per la mia scrittura.

Wednesday, October 8, 2014

Piacevoli scoperte.

Alla fine, che poi credo sia l'inizio, ho dato una strizzatina ai miei neuroni.
Controllato che uscissero goccioline di neurotrasmettitore.
Dato una lucidatina alla mia coscienza.
Tirato da una parte e dall'altra la mia consapevolezza per vedere se si allungava un po' e forse qualche micron l'ho guadagnato.
Girato gli occhi da una parte e dall'altra e in su e in giù.
Stiracchiato i muscoli.
Fatto un po' di giri in tondo come fa Paperone quando è disperato, ma io non sono arrivata a scavare un solco.
E ho ricominciato a scrivere.
Perché dopo il post che avevo scritto qui sotto non potevo fare altrimenti.
Avevo attivato una trappola, senza saperlo.
Certo, avrei potuto cancellarlo, rimuoverlo, ma non sarebbe bastato.
Insomma, mi è toccato andare fino in fondo.
E fare delle piacevoli scoperte.
Intanto che il sovvertitore funziona anche al contrario, quindi se dico che forse non sono una scrittrice lui fa in modo che io mi metta a scrivere come una pazza solo per il gusto di contraddirmi, quindi forse potrò sfruttarlo a mio favore.
Che non importa che io sia nessuno o niente, una scrittrice o un'imbianchina, nel senso che dirlo o non dirlo non ha alcun effetto su di me e sulle mie azioni e questa è una scoperta a dir poco meravigliosa.
Che scrivere, mi ha fatto sentire ancora più a casa, come se avessi legato fra loro le cellule in vista di un lavoro comune e armonioso.
Che ho provato la gioia di qualcosa che è perduto e poi ritrovato, per capire anche che non l'avevo mai perso, perché non si può perdere ciò che ci appartiene davvero e fa parte di noi.
Che il niente e nessuno non è così spaventoso come credevo, perché sotto tutta quella roba, l'essenziale non si estingue.
Che invece forse va molto bene togliere tutto e reinventarmi ogni momento.
Che in tutto questo non so cosa farò, cosa sarò e cosa penserò domani, ma questa è un'altra storia.

L'altra dimensione.

Ieri sera sono andata a una lezione con una mia amica.
Iniziava alle otto. Noi ci siamo trovate alle otto meno cinque e ci siamo salutate circa dieci minuti dopo la fine. Durante la lezione ognuna se ne stava concentrata a fare quel che c'era da fare. Io e lei non ci vedevamo da diversi mesi e è probabile che ne ripassino altrettanti prima che succeda di nuovo, perché i nostri incontri sono piuttosto sporadici.
Stamattina mi è arrivato un messaggio su whatsapp, che è il luogo in cui si dà libero sfogo alle parole, forse perché è gratis e dove i convenevoli sono aboliti, perché generalmente si chatta con venti persone contemporaneamente e non c'è tempo per simili smancerie. E poi forse si è portati a fare conversazioni più o meno simili, così se ci si confonde tra una persona e l'altra, fa lo stesso.  Ha il suo fascino, perfino io lo uso, anche se moderatamente.
Il messaggio diceva 'Ieri mi hai fatto morire dal ridere', seguito da faccine varie e da un altro messaggio 'spero di rivederci presto'.
Quelle parole dapprima hanno disegnato un sorriso sul mio viso, e poi una domanda nella mia testa, che ho formulato anche a lei 'ma quando è che ti ho fatto ridere?'.
Anche se la domanda potrebbe sembrare polemica, la mia era autentica curiosità, perché durante i pochi minuti in cui avevamo avuto modo di scambiare delle chiacchiere non erano intercorse punte risate, né da un lato né dell'altro.
E considerando che una manciata di questi pochi minuti erano stati dedicati anche ad altre persone, proprio non capivo quale pezzo del nostro incontro mi fossi persa.
La sua risposta è stata 'così, in generale. Lo dico nel senso che certe volte sembri in un'altra dimensione'.
Ecco, detta così credo sia quanto di più vicino a sentirsi dare della tonta, un po' quel che quasi tutti pensavano di Luna Lovegood in Harry Potter.
Fortuna vuole che Luna fosse uno dei miei personaggi preferiti e che ho moltissima simpatia per le 'altre dimensioni' quindi, come ho detto a lei, quando subito dopo mi ha chiesto di non prendermela (il che confermerebbe il sottotesto che avevo intuito), lo ritengo un complimento.
Certo è che mi chiedo perché abbia trasmesso un simile messaggio, mentre le uniche cose che ho fatto sono.
Prendere un cappuccino mentre la attendevo, perché prevedevo di saltare la cena.
Chiedere svariate volte la strada a lei e la sua amica, essendo in una zona che conosco poco.
Rispondere a un tale che non appena mi ha visto mi ha detto 'io ti conosco', ''io invece no'.
Fare qualche sorriso.
Seguire la lezione in silenzio e con diligenza, come mio solito.
Prendere un autobus per tornare verso casa, dato che la bici è fuori uso.
Quale esattamente di queste azioni mi trasporta in un'altra dimensione?
Apparentemente, per me, nessuna.
E il punto è proprio questo.
Che io stia scomparendo da questo mondo a poco a poco senza rendermene conto? Tipo quei film in cui le persone si dileguano, prima gli arti, poi il busto e ultima la testa.
Cosa di me, esattamente, è già scomparso?

