Lo so, è un titolo che non mi si addice eppure è così.
Faccio tutto quel che c'è da fare, comprese le piccole faccende, tipo portare la bici bucata a riparare.
Studio.
Disegno.
Scrivo.
Medito.
Ho perfino fatto un paio di lezioni di yoga, anche se non so bene perché. Credo sia in attesa di riprendere anche la danza, a breve.
Però non va bene, tutto questo non va per nulla bene.
Perché ho letto in un libro, proprio ieri, che mentre pensiamo che lavorare sia nobile e necessario e tutta quella roba che in genere si pensa sul lavoro, davvero impegnato e nobile è chi non fa niente, passa la giornata in contemplazione e alla ricerca di se stesso, unico lavoro che, a detta di questo qui, conti.
In pratica, il mio stile di vita, assieme a quello di Paperino, pare essere quello giusto.
Che noi non siamo in contemplazione o in ricerca, poi, ma semplicemente in panciolle, mi pare questione irrilevante.
Anche perché le definizioni di contemplazione e lavoro su se stessi sono, per fortuna, talmente vaghe, che nessuno potrebbe dire a me e Paperino che non stiamo lavorando.
Fa tutto parte di quella roba che non si può spiegare con la logica, con la parola, con l'intelletto, che trascende qualunque tentativo di razionalizzazione e che quindi si presta un po' a tutto. Come dire che è tutto un po' giusto e un po' sbagliato. Però più giusto che sbagliato.
I monaci spiegano questa roba con i koan, che io non capisco neppure quando mi dicono la soluzione, figuriamoci cercare di risolverne uno.
Sono tutti matti.
Un po' come cimentarmi coi rebus. Non ci sono mai riuscita. Ma lo so il perché. È tutta roba per cui ci vuole pazienza e io non ne ho. Proprio come Paperino. O capisco immediatamente la soluzione o niente.
Il panciolle è tutta un'altra storia. È il niente in pace col mondo.
Però dopo tutte queste chiacchiere va da sé che ho un problema grossissimo.
Proprio quando ho deciso di interrompere il panciolle per un po' e fare quel che tutti fanno, cioè lavorare, seria, disciplinata e perfino con una certa dose di entusiasmo, mi si dice che sto sbagliando tutto.
È proprio vero che non c'è mai pace, altro che contemplazione.
Certo, una vocina dentro, neppure tanto profonda, mi dice che non ho bisogno di preoccuparmi, che tanto i periodi di lavoro non mi sono mai durati troppo.
Quindi forse mi posso rilassare, cercando intanto di impegnarmi per allentare il ritmo e tornare alle vecchie tendenze.
Faccio tutto quel che c'è da fare, comprese le piccole faccende, tipo portare la bici bucata a riparare.
Studio.
Disegno.
Scrivo.
Medito.
Ho perfino fatto un paio di lezioni di yoga, anche se non so bene perché. Credo sia in attesa di riprendere anche la danza, a breve.
Però non va bene, tutto questo non va per nulla bene.
Perché ho letto in un libro, proprio ieri, che mentre pensiamo che lavorare sia nobile e necessario e tutta quella roba che in genere si pensa sul lavoro, davvero impegnato e nobile è chi non fa niente, passa la giornata in contemplazione e alla ricerca di se stesso, unico lavoro che, a detta di questo qui, conti.
In pratica, il mio stile di vita, assieme a quello di Paperino, pare essere quello giusto.
Che noi non siamo in contemplazione o in ricerca, poi, ma semplicemente in panciolle, mi pare questione irrilevante.
Anche perché le definizioni di contemplazione e lavoro su se stessi sono, per fortuna, talmente vaghe, che nessuno potrebbe dire a me e Paperino che non stiamo lavorando.
Fa tutto parte di quella roba che non si può spiegare con la logica, con la parola, con l'intelletto, che trascende qualunque tentativo di razionalizzazione e che quindi si presta un po' a tutto. Come dire che è tutto un po' giusto e un po' sbagliato. Però più giusto che sbagliato.
I monaci spiegano questa roba con i koan, che io non capisco neppure quando mi dicono la soluzione, figuriamoci cercare di risolverne uno.
Sono tutti matti.
Un po' come cimentarmi coi rebus. Non ci sono mai riuscita. Ma lo so il perché. È tutta roba per cui ci vuole pazienza e io non ne ho. Proprio come Paperino. O capisco immediatamente la soluzione o niente.
Il panciolle è tutta un'altra storia. È il niente in pace col mondo.
Però dopo tutte queste chiacchiere va da sé che ho un problema grossissimo.
Proprio quando ho deciso di interrompere il panciolle per un po' e fare quel che tutti fanno, cioè lavorare, seria, disciplinata e perfino con una certa dose di entusiasmo, mi si dice che sto sbagliando tutto.
È proprio vero che non c'è mai pace, altro che contemplazione.
Certo, una vocina dentro, neppure tanto profonda, mi dice che non ho bisogno di preoccuparmi, che tanto i periodi di lavoro non mi sono mai durati troppo.
Quindi forse mi posso rilassare, cercando intanto di impegnarmi per allentare il ritmo e tornare alle vecchie tendenze.
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