Sunday, September 28, 2014

Partenze incerte.

Domani dovrei partire dall'isola che a volte c'è.
Uso il condizionale perché qui è d'obbligo, dato che come si sa, il motto è 'tutto è possibile'.
E soprattutto perché la nave attracca quando vuole lei. I locali dicono che è per le condizioni del vento, io dico perché l'isola non sempre si vede.
Nulla qui è reale e al tempo stesso tutto è più reale che ovunque.
Alla fine ho tirato su le tartarughe dalle vasche, anche se avevo dichiarato che non lo avrei mai fatto, perché il sovvertitore si è messo subito all'opera, ho perfino spinto l'antibiotico da un ago, ho pulito le vasche, ho annusato il loro mondo, che a volte è anche piuttosto puzzolente, le ho viste chiuse in una vasca e poi libere in mare, le ho viste mangiare e non mangiare, le ho viste calme e imbizzite.
Le ho viste, vissute toccate, loro e il mondo che si portano dietro e lo confermo, avrebbero tanto da dire. Anzi ce l'hanno.
E anche se si imbizziscono, sono animali calmi, che in condizioni avverse aspettano e stanno a guardare, perché capiscono che dibattersi non ha senso.
E può anche darsi che io sia così stupita da tutto perché non mi sono mai avvicinata tanto al mondo animale. Probabilmente neanche a quello umano.
Però una conferma l'ho avuta. Non potrei fare il veterinario e neppure il medico, perché intervenire con sicurezza su un altro essere per portare cure mediche non è cosa che mi si addica. A ognuno il suo.
Ma su tante cose devo ancora riflettere.
Intanto, devo vedere se riesco a partire domani. 
Che per pensare c'è tempo. Come insegnano le tartarughe.

Otto.

Ieri abbiamo liberato tre tartarughe.
Io ero l'addetta al video in acqua, il che dimostra una sola cosa: che bisogna frequentare gente che non ti conosce.
Questa è un'idea che mi gira nella chiorbina da un po' di tempo e anche il motivo per cui ultimamente non ho frequentato amici, anche se non mi definisco solitaria. Frequento il mondo, persone che incontro e che con molta probabilità non incontrerò più.
Non stringo rapporti di amicizia nel senso classico del termine e non cerco gli amici che già ho.
Eppure non sono sola, perché sto nel mondo, appunto.
In tutto questo ci saranno svantaggi e vantaggi. Il vantaggio più brillante è che chi non ti conosce non ti appiccica addosso alcun tipo di etichetta.
È un vantaggio enorme. Ti permette di essere qualunque persona e se vuoi allargare i tuoi orizzonti, nessuno ti dirà 'Tu? Ma che sei impazzita! Non ce la farai mai'. Insomma, quella roba tipo 'tu sei così, tu sei cosà...' che non sono gli altri, ovviamente ad appiccicarmi sulla pelliccetta, ma io stessa.
Una vita di definizioni che vedo poi riflessa nei volti, nelle espressioni, nei pensieri e nelle parole di chi 'mi conosce' e è probabile che io faccia lo stesso con loro.
E siccome gli orizzonti vanno allargati, e la coscienza pure e la consapevolezza pure, le barriere vanno abbattute e non è un compito facile, frequentare persone sconosciute è un modo.
Il pericolo più grande è quello di definirsi subito, con frasi del tipo 'questo non lo so fare, tu non mi conosci ecco perché mi chiedi di fare questo, no, io sono un disastro, no io sono...'.
Io sono. Queste due parole insieme, possono essere una meraviglia o un disastro. Se si usano per autolimitarsi di continuo, cosa che io so fare benissimo (e questo che ho appena detto è un esempio) possono fare molti danni.
E non è un trionfo dell'ego. È un modo per andare oltre e raggiungere quel luogo puro in cui non esistono sovrastrutture inutili e si raggiunge l'essere essenziale che invece conosce la strada e non dice 'io non lo so fare, io non posso'.
Tutto questo per dire che qui mi hanno messo tra le zampine una telecamera subacquea e il mio compito era riprendere le tartarughe liberate.
Io ci ho provato a dire che non era un compito per me, perché come ho spiegato, i limiti sono in noi, non negli altri. Gli altri li riflettono soltanto.
E allora sono andata. E se sulle prime due ho ripreso poco o niente, sulla terza ho fatto un piccolo capolavoro, perché l'ho anche seguita.
Per scoprire che le tartarughe sono velocissime, una volta in mare immediatamente sembrano dimenticare dove si trovavano fino all'istante prima e non si voltano mai indietro, in mare sono bellissime e l'immagine della libertà ti si stampa sul cuore e negli occhi e capisci che non c'è nulla di più importante nella vita che essere liberi.
Le tartarughe che filano via, nel mare profondo e azzurro brillante nonostante sia alto, mentre io sono lì con loro, a condividere un momento così importante, è un'emozione che non dimenticherò mai.
Finita tutta la faccenda naturalmente avevo il terrore di vedere i risultati del mio operato. Primo su tutti che avessi ripreso solo la mia faccia.
Invece, dopo averlo visto, mi sono anche data un voto che ho dichiarato a tutti.
Otto.
E ne sono fiera.

Saturday, September 27, 2014

Umpf.

La piccola baia portatile mi ha giocato un brutto scherzetto.
Oggi era invasa da piccole meduse, quelle piccole e cattive.
Non ce l'avevano con me, perché quando me ne sono accorta stavo rientrando dalla spiaggetta e avevo già nuotato in lungo e in largo, ma non è bello ugualmente.
Quindi ho cambiato idea. Non la ripiegherò in più parti e infilerò nello zaino per portarla con me.
Ri-umpf.

La baia portatile.

C'è una piccola baia qui, sull'isola che a volte c'è, che è a misura di talpa.
Talmente a misura che avrei voglia di smontarla, ripiegarla, riporla nel mio zaino e portarla via con me. 
Ma temo che non si possa fare, perché se già l'isola qui è piuttosto evanescente, figuriamoci cosa ne sarebbe di un pezzo portato via. Di sicuro a casa aprirei il mio zaino e lo troverei vuoto e avrei poco da stupirmi.
Qui, in questa baietta talposa, ho fatto il primo vero bagno della stagione e, di conseguenza, la prima nuotata.
Nella piccola baia puoi nuotare per ore senza sentire fatica, il che dimostra ancora una volta che la stanchezza è un fatto psicologico, come diceva una delle mie insegnanti di danza.
Non senti fatica perché il mare è spettacolare e tu sei talmente preso a guardare il fondale, i pesci e l'acqua limpida e a respirare intensamente, che ti senti totalmente immerso in quella meraviglia e ti sembra di respirare in acqua e non fuori, un pesce-talpa, ecco. Perché è come una piscina privata nel mare, dove alle spalle ti lasci un moletto con una scaletta, dove ogni tanto puoi andare a posare il culino per riposare, ma poi non ce la fai a starci per più di tre secondi perché il mare ti richiama come se fosse pieno di sirene e ti rituffi. Alla destra c'è una piccola spiaggia nera con delle rocce che cadono giù a strapiombo e che sono nere e giallastre e di fronte al molo, prima della roccia, per evitare che una talpa miope ci vada a battere con il nasino, ci sono mucchietti di scogli messi ad arte dove puoi poggiare i piedini, sfiorarli col buzzino, e girarci intorno. Inoltre ce n'è uno grande come una boa e tu ci puoi girare intorno e tornare indietro, tanto perché io non senta la mancanza del mondo della tavola. Puoi infilare il nasino curiosa dappertutto e più che nuotare, nella baia, fiuti il mare.
È probabile, date le caratteristiche dell'isola, che gli scogli si spostino mentre nuoto, per facilitare il mio percorso e renderlo più divertente, sorprendente o facile a seconda del mio stato d'animo e delle mie condizioni fisiche che, ne sono certa, la baia riesce a percepire.
Non è che io sia sempre col culino sugli scalini o i piedini sullo scoglio, sia chiaro, ma è che la baietta ti mette nelle condizioni di non stancarti mai perché ti mormora di continuo 'se ti stanchi, puoi venire qui o lì' e tu allora puoi nuotare anche per giorni interi.
Era la prima volta che nuotavo nella stagione e non mi fermavo mai, girellando felice e avrei potuto starci un tempo che non so calcolare, ma credo infinito.
Ci sono posti in cui ci si può perdere e contrariamente a quanto si pensi, non sono grandi, ma anzi, sono piccini. 
Quindi il perdersi non ha nulla a che vedere con la vastità e è una sensazione che andrebbe provata almeno una volta al giorno.

