Thursday, October 2, 2014

ll risveglio.

L'isola che a volte c'è, è un luogo che ammalia.
Per questo facevo molte domande, perché avevo bisogno di riscontri e di capire se fosse opportuno o no lasciarsi avvolgere dalle dolci reti di un posto così.
A tutti chiedevo 'ma tu qui ci vivresti?' e siccome la risposta era sempre positiva, insistevo 'non dico per l'estate o per il periodo di lavoro, intendo sempre sempre'. E la risposta continuava a essere positiva e io mi sentivo sbigottita di fronte a questo ipotetico trasferimento di massa in un luogo in cui, a parte un isola che a volte c'è e a volte no, ma se tu ci sei sopra esisti assieme a lei, tanto non importa il resto, perché le connessioni hanno un significato diverso, o forse non ce l'hanno affatto. Ecco, a parte lei, la natura, le stelle, il silenzio, il buio che più buio non si può, la pesca, la caccia, l'agricoltura e le tartarughe, non c'è nulla.
Tutti, a quanto pare, vivrebbero in un luogo così.
Perché, come dicono i locali, lì non hai bisogno di tante cose. Tutto si riduce a una vita semplice, c'è pace e la natura ti riconcilia con te stesso.
Io mi turbavo, perché pensavo che non avrei mai potuto vivere in un luogo dove la mattina, mentre ti rechi in uno dei tre bar presenti sull'isola, a bere un cappuccino (su questo dovrei aprire una parentesi lunghissima, ma è meglio di no) e un cornetto che vuoto non esiste, tutti ti guardano e poi piano piano scopri che tutti, specie la popolazione maschile del luogo, sono in grado di tracciare una mappa di ogni tuo passo sull'isola, come se ci fosse una vernice sotto i piedi che lascia impronte indelebili e fluorescenti. Che l'argomento che va per la maggiore riguarda la pesca, la caccia e il cibo, che l'isola ti accoglie e ti ingloba, ma la condizione, sotterranea e vivida, è che tu ti porti tutta da quella parte, mentre per me la vera accoglienza sta nell'incontrarsi a metà, in qualunque luogo siamo.
E il vero aiuto è quello che ti aiuta a trovare gli strumenti e poi ti lascia libero.
È un luogo apparentemente facile e pacifico, ma mi dava l'impressione che mi spingesse a mettere da parte me stessa.
'Ma qui puoi stare in pace'. Conversazione con la ragazza tedesca.
'La pace è dentro di te, quindi puoi trovarla ovunque. Ma qui se non peschi, cosa fai?' Risposta della talpa.
'Ti inventi le cose, rimetti a posto la casa, ristrutturi, fai l'orto, coltivi e vivi di quel che fai con le tue mani'.
'Vero, è bello, ma io ho bisogno dell'arte, di andare a teatro, di vedere danzare e di praticare attività che qui non esistono'.
'Sì, ma...'
E ognuna rimaneva sul suo terreno.
Ma io ne uscivo turbata. Perché pensavo che forse mi sto attaccando troppo alle cose, ai miraggi che offrono le città, che forse mi sto allontanando dall'essenza, invece che avvicinarmi come credo di fare. Pensavo potesse esserci qualcosa di sbagliato in me. Ma poi sono tornata nel mondo e ho capito.
Che non siamo tutti uguali e abbiamo vite e interessi diversi.
Che pace non è stare in un luogo silenzioso.
Che quando sono uscita dall'albergo a Roma e c'erano lavori in corso e un martello pneumatico che faceva un gran fracasso ho sorriso e mi sono sentita felice, perché anche il rumore è vita.
Che quando al bar mi hanno detto 'Ciao bella, che te doooo?' e avevano di tutto, io avrei fatto una decina di salti.
Che vedere un antiquario che dà delle piccole martellate a una cornice davanti alla vetrina del suo negozio è bellissimo.
Che passeggiare in mezzo a centinaia di sconosciuti con vite e pensieri diversi mi dà un senso di appartenenza al mondo.
Che camminare per strade che possono essere infinite, se lo si vuole, prendere treni e perfino sbizzellare e correre perché si ha fretta, cambia il ritmo e dà una sferzata di energia.
E perfino essere derubati può essere piacevole, perché indice di diversità, questo sono arrivata a pensare nella stazione Termini. Derubatemi pure se volete, non mi interessa. È vita pure quella. 
Che guardare il cartellone dei film in programmazione nelle sale mi racconta che poter scegliere è magnifico.
Che stancarmi con lo zaino in spalla mi fa sentire viva.
Che sentire il rumore degli autobus, mi fa pensare a un conducente che ogni giorno trasporta persone da un luogo all'altro e che è bello che esistano tanti mestieri, tutti diversi.
Che è bello anche vedere chi ti sbuffa sul viso.
Che è bello andare al supermercato e comprare una spinacina, roba chimica e malsana in barba a una settimana di pesce e di vita sana, perché forse io non sono affatto per la vita sana.
Che quando sono rientrata nella mia casina e ho ritrovato i miei libri, il mio cavalletto con la tela sopra, la connessione wifi, la musica, tutti i miei giocattoli e i tetti e le chiese con i loro campanili e un città che pulsa sotto, ho capito che questa è la mia vita.
Però ci penso a quel piccolo mondo che ho lasciato lì, lontano e alle tartarughe.
E la cosa più bizzarra è che mi sento più connessa a quel luogo ora che sono qui, che quando ero lì.
Perché qui sono io.

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