Tuesday, October 14, 2014

Turbe.

Intanto voglio subito dire che ci sono cascata di nuovo. Ho scritto un'altra paginetta, che è un inizio di qualcosa, racconto o romanzo che sia, ma che si aggiunge ai molti che già ho.
Lo so, ma cosa dovrei fare?
Se mentre me ne sto lì tranquilla a mangiare, un pasto neppure troppo pesante, quindi non di quelli che scatenano le fantasie e i mostri, mangiavo dei pomodori con delle mozzarelle, niente di che, se durante questo pasto mi inizia a saltare in testa un inizio, dovrei lasciarlo andare?
Anche se volessi non ci riuscirei, perché con tutti quelli che ho, è accaduto così. Ho dovuto smettere di fare quel che stavo facendo, accendere il computer e scriverlo. Oggi però prima ho finito di mangiare, mi sono rifiutata di interrompere il pranzo, anche se ero tentata di farlo.
Dopo tutto questo fermento comunque rimangono lì da qualche parte, perché certo non posso portarli avanti tutti insieme. O sì?
Poi.
Più faccio e più sono inquieta.
È una trappola.
Lo so, perché è uno studio che faccio da anni. Anche se in una giornata fai tutto quello che ti eri prefisso, non c'è quantità di lavoro che ti lasci soddisfatto. Pensi sempre che potevi fare di più, e c'è sempre, dico sempre, qualcosa che ti sei lasciata dietro perché non c'entrava. Specie se ti metti a fare mille cose insieme.
Ma una o mille è uguale. 
L'inghippo non sta nel numero, ma nella testa. O meglio nel lato da cui si decide di guardare la cosa.
Uno è quello delle cose fatte, e l'altro quello delle cose da fare.
Non so per quale strano motivo, ci si concentra sempre su quelle non fatte. 
Questo non fa che alimentare il senso di insoddisfazione, con grande rammarico di tutte le attività svolte che finiscono per sentirsi inutili.
Ma siccome non voglio sentirmi così, perennemente ansiosa per il da farsi, ho deciso di cambiare punto di vista.
Sto dalla parte delle cose fatte, guardo a quelle e la sera considero solo loro. 
Tanto a quelle da fare cosa ci penso a fare, se è tardi, ho sonno e l'unica cosa che mi va è di rilassarmi sul divano?
E funziona.
Siccome non c'è verso di trovare la soddisfazione nell'insoddisfazione, io la cerco dove sta, nella soddisfazione, appunto.
La soddisfazione, a patto che si voglia trovarla, va cercata nella soddisfazione.
Non fa una grinza.
Poi.
Perché non è finita.
Sto dipingendo un quadro che mi preoccupa e non so perché. È la prima volta che mi sento così di fronte a una tela. E il motivo mi vergogno anche a dirlo, quindi lo dico piano, fra parentesi (non sono sicura di farcela, non sono sicura di raggiungere il risultato che vorrei e che vagamente credo di sapere. Si tratta di paura). Ecco, credo di averlo detto. 
Inoltre, è un quadro vagamente realista, perché di realismo vero non ne faccio, un po' perché non credo di esserne capace, ma soprattutto perché non mi interessa, che forse è anche il motivo per cui non ne sono capace. 
Comunque, lo voglio dire. 
Sto dipingendo il mio braccio sinistro.
Ecco ci sono. L'ansia.
Non è che dipingendo una parte di me, poi questa si modificherà e se non lo farò bene allora anche il mio, quello vero, diventerà brutto? Comunque sia, c'è qualcosa che turba nel dipingere una parte di se stessi, questo è poco ma sicuro.
Ma ormai sono in ballo. Mica posso cancellare il dipinto sulla tela. Certo potrei, se si trattasse di altro, ma trattandosi del mio braccio, se poi mi si cancella anche lui?
Mi sono infilata in un bel pasticcio, perché non sto scherzando, mi sento davvero turbata e ieri mentre dipingevo ero così nervosa che ho dovuto sospendere, andare a meditare e cercare di capire quella rabbia che non sapevo da dove spuntasse.
Ma tanto mica l'ho capito.
Voglio tornare al più presto al mio panciolle.
Ma intanto questo braccio va finito e devo finirlo per forza io.
Che accidenti di trappola!

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