Thursday, October 2, 2014

Colpi di scena.

Come sempre la vita ci sorprende.
E per quanto noi ci sforziamo di immaginare gli eventi, lei va avanti per conto suo e prende direzioni inaspettate. Inizio a notare in lei una certa tendenza allo scherzo.
Lo fa perché vuole divertirsi alle nostre spalle? Perché vuole metterci alla prova? Perché se tutto andasse sempre come previsto ci adatteremmo troppo e invece la vita sta nel cambiamento?
Non lo so.
Comunque la mattina in cui ho lasciato l'isola che a volte c'è, nulla è andato come avrebbe dovuto.
È accaduto lunedì, ma mi sembra siano passati secoli e anche la mia permanenza lì ha un tempo che non è calcolabile secondo i normali parametri, perché lì anche il tempo assume valori tutti suoi.
Alle 5.30 del mattino mi sono recata alla biglietteria del piccolo paese per comprare il biglietto, che il giorno prima eventi straordinari tartarugosi mi avevano fatto dimenticare.
Le biglietterie, in questi luoghi, le trovi aperte per circa un quarto d'ora. Se lo becchi bene, se no sono cavoli tuoi.
Era aperta. Oltre a chiedere il biglietto, spinta da giorni di terrorismo, domando 'Attracca oggi la nave?'. Impassibile il tizio risponde 'Perché non dovrebbe attraccare?'. La sua risposta mi confonde a tal punto che farfuglio 'non so, il vento, le condizioni atmosferiche...'. Lui mi ignora. E già da queste potenti anomalie avrei dovuto capire che la giornata sarebbe stata tutta al contrario, ma invece io non ho pensato a niente altro e nel buio della notte ho percorso l'isola e mi sono recata al molo.
Come mi aveva detto una ragazza tedesca, lì il silenzio è profondo come in nessun altro luogo e così il buio. Il cielo era stellato a tal punto che il nero sotto scompariva e a tratti dovevo accendere la torcia del cellulare per vedere dove mettevo i piedi.
Mi ha ricordato un buio che avevo già sperimentato, in cui non avevo la torcia e tendevo le mani in avanti, per la paura del niente.
Arrivo al molo e in lontananza scorgo le luci di una nave che si avvicina. Attracca circa quaranta minuti dopo e io salgo.
La partenza mi regala un'alba strepitosa, quindi faccio il viaggio sul ponte scattando foto identiche fra loro, come mio solito.
All'arrivo a Lampedusa mi raccatta uno dei locali che offrono passaggi, mi lascia in centro e poi torna a prendermi per portarmi in aeroporto, non prima di avermi accompagnato a comprare un panino per la giornata. 
Va da sé che nessuna di queste decisioni è presa da me, perché loro conducono e decidono, se per il meglio oppure no, non so dirlo, perché credo che il meglio sia, nel bene e nel male, quel che decidiamo noi. 
Ma per lo spazio di una manciata di minuti diciamo che si può lasciar fare e affidarsi a un mondo che funziona un po' così, e per il quale sento ataviche resistenze.
Una volta in aeroporto, quando credevo che tutto fosse in ordine e che le incertezze maggiori fossero ormai passate, che il mondo, quello a cui ero abituata, mi stesse venendo incontro, tutto si è bloccato.
L'aereo ha deciso di farsi rompere un vetro da un sassolino mentre atterrava per prelevarci. Il risultato è stato rimanere nella saletta per cinque ore in attesa di un nuovo velivolo, perdere la coincidenza, visto che il mio volo non era diretto e arrivare nella capitale alle dieci di sera anziché le quattro del pomeriggio.
Cosa ha fatto la talpa?
Quando ha capito che dibattersi non aveva senso e che bisognava muoversi per tappe, (ah, se le tartarughe mi hanno insegnato), si è stesa su quattro sedie e ha schiacciato un bel pisolino, visto che aveva dormito poco, ha mangiato quel panino gigantesco per il quale ha ringraziato silenziosamente Carmelo, anche per l'iniziativa presa che lì per lì l'aveva infastidita, perché tutto ha un senso, poi si è messa a leggere e ha atteso la partenza come se i disagi riguardassero qualcun altro.
Poi, fino a Roma, si è unita a un gruppo di quattro che come lei avevano un volo tutto Alitalia e tutto spezzato e a un certo punto ha iniziato a trovare tutto molto divertente, perché le avventure le piacciono, e questa, anche se mascherata da disagio, lo era a tutti gli effetti.
I bagagli bisognava raccattarli noi, di luogo in luogo e prendere gli aerei era come salire sull'auto davanti al garage a cui bisogna controllare l'olio prima di partire e vedere se nel bagagliaio ci sta la valigia  e fare attenzione a non lasciarla sull'asfalto accanto a una ruota.
Sono arrivata a Roma alle dieci di sera, e non avendo più treni mi sono fermata lì a dormire, per ripartire il giorno dopo.
Quindi, il viaggio di rientro dall'isola che a volte c'è, è durato all'incirca 32 ore.
Che a pensarci è normale, perché anche se l'isola al momento della partenza c'era, tutto questo suo spostarsi genera dei disallineamenti col resto del mondo e tutto risulta poi sballato.
Come allungare un ponte verso un luogo senza sapere dove appoggiarlo esattamente e dover fare vari tentativi.
Ma c'è qualcosa di più grande in tutto questo.
Mentre io viaggiavo una tartaruga stava morendo e c'era qualcosa che mi tratteneva là e che io sentivo.
Era come andare contro.

No comments:

Post a Comment