L'isola che forse c'è, in effetti
c'era.
Ma non è detto che ci sia sempre. Vuol solo dire che al momento esatto
del mio attracco con l'aliscafo, c'era. Questo non garantisce che
ogni volta uno ce la ritrovi.
Ora io ci sono sopra, ma non so quanto
io e l'isola siamo visibili al mondo esterno.
In più oggi c'è un vento che porta
via, quindi ammesso che la sua esistenza in questa giornata sia
garantita sulla faccia del mare, non è detto che non venga spostata
un po' di qua e un po' di là.
Questo è ciò che l'isola mi fa
pensare.
Tale sensazione è avvalorata dal detto
continuo della popolazione 'tutto è possibile', che potrebbe
sembrare una frase positiva e incoraggiante, ma qui non sempre viene
usata in quel senso, anzi il più delle volte il sottotesto è
'bella, aspettati di tutto'.
Noto, tra l'altro, una certa tendenza
al catastrofismo, cosa che non mi piace granché, dato che io non amo
la lettura negativa degli eventi.
Ma non so se siano poi davvero negativi, perché ho
più l'impressione che il senso di catastrofe ti venga buttato un po'
addosso solo per valutare la tua reazione. Una specie di test di
resistenza dell'ospite. In entrambi i casi, io non l'apprezzo molto.
I colori poi, sono sbiaditi. Posso
capire che questa sembri un'eresia, per chi lo considera tra il mare
più bello d'Italia e forse anche del mondo, ma qui, in questi
giorni, il mare non è mai blu e il cielo non è mai veramente
azzurro. Tutto è sempre coperto da una patina di foschia, la stessa
che ti si appiccica addosso anche quando è maestrale e il paesaggio
sembra sempre rimanere distante, come in palcoscenico quando la scena
si svolge dietro al velatino.
Il sole si tufferebbe in acqua davanti
ai miei occhi tutte le sere, ma non si degna di rilasciare un solo
colore che sia diverso dal grigiastro soffuso, con una palla sempre
meno luminosa che gli scivola dietro.
È un pezzo di mondo stanco e
sonnacchioso e i colori non ne vogliono sapere di risvegliarlo.
L'acqua è bella, limpida.
Le tartarughe caretta per due sono
fantastiche, anche se appena vengono in superficie ti sputano e se tu
metti un dito o una zampina davanti alla loro boccuccia te la
staccano senza tanti riguardi. Le loro fauci sembra siano molto
potenti e siccome vedono meno di una talpa, ti azzannano senza
pensarci due volte, a scanso di equivoci.
Sono di quegli animali solitari che
continuano a pensare 'lasciami in pace, voglio tornare nel mio mare,
al mio spazio e alla mia lentezza'. Lo si vede dalla nuvoletta di
pensiero che si forma sopra la sua testolina ossuta.
Sono animali che potrei rimanere a
guardare per ore, perché sento che avrebbero tantissimo
da raccontare. Il carapace è ipnotico e pare contenere leggi e
simboli come fosse un mandala.
Ma è un mistero che non può essere
acchiappato. Rimane tra me e il pelo d'acqua sotto cui se ne va a
riposare, incastrato fra le molecole. O forse parla a una parte di me che io non riesco a decifrare, lontana come il tempo da cui vengono.
Dovremmo anche imparare ad acchiapparle
e tirarle su. Le mie colleghe hanno già imparato. Io ho capito
che non potrò. Per riuscire a farlo devi sentirti dominante rispetto a loro e non è una condizione che sento di poter raggiungere.
Siccome il poterlo fare è considerato
più un privilegio che un dovere, io ci rinuncio.
Quel che posso arrivare a fare, nel
contatto con loro, è accarezzare una zampina o pinna, il carapace,
la testolina, il nasino che è morbido e gommoso, ma anche in questo
i miei contatti sono ridotti al minimo.
So già che il momento più bello per
me sarà quando, in questa settimana, molte di loro saranno di nuovo
liberate in mare, guarite.
E allora forse verserò anche una
lacrimuccia simile a quelle che cadono dai loro occhietti velati
quando sono sul tavolo, fuori dall'acqua.
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