Tuesday, September 23, 2014

L'isola sbiadita.

L'isola che forse c'è, in effetti c'era.
Ma non è detto che ci sia sempre. Vuol solo dire che al momento esatto del mio attracco con l'aliscafo, c'era. Questo non garantisce che ogni volta uno ce la ritrovi.
Ora io ci sono sopra, ma non so quanto io e l'isola siamo visibili al mondo esterno.
In più oggi c'è un vento che porta via, quindi ammesso che la sua esistenza in questa giornata sia garantita sulla faccia del mare, non è detto che non venga spostata un po' di qua e un po' di là.
Questo è ciò che l'isola mi fa pensare.
Tale sensazione è avvalorata dal detto continuo della popolazione 'tutto è possibile', che potrebbe sembrare una frase positiva e incoraggiante, ma qui non sempre viene usata in quel senso, anzi il più delle volte il sottotesto è 'bella, aspettati di tutto'.
Noto, tra l'altro, una certa tendenza al catastrofismo, cosa che non mi piace granché, dato che io non amo la lettura negativa degli eventi.
Ma non so se siano poi davvero negativi, perché ho più l'impressione che il senso di catastrofe ti venga buttato un po' addosso solo per valutare la tua reazione. Una specie di test di resistenza dell'ospite. In entrambi i casi, io non l'apprezzo molto.
I colori poi, sono sbiaditi. Posso capire che questa sembri un'eresia, per chi lo considera tra il mare più bello d'Italia e forse anche del mondo, ma qui, in questi giorni, il mare non è mai blu e il cielo non è mai veramente azzurro. Tutto è sempre coperto da una patina di foschia, la stessa che ti si appiccica addosso anche quando è maestrale e il paesaggio sembra sempre rimanere distante, come in palcoscenico quando la scena si svolge dietro al velatino.
Il sole si tufferebbe in acqua davanti ai miei occhi tutte le sere, ma non si degna di rilasciare un solo colore che sia diverso dal grigiastro soffuso, con una palla sempre meno luminosa che gli scivola dietro.
È un pezzo di mondo stanco e sonnacchioso e i colori non ne vogliono sapere di risvegliarlo.
L'acqua è bella, limpida.
Le tartarughe caretta per due sono fantastiche, anche se appena vengono in superficie ti sputano e se tu metti un dito o una zampina davanti alla loro boccuccia te la staccano senza tanti riguardi. Le loro fauci sembra siano molto potenti e siccome vedono meno di una talpa, ti azzannano senza pensarci due volte, a scanso di equivoci.
Sono di quegli animali solitari che continuano a pensare 'lasciami in pace, voglio tornare nel mio mare, al mio spazio e alla mia lentezza'. Lo si vede dalla nuvoletta di pensiero che si forma sopra la sua testolina ossuta.
Sono animali che potrei rimanere a guardare per ore, perché sento che avrebbero tantissimo da raccontare. Il carapace è ipnotico e pare contenere leggi e simboli come fosse un mandala.
Ma è un mistero che non può essere acchiappato. Rimane tra me e il pelo d'acqua sotto cui se ne va a riposare, incastrato fra le molecole. O forse parla a una parte di me che io non riesco a decifrare, lontana come il tempo da cui vengono.
Dovremmo anche imparare ad acchiapparle e tirarle su. Le mie colleghe hanno già imparato. Io ho capito che non potrò. Per riuscire a farlo devi sentirti dominante rispetto a loro e non è una condizione che sento di poter raggiungere.
Siccome il poterlo fare è considerato più un privilegio che un dovere, io ci rinuncio.
Quel che posso arrivare a fare, nel contatto con loro, è accarezzare una zampina o pinna, il carapace, la testolina, il nasino che è morbido e gommoso, ma anche in questo i miei contatti sono ridotti al minimo.
So già che il momento più bello per me sarà quando, in questa settimana, molte di loro saranno di nuovo liberate in mare, guarite.
E allora forse verserò anche una lacrimuccia simile a quelle che cadono dai loro occhietti velati quando sono sul tavolo, fuori dall'acqua.

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