Tuesday, September 23, 2014

L'isola sbiadita.

L'isola che forse c'è, in effetti c'era.
Ma non è detto che ci sia sempre. Vuol solo dire che al momento esatto del mio attracco con l'aliscafo, c'era. Questo non garantisce che ogni volta uno ce la ritrovi.
Ora io ci sono sopra, ma non so quanto io e l'isola siamo visibili al mondo esterno.
In più oggi c'è un vento che porta via, quindi ammesso che la sua esistenza in questa giornata sia garantita sulla faccia del mare, non è detto che non venga spostata un po' di qua e un po' di là.
Questo è ciò che l'isola mi fa pensare.
Tale sensazione è avvalorata dal detto continuo della popolazione 'tutto è possibile', che potrebbe sembrare una frase positiva e incoraggiante, ma qui non sempre viene usata in quel senso, anzi il più delle volte il sottotesto è 'bella, aspettati di tutto'.
Noto, tra l'altro, una certa tendenza al catastrofismo, cosa che non mi piace granché, dato che io non amo la lettura negativa degli eventi.
Ma non so se siano poi davvero negativi, perché ho più l'impressione che il senso di catastrofe ti venga buttato un po' addosso solo per valutare la tua reazione. Una specie di test di resistenza dell'ospite. In entrambi i casi, io non l'apprezzo molto.
I colori poi, sono sbiaditi. Posso capire che questa sembri un'eresia, per chi lo considera tra il mare più bello d'Italia e forse anche del mondo, ma qui, in questi giorni, il mare non è mai blu e il cielo non è mai veramente azzurro. Tutto è sempre coperto da una patina di foschia, la stessa che ti si appiccica addosso anche quando è maestrale e il paesaggio sembra sempre rimanere distante, come in palcoscenico quando la scena si svolge dietro al velatino.
Il sole si tufferebbe in acqua davanti ai miei occhi tutte le sere, ma non si degna di rilasciare un solo colore che sia diverso dal grigiastro soffuso, con una palla sempre meno luminosa che gli scivola dietro.
È un pezzo di mondo stanco e sonnacchioso e i colori non ne vogliono sapere di risvegliarlo.
L'acqua è bella, limpida.
Le tartarughe caretta per due sono fantastiche, anche se appena vengono in superficie ti sputano e se tu metti un dito o una zampina davanti alla loro boccuccia te la staccano senza tanti riguardi. Le loro fauci sembra siano molto potenti e siccome vedono meno di una talpa, ti azzannano senza pensarci due volte, a scanso di equivoci.
Sono di quegli animali solitari che continuano a pensare 'lasciami in pace, voglio tornare nel mio mare, al mio spazio e alla mia lentezza'. Lo si vede dalla nuvoletta di pensiero che si forma sopra la sua testolina ossuta.
Sono animali che potrei rimanere a guardare per ore, perché sento che avrebbero tantissimo da raccontare. Il carapace è ipnotico e pare contenere leggi e simboli come fosse un mandala.
Ma è un mistero che non può essere acchiappato. Rimane tra me e il pelo d'acqua sotto cui se ne va a riposare, incastrato fra le molecole. O forse parla a una parte di me che io non riesco a decifrare, lontana come il tempo da cui vengono.
Dovremmo anche imparare ad acchiapparle e tirarle su. Le mie colleghe hanno già imparato. Io ho capito che non potrò. Per riuscire a farlo devi sentirti dominante rispetto a loro e non è una condizione che sento di poter raggiungere.
Siccome il poterlo fare è considerato più un privilegio che un dovere, io ci rinuncio.
Quel che posso arrivare a fare, nel contatto con loro, è accarezzare una zampina o pinna, il carapace, la testolina, il nasino che è morbido e gommoso, ma anche in questo i miei contatti sono ridotti al minimo.
So già che il momento più bello per me sarà quando, in questa settimana, molte di loro saranno di nuovo liberate in mare, guarite.
E allora forse verserò anche una lacrimuccia simile a quelle che cadono dai loro occhietti velati quando sono sul tavolo, fuori dall'acqua.

Sunday, September 21, 2014

Il transfert.

Non avevo mai vissuto un atterraggio su un'isola piccina.
L'aereo si abbassa talmente sull'acqua che ho pensato che in questi luoghi l'aeroporto fosse galleggiante e che per far scendere la gente la facessero rotolare giù dagli scivoli laterali direttamente nell'acqua.
Invece no, a un certo punto è montato sull'isola credo da un livello più basso, montandoci sopra come una mountain bike, per poi frenare con un'insistenza tale che se non poggiavo la zampina sul sedile davanti di sicuro ci finivo col musino, probabilmente perché l'isola è talmente piccina che se non si ferma così, rispunta sull'acqua dall'altra parte.
Sono scesa, seguendo il claudio che per me ormai fa la guida turistica e ho atteso il bagaglio che viene lanciato dentro da una finestrella che dà direttamente sul piazzale esterno.
Recuperato il tutto ho cercato un mezzo per raggiungere il porto.
Inesistente.
Per lo meno quelli ufficiali.
Mentre mi avviavo a piedi ho visto un furgoncino, ho chiesto e il conducente mi ha detto 'sali, ti faccio io il transfert', che ho pensato fosse una cosa un po' diabolica da dire, e sono salita insieme a un gruppo di appassionati, dell'isola, di Claudio, di tutto.
Il transfert man mi ha portato al porto, ma solo per farmi vedere che non potevo stare quattro ore lì, ma che dovevo stare in paese, mangiare e poi scendere delle scalette che mi ha mostrato e tornarci con i miei piedini o, in caso di impedimento, lui sarebbe accorso dietro mia telefonata.
Il tipo vive qui, saluta tutto il mondo, adora l'isola e dice che gli piace la vita semplice e che qui non ha bisogno di niente, che adora il mare.
Che se non ti piace il pesce te ne puoi anche andare, perché loro mangiano solo quello e che quando gli ho detto di non essere mai stata qui mi ha guardato come se fossi un'aliena e ha fatto un'esclamazione che credevo gli fosse andato di traverso un pezzo di granchio mangiato prima di raccattarmi dalla strada.
Ho già capito che qui ti puoi scordare di avere il controllo. È uno di quei posti che decide per te e tu devi lasciarlo fare.
Ora attendo di prendere il traghetto per l'isola che forse c'è e ho già scoperto che mangiare gli arancini è difficile e non è cosa per zampe talpose.
Burp!

Non ce la posso fare.