Monday, October 6, 2014

E se.

Non è un alibi, né ho cambiato idea, né credo si tratti del sovvertitore.
Come ho detto, porterò a termine la scrittura del libro e forse anche degli altri scritti, ma una domanda sorge nella mia chiorbina, e pretende che io la guardi.
E se io non fossi una scrittrice?
Ho detto che non bisogna definirsi e questo è vero, ma voglio giocare, per questa manciata di minuti al gioco delle definizioni che tanto piace al mondo che ci circonda.
Perché in fondo alle persone che incontriamo non chiediamo mai 'chi sei nel tuo profondo e in cosa credi', ma 'cosa fai?'.
Quel che ci definisce è quel che facciamo.
Il lavoro è quel che siamo.
Lei è una ballerina, lei è una fioraia, lei è una commessa, lei è una segretaria, lei è una attrice, lei è una pittrice, lei è una geologa e così via.
Io, dunque, cosa sono?
Il dubbio mi sorge forte nella testa perché sono consapevole del fatto che se non dicessi scrittrice, cosa altro potrei dire?
Per dirla in un altro modo, non è che mi ostino a dire di essere una scrittrice perché non mi rimane altro?
Ne ho provati svariati di mestieri e alcuni di loro li ho esauriti.
Allora voglio provare ad andare fino in fondo.
Ammettiamo pure che io non sia una scrittrice, in tal caso sarei costretta a dire che non sono niente.
Che fai? Niente.
Chi sei? Nessuno.
Queste sono le risposte che dovrei dare a me stessa se mi dicessi, sul serio, che no, non voglio scrivere, perché non mi interessa farlo.
Perché naturalmente le risposte più importanti è a me stessa che devo darle, mica al mondo.
E allora se non scrivo devo essere pronta a dirmi che non sono niente.
Che nulla mi può definire.
Sono disposta ad affrontare questo buio totale?
Perché di questo si tratta e può essere agghiacciante.
Non ci si deve definire, ma allo stesso tempo non potersi aggrappare ad alcun tipo di definizione è come cadere in un pozzo di cui non si vede la fine.
Il buio totale.
Intanto vado avanti, perché così voglio fare, ma con la consapevolezza che sotto potrebbe esserci il niente, che quel che sto facendo potrebbe essere tutta un'illusione, un gioco.
Chi sei talpa, che cosa fai?
Niente e nessuno.
Alla fine di tutto questo mi domando 'Va bene, ammettiamo pure che sia così, ma se venisse il genio della lampada e ti chiedesse cosa vuoi fare, che lui in un secondo ti trasformerebbe in quella roba lì, cosa chiederesti?'
Ecco. Questa è una domanda che mi sono fatta spesso.
Io penso che gli risponderei che voglio scrivere, perché comunque non vedo cosa potrei fare di meglio nella mia vita e anche fare tutto quel che faccio nelle mie giornate e che fa di me quel che sono, senza geni fra i piedi a trasformarmi in un istante, che ammesso pure, mi vorrei trasformare piano piano e con le mie zampine.
Eppure, forse non sono una scrittrice. Forse, nonostante questa risposta, continuo ad essere niente o semplicemente a non sapere.

Che la talpa non molli.

La mia bici è bucata e abbandonata.
Urge intervento.
Il mio libro mi attende, sconsolato.
Crede che io abbia deciso di smettere.
In realtà non so cosa abbia deciso in proposito, perché le mie azioni non corrispondono ai miei pensieri, perché ho lasciato che i dubbi scavassero un abisso fra me e le righe da scrivere. Perché piuttosto che continuare come stavo facendo, che forse non era il miglior metodo del mondo, ma era almeno qualcosa, ho preferito lasciar perdere. Perché ho cercato risposte tutte insieme e le risposte non si cercano così, anzi non si cercano affatto.
Perché ho lasciato che la mia scrittura andasse alla deriva, anziché ricondurla a me o ricondurci l'una verso l'altra.
Perché non so.
Ma in tutto questo non sapere so una cosa. Che ciò che si comincia e in cui si crede, si porta a termine. Che metodo o non metodo, un libro iniziato si finisce, non importa come. 
So che bisogna sempre andare fino in fondo.
Perché mollare indebolisce l'anima.
Perché fermarsi è buio e melma, andare è luce.
Perché il timore più grande è di fermarsi un attimo prima che il tesoro spunti davanti ai nostri occhi, correndo il rischio di non vederlo mai.
Perché può darsi che sia proprio la paura che ci fa fermare un attimo prima.
È proprio perché tutti questi dubbi non rimangano qui dentro ad inquinarmi che devo andare avanti, metodo o non metodo.
Perché cosa è in fondo la ricerca di un metodo, o il dubbio o l'incertezza, di fronte alla possibilità di abbandonare il campo, di non arrivare fino in fondo per vedere cosa c'è?
È per questo che relegherò in un angolino i dubbi che non vogliono saperne di ritirarsi e continuerò a scrivere il mio libro e arriverò alla parola fine, qualunque essa sia.
Perché arrendermi non faccia parte della mia vita.
E perché se c'è una vocina che continua a mormorare dentro, bisogna ascoltarla.
E perché per vivere ci vuole coraggio.