Sono stati giorni intensi, che mi sono serviti a capire che.
Il mare è bello, e anche se lo sapevo una conferma non guasta mai.
È interessante sentirsi chiedere ripetutamente 'fai anche te la regata?' perché vuol dire che ho le phisique du role. Ma anche questo lo sapevo già.
Il vento è bizzoso e questo vuol dire che se non lo vuoi, lui c'è e se lo aspetti lui va da qualche altra parte a farsi gli affari suoi.
Gli sportivi, gli agonisti cioè, quelli che fanno le gare, non li capisco. Mi sono sforzata, ma non ce la posso fare a capirli e non sono neppure sicura di volerlo, perché non sembrano mai contenti. A meno che la loro forma di gioia non si esprima al contrario.
Dopo due giornate in mare sul gommone il mondo si muove in modo diverso e per fermarsi impiega un po' di tempo.
Io faccio una divisione netta fra mare da spiaggia e mare da sport. Quest'anno, del primo, non ne ho fatto punto. Il che comporta che ho vissuto il mare con i vestiti addosso.
Ballare e saltellare sulla spiaggia sotto le stelle è un'esperienza liberatoria, di quelle di cui si ha bisogno senza saperlo. Il che fa posto subito a una domanda: quante sono le esperienze di cui ho bisogno senza saperlo? Ma ho anche una risposta, e è che i bisogni, prima o poi, vengono soddisfatti, quindi non c'è da preoccuparsi.
Riesco ad andare in mare da sola e tornare (finalmente) ma quando vado troppo fuori sono divisa fra la paura della solitudine nel mare immenso e il piacere di uno spazio acquoso senza fine.
Trovarmi fuori da ostacoli e scogliere mi dà la stessa sensazione di una sala da danza enorme tutta per me. Un sogno che ho fin da bambina e che non so se potrò mai realizzare. Per questo cerco di svuotare le case, per poter danzare gli spazi.
Io parlo, da sola, con il vento, con la tavola, con il mare e non riesco a farne a meno. Non so se voglia dire che sono pazza, ma non credo che riuscirò a guarire.
Philippe Petit dice che bisogna amare gli oggetti. Io non ho problemi, amo gli strumenti di lavoro, e tutti gli oggetti che mi circondano. Sì, anch'io penso che abbiano un'anima e chiedere alla vela cosa vuole fare e come pensa che sia il vento e di sistemarsi da sola, per favore, mi sembra un'ottima soluzione alle mie lacune.
Io ho bisogno di giocare, con tutto, è più forte di me.
Troppa gente per troppo tempo mi fa troppa confusione nella testa e quando accade, il bisogno di ritrovarmi sola e ritrovare il mio centro si fa incalzante.
Senza i miei silenzi e il mio lavoro interiore non posso più vivere.
Il mio maestro di danza per la prima volta mi ha scritto che le lezioni di danza ricominciano. Mi è sembrato un segno della vita che mi richiama all'ordine per dirmi che il tempo è giunto.
La felicità è dentro di noi. Sentirla significa essere vivi.
E poi chissà quante altre cose ho capito, ma non mi vengono in mente.
Il mare è bello, e anche se lo sapevo una conferma non guasta mai.
È interessante sentirsi chiedere ripetutamente 'fai anche te la regata?' perché vuol dire che ho le phisique du role. Ma anche questo lo sapevo già.
Il vento è bizzoso e questo vuol dire che se non lo vuoi, lui c'è e se lo aspetti lui va da qualche altra parte a farsi gli affari suoi.
Gli sportivi, gli agonisti cioè, quelli che fanno le gare, non li capisco. Mi sono sforzata, ma non ce la posso fare a capirli e non sono neppure sicura di volerlo, perché non sembrano mai contenti. A meno che la loro forma di gioia non si esprima al contrario.
Dopo due giornate in mare sul gommone il mondo si muove in modo diverso e per fermarsi impiega un po' di tempo.
Io faccio una divisione netta fra mare da spiaggia e mare da sport. Quest'anno, del primo, non ne ho fatto punto. Il che comporta che ho vissuto il mare con i vestiti addosso.
Ballare e saltellare sulla spiaggia sotto le stelle è un'esperienza liberatoria, di quelle di cui si ha bisogno senza saperlo. Il che fa posto subito a una domanda: quante sono le esperienze di cui ho bisogno senza saperlo? Ma ho anche una risposta, e è che i bisogni, prima o poi, vengono soddisfatti, quindi non c'è da preoccuparsi.
Riesco ad andare in mare da sola e tornare (finalmente) ma quando vado troppo fuori sono divisa fra la paura della solitudine nel mare immenso e il piacere di uno spazio acquoso senza fine.
Trovarmi fuori da ostacoli e scogliere mi dà la stessa sensazione di una sala da danza enorme tutta per me. Un sogno che ho fin da bambina e che non so se potrò mai realizzare. Per questo cerco di svuotare le case, per poter danzare gli spazi.
Io parlo, da sola, con il vento, con la tavola, con il mare e non riesco a farne a meno. Non so se voglia dire che sono pazza, ma non credo che riuscirò a guarire.
Philippe Petit dice che bisogna amare gli oggetti. Io non ho problemi, amo gli strumenti di lavoro, e tutti gli oggetti che mi circondano. Sì, anch'io penso che abbiano un'anima e chiedere alla vela cosa vuole fare e come pensa che sia il vento e di sistemarsi da sola, per favore, mi sembra un'ottima soluzione alle mie lacune.
Io ho bisogno di giocare, con tutto, è più forte di me.
Troppa gente per troppo tempo mi fa troppa confusione nella testa e quando accade, il bisogno di ritrovarmi sola e ritrovare il mio centro si fa incalzante.
Senza i miei silenzi e il mio lavoro interiore non posso più vivere.
Il mio maestro di danza per la prima volta mi ha scritto che le lezioni di danza ricominciano. Mi è sembrato un segno della vita che mi richiama all'ordine per dirmi che il tempo è giunto.
La felicità è dentro di noi. Sentirla significa essere vivi.
E poi chissà quante altre cose ho capito, ma non mi vengono in mente.
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