Ero seduta al mio posticino sull'aereo semi vuoto, il che mi ha permesso di spostarmi al finestrino senza problemi e avrei perfino potuto spaziare per tutta la lunghezza dell'aereo, ma nelle prime file non c'ero mai stata e quindi sono rimasta lì.
A un certo punto ho sentito un certo fermento di gente che si spostava dalle mie parti e passeggeri che inizialmente sembravano separati e di provenienze diverse, improvvisamente interagivano.
Una gita, ho pensato, erano tutti sparpagliati e ora si sono riuniti.
E ho liquidato così la faccenda, dato che generalmente mi faccio gli affari miei, quando viaggio e non.
Poi in prima fila si è alzato uno, un bell'uomo dai capelli bianchi tutto sommato e la tipa accanto a me gli diceva che le foto erano venute malissimo perché le tremava la mano dall'emozione e lui le rispondeva con parole consolatorie. Era gentile, sorrideva e sembrava un po' il collante di questa compagnia, così ho pensato che fosse la loro guida turistica.
Quasi all'arrivo però, ho iniziato a pensare che il fermento fosse troppo, l'emozione incontenibile anche e la guida, ora in piedi accanto a me, iniziava a parermi vagamente conosciuta.
Mentre mi sforzavo la chiorbina qualcuno lo ha chiamato Claudio, e allora ho capito che era niente popo' di meno che Claudio Baglioni, che le signore erano in visibilio per lui, che una ha detto che era stato il viaggio più emozionante della sua vita e che mentre tutta questa gioia e felicità probabilmente ha tenuto in aria l'aereo e formato nuvole a forma di cuori e palloncini, io ero ignara di tutto.
E non bisogna sottovalutare il fatto che stavo leggendo un libro sullo sviluppo dell'attenzione.
Mi sa che proprio non ce la posso fare.
Mentre ritiravo il mio amato bagaglio, Claudio, come qui tutti lo chiamano affettuosamente, firmava autografi e si lasciava scattare fotelle.
Stasera in paese si mangia gratis e lui canta.
Ma tutto questo l'ho scoperto dopo.

L'isola che forse c'è.

Il viaggio verso l'isola che forse c'è è iniziato.
Continuo a sentirmi come mi sono sentita fin dall'inizio di questa faccenda, un'osservatrice.
Quindi, il fatto che dallo scambio di mail nessuno poi mi avesse più telefonato non mi preoccupava affatto, come non mi preoccupava l'idea di partire, nel senso che svolgevo tutte le attività di partenza come se fossi affacciata a una finestra.
È una cosa strana, perché non sono indifferente, anzi sono contenta, ma tranquilla come se al posto mio partisse qualcun altro e io stessi solo facendo assistenza.
Tale attitudine comporta indubbiamente dei vantaggi. Ad esempio si riduce il rischio di fare le stupidaggini tipiche dettate dall'ansia che ogni partenza comporta e permette di vedere esattamente cosa c'è da fare. In pratica mi permette di essere lucida, condizione a me sconosciuta. Forse per questo ne sono così stupita. Perché essere lucidi e tranquilli è piuttosto interessante.
Quindi forse è questo che osservo, uno stato decisamente insolito per me e degno di studio.
Però una domanda me la faccio. Ma le tartarughe caretta due volte cosa mangiano?
Cioè, la domanda più specifica è: non è che mangiano le talpe, vero?
Forse questa domanda testimonia che tanto tranquilla non sono.
Intanto c'è da verificare, all'arrivo di questo viaggio, che l'isola esista, perché non ne sono affatto sicura.

Una strana conversazione.

«Salve. Vorrei sapere se questo treno domattina parte, perché ho sentito che c'è uno sciopero...» 
«Questi treni sono garantiti». 
«Bene, quindi lo trovo sicuro, posso comprare il biglietto, ecco questo orario mi va bene». 
«Proprio sicuro non è». 
«Ma se mi ha appena detto che è garantito». 
«Potrebbe avere dei problemi, come sempre del resto». 
«Beh, ma ora c'è uno sciopero, quindi non è come sempre...»
«Sì, infatti è garantito, ma sa, di sicuro non c'è mai niente».
«Ma in genere parte questo treno...»
«Sì, ma può accadere che si rompa una vettura e una corsa venga soppressa...»
«Ehm, d'accordo grazie, ci rifletterò con calma...»
Il signore con cui si è svolta questa conversazione era gentile e impassibile e chiaramente invitava i passeggeri a usufruire di servizi alternativi.
Poiché il mio passo verso tale mezzo di trasporto sembrava essere sbarrato da più parti, in seguito a tale conversazione, che certo conteneva in sé pillole di saggezza, la talpa ha optato per un, incredibilmente più sicuro nonché più economico, autobus.

Thursday, September 18, 2014

L'importanza di cadere.

'Ecco talpa, ti annoiavi?'
Il mare ieri è passato da un livello quasi uno a un livello tre quasi quattro.
Lì per lì pensavo si fosse imbizzito dopo aver letto il mio post, ma poi ho capito che forse non era così.
I primi due giorni che sono uscita da sola mi ha fornito un mare piatto e un vento lieve, per farmi acquistare fiducia. Perché se mi avesse dato subito le condizioni di ieri, mi sarei imbizzita, spaventata e non sarei più uscita. Lui, conoscendo il mio caratteraccio, ha deciso di accompagnarmi, in mancanza dell'insegnante, in questo percorso solitario.
Perché lì sulla spiaggia tutti erano tranquilli, presi dalle loro attività e indifferenti, come deve essere, alle mie prove di coraggio, di abilità, di carattere, di talposità a trecentossessanta gradi. Lì il mondo non era cambiato, mentre tra me, il mare e la tavola succedeva di tutto, anche se non saprei definire 'tutto'.
Ieri il vento ci ha provato a strapparmi la vela di mano 'dammela', 'no!' e infatti non gliel'ho data.
Però sono caduta in una trappola, che è quella del non cadere.
Siccome i primi tempi passavo più tempo a galleggiare e a ritirare su la vela, quando ho visto che riuscivo a stare sulla tavola, mi è sembrato un salto grandissimo e ho voluto mantenerlo quel salto. Cercando di non cadere.
E così è stato. Sono tre giorni che non cado.
Ma se voglio andare avanti e imparare a fare le manovre più veloci e altre cose che neanche so, devo riprendere a cadere. 
Perché per un po' è bello non finire in acqua, ma se poi diventa l'unico obiettivo, si rimane lì, incastrati fra parametri di equilibrio asciutti e tranquilli, convinti di fare progressi, mentre l'unico progresso che si sta facendo è quello di sudare invece di fare un bel bagno.
I parametri di equilibrio vanno scomposti e messi in discussione di continuo.
Quindi cadere deve essere l'obiettivo e non rimanere sulla tavola.
Certo che così non ci si capisce niente, però. Dice la talpa che è in me.
È proprio così che deve essere.
Perché è dal caos che nasce una stella danzante. 
Dalla stasi, non nasce un bel niente.
E quindi ieri, mentre pensavo 'non devo cadere non devo cadere non devo cadere' e stavo attenta con mani, piedini e tutto il resto, di colpo mi sono sentita prigioniera di una stupida conquista.
Invece sì che devo cadere.
Intanto oggi torno nella city e ieri, salutando la tavola e la vela che sono state mie amiche in questi giorni e legandole a una boa, mi ci è venuto un groppo in gola e ho dovuto trattenere una lacrimuccia, che ora è lì che vaga dentro di me, quindi forse sarebbe stato meglio lasciarla cadere nel mare, accanto alla tavola.

Tuesday, September 16, 2014

E la scrittura?

