Saturday, April 9, 2016

Mondi diversi.

Ho scoperto che il concetto di commedia romantica in Arabia Saudita è un po' diverso dal nostro. Cioè, forse il concetto in sé è lo stesso, ma sono talmente diversi gli ostacoli con cui si confrontano gli innamorati che anche il genere del film sembra andare a rifugiarsi da un'altra parte. Però ci sono state molte risate e io, la talpa, ho apprezzato il tentativo. È così strano che abitiamo tutti sulla stessa palla, che è il mondo, che se lo guardi sul mappamondo è veramente piccino e se lo paragoni a tutte le galassie e i buchi neri e i mondi paralleli che non vediamo, diventa come una briciolina e che su questa pallina siamo tutti diversi come se pensassimo di essere distantissimi e come se pensassimo di esistere solo noi. Io credo che se tutti riuscissimo a sollevarci e a guardare quanto siamo piccolini e quindi vicini, allora ridimensioneremmo tutto, compresi i nostri problemi e le nostre lotte. Quindi ho trovato la soluzione. Chiedere ad Archimede pitagorico di dotare tutti di navicelle che ci portino fuori dal nostro mondo e ci facciano vedere le cose dall'alto, da un'altra prospettiva. Chiederò al mio amico Paperino di andare da lui per me.
C'era, ieri sera, di nuovo il cantante, che indossava sugli stessi pantaloni bordeaux, una camicia blu, sempre di quelle pacifiche. È intervenuto subito con la chitarra e cantava in inglese, stavolta la lingua l'ho riconosciuta, ma non ho capito niente lo stesso, a parte una parola ricorrente che era 'blind' che suppongo voglia dire cieco e a un certo punto stavo per alzarmi dalla sedia imbizzita per chiedere se si riferisse a me, che sono una talpa, ma mi sono trattenuta, perché quelli sono lì per la pace e non per la guerra, infatti io sono un po' fuori posto.
Poi c'era la presentazione di un libro e soprattutto di uno scrittore siriano. Mi è piaciuto un sacco lui, mi è piaciuto un sacco il ragazzo che traduceva dall'arabo e mi è piaciuta un sacco la ragazza che gli faceva le domande che pare sia una nota blogger che si occupa di scrittori arabi e affini, che era bravissima e si capiva che nella chiorbina aveva moltissime cose, che mentre fruga ne sceglie una ma ce ne sono moltissime altre fra cui potrebbe scegliere, senza fare confusione e sembra sapere esattamente cosa sta pescando e cosa sta lasciando da parte. 
Ho anche scoperto che alcuni scrittori, mentre scrivono si pongono delle domande. Lui, in particolare se ne pone due. Cosa scrivo e come lo scrivo, con una certa insistenza  ha detto, sulla seconda. Ehm, mi turbano sempre questi qui che si fanno le domande mentre scrivono. E su questo punto preferisco fermarmi qui, ne va della mia talpa reputazione. Perché non credo che pensare a una matitina rosa e alla sua gommina, o se le punte siano abbastanza appuntite, o se il sole sia coperto per non pungermi gli occhi, o a che ora sia la merenda o se il peso possa spostarsi fra il primo e il secondo dito anche mentre sono seduta, o se abbia sufficienti playlist per scrivere, o se non sia il caso di far prendere un po' di aria al cervellino o se il mio aeroplanino nell'hangar non si senta troppo solo mentre io lo trascuro, ingrata, per scrivere, o se non ci sia qualcosa di fondamentale fuori che io mi stia perdendo e che condizionerà tutta la mia vita a seguire senza che io lo sappia mai, o se... insomma, anch'io mi faccio le mie domanducce.
Non so se leggerò il libro di questo tipo, che si intitola elogio dell'odio e che in Italia è edito da Bompiani e io, quando li nominano, i signori Bompiani, penso subito e sempre alle loro edizioni dai bordi stondati, che mi piacciono un sacco e questa immagine riempie talmente la mia chiorbina, da farmi perdere i dieci minuti seguenti di conversazione in cui probabilmente si è parlato di contenuti, più che di forma, che se non fosse stata bellina e stondata avrei anche potuto tralasciarla, ma è colpa mia se Bompiani si mette a fare queste cose?
Quindi quel libro, quando andrò in una libreria lo cercherò, per vedere se lo hanno fatto stondato, perché mica lo fanno per tutti. Però io e quello scrittore qualche affinità ce l'abbiamo, perché alla domanda sul perché non avesse dato un nome alla sua protagonista ha risposto che non lo sapeva e che se ne è accorto solo quando aveva scritto il novanta per cento del libro. Ho esultato sulla sedia a questo raccontello, anche se mi ci ha fatto ricadere in malo modo quando ha detto che a quel punto, quando se n'è accorto, ha deciso di tenerlo come espediente, perché le numerose vittime di una guerra non hanno nome. Ecco. Però fino al novanta, anche lui, non aveva pensato a niente. Tranne cosa scrivo e come lo scrivo. In fondo due sole domandine non sono molte.

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