Piano piano riparte, ma lo so, perché riparta davvero devo tornare nella city.
O forse anche questa è una scusa.
E poi mi vengono mille dubbi, sui metodi che uso, sulle domande che non mi faccio, sui piani che non riesco a fare, sul mio modo disordinato di scrivere, sulla mancanza di un punto di arrivo, e so che l'unica risposta sta nel fare, che solo facendo capirò qual è il mio metodo.
Ma forse no.
Viene prima il metodo o prima il fare?
Un passo alla volta.
Ma quale passo?
Qual è quello giusto e ce n'è uno giusto e uno sbagliato?
E...
Non faccio che riempirmi di tutte queste domande, che si acquietano solo mentre scrivo, per tornare alla carica appena smetto.
È così importante sapere dove andare?
È proprio vero che esiste un solo metodo per tutti?
Perché io ci ho provato e a fare una scaletta non ci riesco. Proprio non ce la faccio. 
Io non lo so cosa vuole fare il mio personaggio, devo seguirlo perché le mie vaghe sensazioni acquistino una certa concretezza. E non ho che questo, vaghe sensazioni. 
È il personaggio che traccia la sua strada, o forse lo facciamo insieme, ma non so cosa farà nel prossimo passo, se prima non avrà compiuto questo. 
Perché le mie storie, brutte o belle che siano, importanti o meno, sono racchiuse nel personaggio, solo lui può crearle, svilupparle e se non cresce lui stesso, le storie rimangono incastrate al suo interno, come in un bozzolo che non si apre.
Se lui non cammina, anche la storia rimane ferma.
Cosa posso farci?
Io un altro modo per ora non riesco a trovarlo, posso solo seguire un filo che mi porta. E lo so che essere portati del tutto non va bene, ma è anche vero che sono io che scrivo, quindi chi mi porta può farlo solo attraverso me.
Senza di me, non potrebbe esistere.
Quindi forse ho risposto alle mie domande, ma so che continuerò a farmele e so che capirò solo facendo e che questo è un giro vizioso.
Ma qual è il problema, in fondo?
Che tipo di paura dovrei avere?
Eppure ne ho.

Poco di tutto.

Con il mare calmo che più calmo non si può e un vento leggero che più leggero non si può, si acquista fiducia e si impara.
La vela cinque e cinque diventa amica.
Si impara a fare le manovre senza usare la cima di recupero, anche se me la ritrovo sempre fra i piedi e non so perché.
Si spostano i piedi dietro all'albero che è più elegante.
In mare ci sono solo io e diverse farfalle che sono molto più coraggiose di me, perché volano in mare aperto senza temere la riva lontana e una caduta, per loro, sarebbe fatale.
Per lunghi tratti chiudo gli occhi senza pericolo di scatafasciarmi.
Tornando di poppa, potrei davvero avere una poltroncina, anche perché la poppa è soporifera e se chiudo gli occhi per troppo tempo, rischio di addormentarmi.
Non cado mai e la vela rimane sempre fra le mie zampine, il che mi fa sentire perfino caldo a un certo punto e la sensazione di non essere in un posto acquatico.
Vado fuori, sempre un po' più in là e anche se l'acqua diventa scura e profonda, non mi fa paura.
Esco da sola, come una vera surfista e rientro quando voglio.
E se voglio riesco e se voglio rientro di nuovo.
Nessuno si preoccupa per me che sono fuori.
Mi rilasso.
Troppo.
Perché troppi giorni così, di calma piatta e poco vento, con un livello di difficoltà che va da zero virgola cinque a uno, sono pericolosi, perché poi non riuscirò ad accettare un vento che mi strappa di mano la vela e mi scaraventa in acqua ogni cinque minuti, perché tanto lo so, quando cambiano le variabili cambia tutto.
Ma ho l'impressione che per ora le condizioni rimarranno queste e che il mare abbia deciso di salutarmi dolcemente e di farmi capire che ce la posso fare.
Però, devo dirlo, sono soddisfatta di me stessa e la mattina, da sola, portare la mia tavola in mare e poi partire mi fa sentire bene e anche parecchio smorfiosa.

Monday, September 15, 2014

Bizzelle.

Esistono persone che sono abituate, da una vita, a svolgere il grosso del lavoro, a sentirsi indispensabili, a pensare 'tanto se non lo faccio io...' e quando viene loro proposto un aiuto, anziché fare una festa, lasciarsi sprofondare in una poltrona, ridere per ore, mettere i piedi sulla scrivania, incrociare le braccia dietro la testa e far volare la cravatta all'altro capo della stanza, accogliendo l'aiutante con inchini, regali e tappeto rosso, bofonchiano.
Io l'ho sperimentato in questi giorni, grazie a una pratica a cui in realtà penso da qualche anno, ma diciamo che ora la sto intensificando.
Sto cercando di diventare ambidestra.
Descrivo subito il mio piccolo successo, perché così si fa. L'altro giorno, per la prima volta, d'istinto ho usato la sinistra e dopo un po' me ne sono sorpresa.
Ma il più delle volte, devo ascoltare le loro bizzelle.
Perché la sinistra non sarebbe così imbranata se non si sentisse continuamente osservata e giudicata dalla sua collega.
D. No, non così, così fai un casino, ti faccio vedere io
S. Io non voglio fare come fai tu, voglio imparare un modo mio. 
D. È tutta la vita che lo faccio, vuoi saperlo meglio di me?
S. Beh, ora, che tu lo voglia o no, lo faccio anch'io e voglio farlo a modo mio.
D. Il tuo modo fa schifo. Come si fa a prendere una forchetta così?
S. Tu hai impiegato anni ad imparare, anche se non te lo ricordi.
D. Io non capisco perché non si possa fare come s'è sempre fatto.
S. Perché sono stufa di non fare niente e mi annoio a morte, va bene?
D. Fai qualcos'altro, guarda la tv, leggi, invece di venire a rompere le scatole a me.
S. Dovresti essere contenta del mio aiuto.
D. Lo sarei se fosse un vero aiuto, ma mi tocca controllare tutto quello che fai e spesso rifarlo. Tanto vale che faccia da me come ho sempre fatto. Del resto finora te ne sei lavata le mani, no?
S. Perché tu eri sempre in mezzo e comunque ora voglio fare anche io tutto quello che fai tu.
D. Scordatelo!
S. Ma proprio per niente. 
D. Non ce la farai mai (risata).
S. Questo lo dici tu. Vedrai.
D. Se non ti aiutassi io e non ti dicessi come fare non riusciresti neppure ad aprire il frigorifero.
S. Se tu te ne stessi un po' penzoloni senza intralciarmi, forse troverei il MIO MODO.
D. Come puoi avere un TUO MODO, se non hai mai fatto niente in vita tua?
S. Non ho mai fatto niente perché tu non mi lasciavi fare niente, eri sempre in mezzo.
D. Questo è il mio lavoro. 
S. E il mio quale sarebbe?
D. Aiutare, di tanto in tanto, quando ce n'è bisogno, se no giacere da qualche parte, inerte.
S. Beh, questa storia è finita. D'ora in avanti io e te siamo pari.
D. Giammai.
E così via, ogni giorno. Perché sono anche bizzose e la destra invece di stare in panciolle sta tutta tesa e vorrebbe strapparle tutto di mano.
Comunque, non credo che per il momento si possa fare molto per le loro bizzelle, si può solo andare avanti facendo finta di non sentirle.
Al momento, le esperienze più complicate sono state aprire la scatoletta del tonno e, veramente difficile, lavarmi i denti.
Naturalmente non ho ancora provato a scrivere e disegnare con la sinistra.
È una strada lunga, ma è altrettanto vero che è più facile se si riesce a vincere la sensazione di stranezza, l'ostacolo forse maggiore.
Perché sto facendo questo? Perché mi sembra di vivere con metà corpo.

Giorni intensi.

Sono stati giorni intensi, che mi sono serviti a capire che.
Il mare è bello, e anche se lo sapevo una conferma non guasta mai.
È interessante sentirsi chiedere ripetutamente 'fai anche te la regata?' perché vuol dire che ho le phisique du role. Ma anche questo lo sapevo già.
Il vento è bizzoso e questo vuol dire che se non lo vuoi, lui c'è e se lo aspetti lui va da qualche altra parte a farsi gli affari suoi. 
Gli sportivi, gli agonisti cioè, quelli che fanno le gare, non li capisco. Mi sono sforzata, ma non ce la posso fare a capirli e non sono neppure sicura di volerlo, perché non sembrano mai contenti. A meno che la loro forma di gioia non si esprima al contrario.
Dopo due giornate in mare sul gommone il mondo si muove in modo diverso e per fermarsi impiega un po' di tempo.
Io faccio una divisione netta fra mare da spiaggia e mare da sport. Quest'anno, del primo, non ne ho fatto punto. Il che comporta che ho vissuto il mare con i vestiti addosso.
Ballare e saltellare sulla spiaggia sotto le stelle è un'esperienza liberatoria, di quelle di cui si ha bisogno senza saperlo. Il che fa posto subito a una domanda: quante sono le esperienze di cui ho bisogno senza saperlo? Ma ho anche una risposta, e è che i bisogni, prima o poi, vengono soddisfatti, quindi non c'è da preoccuparsi.
Riesco ad andare in mare da sola e tornare (finalmente) ma quando vado troppo fuori sono divisa fra la paura della solitudine nel mare immenso e il piacere di uno spazio acquoso senza fine.
Trovarmi fuori da ostacoli e scogliere mi dà la stessa sensazione di una sala da danza enorme tutta per me. Un sogno che ho fin da bambina e che non so se potrò mai realizzare. Per questo cerco di svuotare le case, per poter danzare gli spazi.
Io parlo, da sola, con il vento, con la tavola, con il mare e non riesco a farne a meno. Non so se voglia dire che sono pazza, ma non credo che riuscirò a guarire.
Philippe Petit dice che bisogna amare gli oggetti. Io non ho problemi, amo gli strumenti di lavoro, e tutti gli oggetti che mi circondano. Sì, anch'io penso che abbiano un'anima e chiedere alla vela cosa vuole fare e come pensa che sia il vento e di sistemarsi da sola, per favore, mi sembra un'ottima soluzione alle mie lacune. 
Io ho bisogno di giocare, con tutto, è più forte di me.
Troppa gente per troppo tempo mi fa troppa confusione nella testa e quando accade, il bisogno di ritrovarmi sola e ritrovare il mio centro si fa incalzante.
Senza i miei silenzi e il mio lavoro interiore non posso più vivere.
Il mio maestro di danza per la prima volta mi ha scritto che le lezioni di danza ricominciano. Mi è sembrato un segno della vita che mi richiama all'ordine per dirmi che il tempo è giunto.
La felicità è dentro di noi. Sentirla significa essere vivi.
E poi chissà quante altre cose ho capito, ma non mi vengono in mente.

Thursday, September 11, 2014

L'idea.

Siccome io e la mia vicina di rado ci troviamo ad abitare i nostri appartamenti contemporaneamente, lei ha avuto un'idea che io trovo geniale.
Costruire una scala a chiocciola che li colleghi, così quando io non ci sono lei può spaziare anche nel mio e io lo stesso quando manca lei.
Io ho più finestre, ma lei ha un balcone, quindi sono case complementari che si prestano a una collaborazione di questo tipo.
Se per caso ci trovassimo ad essere presenti entrambe, ognuna si ritirerebbe nel suo spazio, perché ci teniamo alla nostra privacy e perché non siamo amiche, ma solo vicine di casa.
Io la trovo un'idea fantastica.
Bisogna solo pensare a come realizzarla perché i nostri padroni di casa non se ne accorgano.

Rientri.

Accade questo.
Quando vado nella casina sul mare sono felice di arrivare e dispiaciuta di ripartire.
Quando arrivo nella city sono felice di arrivare e dispiaciuta di ripartire.
Direi che la situazione è equilibrata.
Detto questo, ieri il mio viaggio era appena iniziato che grosse gocciolone d'acqua hanno iniziato a bussare nei vetri chiedendo ripetutamente di entrare, senza alcun riguardo per i vetri né per le facce che c'erano dietro. Era un'acqua prepotente, che però nessuno ha fatto entrare perché con la prepotenza si va poco lontano.
Nel vagone c'era un tale freddo che tutti quelli che viaggiavano con me si erano trasformati in orsi polari. Io, siccome fino a poco prima ero sull'acqua e non c'era posto nella mia testa ventosa per riflettere su temperature diverse, ho adottato il metodo che in queste circostanze funziona. Penso di essere al caldo e fortifico la pelliccetta naturale. Dopo un po' il freddo per me non era più un problema. Del resto il tempo passato a riflettere sulle temperature è sprecato.
Però, scendendo dal treno mi aspettavo di trovare il caldo, e di provare quella sensazione che in estate, quando si esce da un frigorifero, fa apprezzare le altissime temperature per una manciata di secondi e si rabbrividisce di piacere anche se fa caldissimo. Marcel impiegherebbe circa due pagine e mezzo del Kindle per descrivere questa sensazione. Ecco, nella city invece c'era freddo anche fuori, ma non pioveva più.
Caspita, sono giunta nell'inverno, ho pensato.
Ma tanto per farmi capire che ero in errore e che saltare a conclusioni affrettate non è buona abitudine, mi ha regalato un arcobaleno sul ponte e un cielo di quelli che si ricordano a lungo, anche senza fotografarli.
I miei piedi si sono inzuppati d'acqua, perché le scarpe sono tutte rotte, ma i vari pezzi, non so bene come, si tengono insieme e io non le butterò via finché non si separeranno l'uno dall'altro, perché mi piacciono così. Ma non posso affidarmi a loro per lunghi percorsi, tipo una vacanza ecco.
Poi ho ritirato un libro (come se ne avessi pochi) e ho scoperto che la copertina è molto simile all'ultimo quadro che ho fatto, quindi credo che mi abbiano copiato, anche se il mio quadro non l'ha visto nessuno.
E poi ho deciso che farò un piano di lavoro per l'inverno, con tutte le attività che voglio portare avanti, perché come mi ha detto il mastro biciclettaio quando mi spiegava i percorsi, se guardi il sasso davanti alla ruota è sicuro che ci inciampi, per scegliere il percorso devi alzare lo sguardo almeno venti metri avanti a te.
I piani in genere mi riescono bene e mi diverto anche a farli. È mantenerli che mi riesce leggermente più difficile.
Intanto nel we sarò di nuovo sulla costa perché ho promesso di presenziare ai campionati di wind surf. Io naturalmente vorrei stare in mezzo al mare a vederli ma qualcosa mi dice che finirò a fare panini e pane al pomodoro.
Non partecipo giusto per non farli sfigurare.

Wednesday, September 10, 2014

Livello due.

Nel giochino del wind surf oggi l'universo aveva settato per me un livello due.
Ieri era uno, oggi aveva aumentato un po' il vento e aggiunto una discreta onda.
'Vediamo come te la cavi così, talpa', ha detto.
E io sono andata seguendo le istruzioni senza sbarrare gli occhi. Vai di bolina e torna di poppa, che oggi è scirocco. 
Certo, a volte ho ancora delle perplessità, perfino ieri, nel livello uno, quando lei mi ha gridato 'dai ora, fai un po' di bolina!' e io ero convinta di non fare altro da mezz'ora. Cosa fosse quello che invece stavo facendo temo che non lo scoprirò mai. Forse dovrei tornare in elletì da quel vecchio lupo di mare a farmi dare lezioni di bolina.
Oggi però sono andata più fuori di sempre e là fuori, tra i flutti liberi e non protetti, il mare cambia, perché si sente immenso e annusi un'aria diversa e rumori nuovi ti sorprendono alle spalle senza riuscire a capire da cosa siano prodotti, ma è chiaramente una vita più selvaggia che ti fa capire che c'è. Pesci che forse fanno capolino e ti salutano, sirene che si affacciano per strizzarti l'occhio mentre non le vedi e Tritone che si scrolla un po' la lunga capigliatura per poi rituffarsi e tu senti un brivido, ti volti, ma lui è già andato via, perché un piccolo occhio umano non può catturarlo. O forse sì? Là fuori il mare parla una lingua diversa, che sorprende e incanta. E io cerco di parlare con questa vita, ma diciamo che mi manca la disinvoltura per una conversazione senza brusche interruzioni.
Poi tornavo di poppa e secondo me la poppa non la puoi fare ovunque, ma solo in alcuni punti e allora oggi facevo piccole strambatine per poppare un po' di qua e un po' di là e soprattutto per non scatafasciarmi, perché la poppa dovrebbe portarti dritta a riva e non a destra o a sinistra, ma io sono stravagante.
E quando arrivi in scioltezza vorresti rigirarti la vela fra le mani e ripartire fra velocità e eleganza ma... ehm, c'è sempre un'ondina che si mette fra la mia prua e la partenza.
Poi c'è la scogliera dove penso 'qui devo orzare e andare avanti, tanto è lontana, ma invece proprio lì davanti cado, perché ho paura, è ovvio e allora mi tocca allontanarmi a nuoto e quindi l'unica soluzione è chiedere che il comune ne tagli un pezzettino.
E poi lo so dalla danza. I progressi sono traditori. Tu li afferri, li vedi, li senti e li metti in un cassettino con la targhetta 'progressi talpa' e credi di averli messi al sicuro, ma il giorno dopo apri e lo trovi vuoto e ti tocca riaprire il cassetto che si trova molto più in basso, quello dove c'è scritto 'basi'. Perché il progresso non ha un andamento lineare, ma immagino che ce l'abbia circolare, quindi prima o poi lo ritrovi, ma come e quando non si sa.
O forse ha un andamento addirittura caotico, cioè un non andamento.
Oggi torno nella city e anche se faccio un po' qui e un po' lì, credo che fra un po' mi immergerò di nuovo nell'arte a tempo pieno.
Il tempo sta per arrivare.

Tuesday, September 9, 2014

Il vento in poppa.

La strada del volontariato non è rimasta piatta e senza curve come appariva all'inizio e ha subito dei rallentamenti e alcune foglioline si sono sollevate davanti ai miei piedi.
Ma è successo quando il moto aveva acquistato una tale velocità che vibrava di vita propria mentre io mi limitavo a seguirlo e le foglioline volavano via in un vortice di movimento.
Il viaggio è complicato, più che andare a Timbuctù, ma una signorina di un'agenzia paziente e brava, nonché velista, mi ha aiutata.
E siccome lei non dubitava, perché faceva parte del vento che spingeva in poppa tutta questa storia, neppure io potevo tirarmi indietro. E anche se stamattina mi sono svegliata dubbiosa, tutto ormai procedeva senza di me.
Ma penso che quando sarò una graziosa vecchina seduta su una sedia a dondolo nel patio, con la copertina sulle gambe, ripensando a questa cosa, sarò molto più felice di averla fatta che non.
Anche se credo che non starò mai su una sedia a dondolo in un patio, ma piuttosto su una spiaggia a fare yoga e non credo che mi farò molte domande sul passato, ma vivrò pienamente nel presente e ogni cosa vissuta per me andrà bene, perché mi avrà portato ad essere quella che sarò.
Ma a questo punto ho i biglietti e credo di poter affermare che di ciò che sarò in futuro faranno parte anche cinque tartarughe, con tanto di zampotte, collo rugoso e carapace e spero che non mordano, perché questo poi sarei costretta a dimenticarlo.

A piedi nudi sull'acqua.

Si fa un po' di sup oggi? Non c'è vento.
Uhm... va bene, ma ci sono solo due pagaie.
Facciamo un po' a turno.
Ok.
Dai, tu intanto vieni con me sul pedalò e poi ci scambiamo.
Ok.
Io poi, anche se ho detto molti ok, non l'ho fatto, perché dopo dieci minuti di pedalò lei ha detto.
Guarda, lì il mare è più blu!
E allora?
Vuol dire che arriva un po' di vento.
Non si chiama solo mare più blu?
No. 
Ok, allora andiamo a prendere le vele.
Vela cinque e cinque. Parto. Si va piano ma si va. Io sono contenta. Poi arrivo fuori e il mare è piatto e trasparente, il vento quel tanto che basta a gonfiare la vela e andare senza strappartela di mano, io non cado mai e posso studiare le manovre senza usare la cima di recupero, spostare i piedi dove andrebbero messi perché dice che è più elegante e se è anche più funzionale non lo so, ma io all'eleganza ci tengo parecchio, spaziare con lo sguardo all'orizzonte, annusare l'aria, sorridere al mondo e intanto andare, proprio come se stessi passeggiando a piedi nudi nel parco, solo che sono sull'acqua e scivolo e mi sento che oggi siamo amici e in comunione perfetta.
Perché a me la calma piace e dopo l'ultima esperienza avevo bisogno proprio di questo, perché per imparare il mare ti deve dare una mano e pure il vento, perché io per capire ho bisogno di spazio lento, perché fondamentalmente sono lenta
Poi sono tornata di poppa, piano piano e ho parcheggiato accanto alle boe e prima di scendere sono rimasta in piedi sulla tavola e ho anche fatto un inchino, perché mi sentivo regina del mare e perché una giornata così era proprio quello che mi ci voleva per riconciliarmi e mi ha fatto felice.
Poi sono giunta sulla spiaggia e ho detto che mi ero divertita.
Senza vento?
Questo è il mio vento perfetto, ho replicato io.
Ah, un non vento.
Se così volete chiamarlo. 
Quindi pare che io pratichi il non-wind surf e continuo a trovare analogie con Alice nel paese delle meraviglie che non a caso ho letto da poco.
Inoltre ho capito che la percezione dello sport e del vento è diversa per ognuno e tutti cerchiamo cose diverse. 
Basta sapere quali.
Però è probabile che dopo un po' di 'a piedi nudi nel parco dell'acqua', mi stufi anch'io e voglia vento per volare, perché tanto è così che funziona.

Sunday, September 7, 2014

Talpa volontaria.

Da un po' di tempo mi capita di pensare che non ho mai fatto del volontariato.
Un pensiero vago, che però ogni tanto torna.
Al punto che quando ho saputo che cercavano persone per pulire le spiagge la mattina presto, quest'estate, ho pensato che mi sarebbe piaciuto e si trattava, tra l'altro, di un lavoro.
L'altro giorno ripensavo a questa storia del volontariato e siccome il mondo poi ci gioca con queste cose qui, mi ha proposto uno scherzetto e io ho abboccato.
Arrivo a casa, e nel controllare le mail ne apro una di quelle che generalmente butto via senza guardare.
Cercasi volontari per la salvaguardia delle tartarughe a Linosa. 
Senza porre neppure lo spazio di un minuto tra il pensiero e l'azione, anzi credo che il pensiero sia stato assente, tanto ormai credo che pensare sia piuttosto inutile, rispondo.
Mi presento, dico che di tartarughe non so nulla, che però potrei essere interessata.
Ero molto rilassata e pensavo che da lì avrei visto cosa succedeva e se mi si fossero spianati tutti i passi davanti ai piedini, avrei seguito questa traccia fin dove mi avesse portato.
Beh, la traccia si è disegnata più velocemente di quanto pensassi e in pratica se riesco a trovare un volo o un treno o un autobus che mi porti a lampedusa e poi a linosa, andrò ad occuparmi per una settimana di cinque tartarughe che si chiamano Mia, Ciccio, Gerardina, Osso e Respiro.
Dovrò avere un sacco a pelo perché a volte si dorme sulla spiaggia per monitorare la schiusa delle uova, nutrire le malcapitate e altre attività.
Loro mi danno un appartamento, io faccio il resto.
Si tratta anche di tartarughe ferite, quindi ci sta di dover mettere qualche cerottino. Ma il sangue mi dà noia e forse le tartarughe così grosse mi fanno anche paura. Ma ce l'hanno loro il sangue? E poi, se uno gli fa delle carezzine le sentono o è come accarezzare una persona dal tetto della sua casa?
Non so nulla di questa esperienza, ma credo che se andrà in porto, io continuo semplicemente a seguire la traccia, sarà una di quelle che si ricordano. Per un motivo o per l'altro.
Non ho paura, mi sento un'osservatrice.

Il ritiro della talpa.

Mentre pedalavo lungo la pista automatica per recarmi al luogo della regatina, mi affianca una bici. Non la vedevo ma solo a sentirla si capiva che era una di quelle serie, che scalpitano a stare dietro a quelli come me.
Però non mi superava.
'Vai!'. Pensavo io.
Poi mi affianca e anziché superarmi, come pensavo e speravo, mi afferra per una spalla e inizia a tirarmi.
Ma chi è questo? Che faccio, gli tiro una pedata e lo butto nel fosso, mi scrollo e gli faccio perdere l'equilibrio, infilo la mia ruota nella sua, gli lancio la bici addosso mentre scendo, lo maltratto verbalmente, lo prendo per la maglietta e lo tiro giù dalla bici...'
Ma i miei pensieri vengono interrotti da un 'Non avere paura, dai, vai vai!'. E poi 'Sono io!' Perché doveva avermi vista un po' perplessa.
Era il mastro biciclettaio e sulla paura non si riferiva ai miei pensieri assassini ma alla velocità.
'Dove vai?'. Mi fa, mentre mi tira rischiando di farmi scatafasciare.
'A fare una regata col wind surf'.
'Va bene, io giro di qua, ciao'.
E dopo un secondo è sparito, schifato dalla mia lentezza e dallo sport che stavo andando ad esercitare, sulle acque e non sulle piste, su una tavola e non su due ruote.
Però io ci ho visto un segno. Vincerò la regata, mi sono detta, perché il mastro mi ha detto di non avere paura, vai vai e anche se lui si riferiva alla bici, io lo posso piazzare dove voglio.
Ma mi sa che c'è stato un erroruccio.
Perché non solo non ho vinto, mi sono ritirata dopo i primi due bordi.
Prima di iniziare mi era già passata tutta la voglia perché tutto quel fermento mi creava ansia e io sono contro l'ansia.
I due minuti alla partenza mi facevano venire addirittura la tachicardia, tanto più che io ero ancora di poppa che cercavo di raggiungere una postazione decente per partire.
Poi lei mi ha urlato parti e nei primi due bordi sono caduta due volte e dice che di bolina tutte le volte che caschi perdi quello che hai guadagnato, in termini di distanza e poi mi sono quasi fracassata contro la prua di una nave parcheggiata e poi ho dato una botta con la gamba che quando sono risalita credevo potesse smettere di sostenermi per la vita e ho iniziato a pensare che sono una danzatrice e le gambe mi servono.
Allora mi sono seduta sulla tavola, perché ho capito che la mia energia era negativa e con quella non si va da nessuna parte, e che a me i tempi, le partenze, gli allineamenti, le velocità e le azzuffate per arrivare tutti a una stessa boa, mentre il mondo ne è pieno, mi danno ansia e zero divertimento.
Non tutti siamo nati per le gare.
Quindi, quando è venuto il gommone per portarmi a prendere la vela più piccola, perché loro vorrebbero sempre farti ripartire e questo è bello, io ho risposto che per oggi ne avevo abbastanza.
Tornando a casa sulla mia bici, felice di essermi liberata da tutta quell'ansia, ho pensato perfino che il mio non voler mai gareggiare potesse nascondere un desiderio opposto, tipo che sono talmente competitiva da aver paura di perdere.
Perché Marcel mi insegna a vedere le pulsioni dell'animo mascherate.
Però non ho ricordo nella mia vita, anche quando ero una piccola bambina, di aver provato piacere nel vincere. Non me ne è mai importato nulla, mi piaceva moltissimo giocare, ma vincere non mi interessava.
E in ogni caso, anche se fosse così, non credo sia un problema di cui dovrei preoccuparmi.
Lottare con una boa, per imparare a girarci intorno, per me è più che sufficiente.
Sulla via del ritorno, a metà percorso, in una piazza, proprio mentre arrivavo, hanno cominciato a suonare l'inno e questa mi è sembrata un'ironia del tutto fuori luogo, da parte dell'universo.
A meno che non volesse dirmi che sono ugualmente vincitrice.
Ma di cosa, esattamente?

Gioco sporco.

Poi ce l'ho fatta, a scrivere, legandomi alla sedia.
Ma il sovvertitore, che io pensavo non avesse sentito le mie dichiarazioni (ingenua) si è messo subito all'opera e stavolta, siccome mi ha sentito decisa, è passato al gioco duro.
Ha cercato di neutralizzarmi fisicamente.
Prima mi ha fatto ricadere sulla tavola con tutte le costoline spiaccicate e lì per lì ho sentito un tale male che ho pensato che ce l'avesse fatta, a mettermi fuori uso.
Ma mi aveva sottovalutata.
Dopo un po' di ohi ohi, male male, accidenti accidentaccio, le costoline hanno ripreso la loro forma, io sono ripartita e il dolore è scomparso in fondo al mare.
Poi mi ha procurato un leggero mal di testa, lieve e fastidioso quel tanto che basta, anzi basterebbe a farti dire 'oggi non posso fare niente, mi ci vuole solo molto riposo'.
Ma anche qui, non ce l'ha fatta.
Perché io ero decisa a legarmi alla sedia, anzi al cuscino sul pavimento e così ho fatto.
Però ho ceduto alla molteplicità.
E non so dire se sia l'ultimo tentativo del sovvertitore di sabotarmi, che non potendolo fare tenendomi lontana dal lavoro, lo fa mentre sono lì legata e sudo e mi spremo la chiorbina.
Il fatto è che mi venivano fuori altre idee e mi partivano altre strade e continuare a ignorarle era più faticoso che seguirle.
Così, come per la lettura, lavoro su più fronti.
È un esperimento, non proprio voluto da una me cosciente.
Il risultato è che ho scritto per il pomeriggio intero e mi sono divertita. Inoltre, spazio fra progetti diversi e stili diversi e questo mi permette di esplorare senza aspettare mesi. E forse mi permetterà anche di mollare qualcosa che non funziona per seguirne una che invece funziona e sento di più. Insomma, moltiplica le mie possibilità.
Se sia una trappola poi, questo non so dirlo.
So che ho dovuto fare così e che al momento mi sembra meglio della stasi precedente.
Ora, per intanto, vado a sollevare la coppa.

Le manovre.

In fondo non ci vuole niente, è come fare una rotonda con lo scooter.
La boa è in mezzo e ci devi girare intorno.
Tu arrivi, freni, orzi e viri, ovviamente senza rallentare, poi poggi poggi poggi poggi e vai via di poppa.
Facile.
Peccato che i freni sotto la tavola non ci sono, ho controllato e credo sia un difetto di quelle che prendo io. Incoscienti a darmela.
Peccato che la virata richiede un quarto d'ora e la boa nel frattempo si allontana e devi riavvicinarti a nuoto. Anche qui è ovvio che non hanno fissato la boa come si deve. Sprovveduti.
Peccato che quando finalmente la boa sta un po' ferma e io faccio la virata e poggio poggio poggio, la vela mi sbatte in acqua. Mi hanno dato una vela che non poggia. Questi qui sono da denuncia. Meno male che sono piuttosto conciliante.
Peccato che quando finalmente la tavola si mette di poppa e la vela è un triangolo a cui ci si appende e mi sembra davvero di essere paperino così e mi pare così rilassante che penso ci starebbe bene anche una poltroncina, la tavola si ferma, di un'immobilità tale che se ti ci metti a pensare non riesci a immaginarla. La sedia sotto il tavolo, a casa, è più mobile. E qui non so bene quale scherzo si inventino quelli lì perché accada una cosa simile, ma so che sono dispettosi.
L'insegnante, con la tavola sua, non truccata e complice di tutti gli altri, ci ha fatto vedere la manovra varie volte. Arriva e gira intorno alla boa quasi sfiorandola e poi riparte come una scheggia. Ma è ovvio, lei ha i freni, la boa gliel'hanno fissata, la sua vela poggia, e il mare e il vento si muovono quel tanto che basta. Così sarei brava anch'io.
Comunque oggi c'è regatina, quindi tornerò a casa con una coppa da mettere accanto alla medaglia, così faccio il completino.

Friday, September 5, 2014

Una talpa nuova.

Ehm, ieri poi era tardi e io ero stanca e avevo fame e... come si fa a scrivere in queste condizioni?
Ma da oggi, shhh lo dico piano, il sovvertitore a quest'ora dorme, sono una talpa nuova.
Porterò avanti il mio lavoro con costanza e disciplina, prendendomi a frustate.
Semplice.
Non prima di essere andata sulla spiaggia.
Certo non sono sveglia da ore per il lavoro. Mi sveglio verso le sette ogni mattina, senza alarm clock, perché non lo uso più. Dichiaro la sera prima a che ora voglio svegliarmi e così è, più o meno.
Al ritorno dai miei prodigi, mi incollerò a questo computer, già pronto e in carica qui sul tavolo e niente e nessuno mi distoglierà.
Ehm, ma se mi viene sonno? No!
Ehm, ma se volessi uscire un pochino? No!
C'è la spesa da fare e la casina da pulire! No!
C'è da leggere un mucchio di libri e la recherche potrebbe rimanere troppo indietro e finiresti alla prossima estate. No!
C'è da sistemare i vestitini. No!
C'è da fare il bucato! No!
Sei una scansafatiche, vuoi far finta di stare al computer per non fare tutto il resto. Non mi importa, puoi dire quel che vuoi!
Hai finito il lattuccio, devi andare a comprarlo. Ci andrò alle otto meno dieci!
Non avevi detto che volevi prendere il treno e andare nella city? Ci andrò domani, forse!
Non ti riconosco più e mi stai antipatica e anche parecchio. Non mi importa, sarò inamovibile, come il dente nella mascella di un caimano!
Beh, fai come vuoi. Quindi non avrai tempo neppure per la meditazione...
Uh? Quella. Dice che non si può saltare... potrei ritagliarmi un angolino e forse mi aiuterebbe a scrivere meglio...
Già perché uso anche quella per sfuggire, metodi, mi dico, assolutamente necessari per scrivere. Atti preliminari li chiamo, peccato che poi mi stancano talmente che rimando il lavoro al giorno dopo. 
Ma oggi no!
Inamovibile come...

Thursday, September 4, 2014

Vecchi metodi.

Per intanto, visto che non voglio cedere ai demoni, che voglio abbattere i condizionamenti, che voglio volare metri e metri sopra la terra e voglio creare, i miei libri, i miei quadri, i miei disegni e forse soprattutto la mia vita, che se uno prova davvero a crearla ogni momento come fosse nuova può essere un incanto, devo fare qualcosa.
Va da sé che la soluzione sta nella meditazione, l'unico modo per fare pulizia, ma il metodo è lungo, anzi lunghissimo, e se mentre la faccio continuo a ritrovarmi nei negozi a comprare cose, potrebbe addirittura essere infinito.
A meno che la soluzione non stia nel saltare la meditazione e andare direttamente nel negozio. 
Insomma, bando alle ciance, visto che i metodi spirituali sono lunghi, ricorrerò al vecchio metodo, che è poco elegante, ma che funziona. Da domani mi legherò alla sedia.
Anzi, c'è già un errore, non da domani, da ora.
Inizia la mia nuova vita, seria e concentrata.
(Speriamo che il sovvertitore sia in vacanza o che non mi abbia sentito).

Mi piace.

Io credo che se tutti smettessero di dire 'torna coi piedi sulla terra' avremmo pochissimi problemi. Primo perché l'ultima cosa che bisogna fare è stare coi piedi sulla terra e secondo perché la terra neppure esiste.
Io non ricordo che negli anni mi sia stata detta proprio questa frase specifica, ma il senso di quel che si cercava di inculcarmi era più o meno questo.
Seguire il mio cuore e la mia arte comportava una lotta, a volte manifesta, a volte più sottile, come le cosiddette polveri che aleggiano nell'aria ma che non si vedono.
Ma il messaggio di fondo era che quella è roba fatta per giocare, per divertirsi. Il lavoro poi, quello serio della vita, deve essere un altro. Con l'arte non ci mangi, sono stronzate, è tutta roba inutile e così via.
Io ho lottato contro e quando fai così pensi di averli sconfitti, sia gli scettici che i maledetti condizionamenti che si stanno installando dentro di te. Anzi, di quelli neanche ti curi, perché non ne sei consapevole.
Ma i condizionamenti sono gabbie potenti, talmente potenti che se anche a un certo punto le sbarre non hanno più il lucchetto e non c'è più nessuno lì fuori a fare la guardia, tu ti ritrovi a tenerle su con le tue zampe e a non capire che potresti anche essere libero. Anzi che sei libero e che nessuno potrà mai ingabbiarti, a meno che tu non glielo permetta, perché non c'è carceriere più tremendo di te stesso.
Allora succede che, anche se la vita, in tutti i modi, non fa che dirti, ecco talpa, sei libera, puoi creare e fare tutto quello che vuoi e puoi esprimere tutto il piacere che desideri, io continuo a lottare contro impedimenti. Ma stavolta sono inesistenti, sono io che li creo.
Perché quel che mi piace, per me, nel mio computer programmato, è dietro, è nascosto, non può far parte della vita, non può essere il mio lavoro e soprattutto non si può svolgere in serenità e gioia, perché per assurdo, contro gli antagonisti veri puoi sghignazzare, e alla fine provare la gioia della vittoria, ma contro quelli che mi creo io no, perché non li vedo e non li sento, ma mi tengono in gabbia.
Di fatto, mentre lottavo, ho perfino seguito strade che non erano mie, perché per un tempo neanche breve, ho pensato di poter fare la farmacista e questa, a riguardarla ora, è pura follia. Ma a me pareva sensato, perché alla fine quella roba lì, mentre pensi di essere contro, ti entra dentro.
Il fatto è che nessuno ti insegna che non esiste al mondo maestro migliore di te. Io ne seguo molti di maestri, reali e virtuali, li ascolto e ne ho bisogno, perché mi indicano strade che a volte da sola non riuscirei a vedere e perché ci credo nei maestri, ma so che l'unico vero maestro di me stessa sono io, che ogni strada è diversa e solo io posso sapere qual è la mia, a patto di volermi ascoltare e che solo se ascolto la mia guida e il mio cuore potrò non sbagliare.
Poi, pare che la vita sia un lungo percorso e che tutti gli ostacoli e le scelte, anche e soprattutto quelli che vengono da chi ci accompagna, siano lì per un motivo. Quindi alla fine vale tutto.
Ma è tempo che io abbatta i miei condizionamenti. Dice che per i problemi bisogna trovare soluzioni spirituali, che significa analizzare le emozioni che sono legate al problema. E così il problema si dissolve.
Beh, intanto io il problema non vorrei dissolverlo, ma risolverlo. Perché una cosa che si dissolve mi dà l'idea di un brigante che si nasconde dietro a un masso, ti aspetta e quando passi di lì ti salta addosso. Se lo risolvi lo fai fuori e non ci pensi più.
In realtà non so bene, so che ieri mi sentivo molto scomoda, che stamattina però tutta questa roba ce l'avevo molto chiara, perché ci sono momenti di grande consapevolezza, in cui mi sembra tutto chiaro, però poi non so bene cosa fosse così chiaro e cosa volessero dirmi quei momenti lì, però so che da qualche parte ho capito qualcosa di importante.
Insomma, quando una cosa è vera la riconosci e non dubiti.
Io voglio abbattere i miei condizionamenti e dire mi piace mentre sento che mi scaturisce dal profondo, perché ritrovare il piacere puro delle cose è uno stato in cui vorrei soggiornare più a lungo possibile.
Io credo che ce la farò, ma è possibile che mi ci voglia tutta una vita e non solo quella fisica.
E credo anche che questo post sia parecchio ingarbugliato, come lo è del resto tutta questa roba dentro di me.